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2022-01-29
«I medici sapevano di Astrazeneca ma non lo scrissero sulla cartella»
Ansa
Nella cartella clinica di Camilla Canepa non c’era traccia che si fosse vaccinata, eppure il personale sanitario dell’ospedale del Tigullio, polo di Lavagna, sapeva che la diciottenne morta di trombosi associata a piastrinopenia lo scorso 10 giugno aveva ricevuto una dose di Astrazeneca durante un open day.
Sulle reazioni avverse da vaccino anti Covid la giustizia procede lentissima, più lenta della farmacovigilanza che nel nostro Paese sta svolgendo una funzione pressoché inutile, nel monitorare i possibili danni di questi farmaci sperimentali. Dopo mesi, la Procura e i carabinieri del Nas hanno concluso le audizioni all’interno del nosocomio genovese e, da quanto trapela, tutte le persone sentite hanno riferito di essere state al corrente che la giovane si fosse vaccinata.
Un particolare di enorme importanza, perché significherebbe che dal primo arrivo al Pronto soccorso la povera Camilla poteva essere gestita diversamente: in quel periodo si continuava a parlare del rischio di trombosi cerebrali, associate a carenza di piastrine, in giovani donne con il vaccino anglosvedese in corpo. La studentessa di Sestri Levante aveva ricevuto la prima dose il 25 maggio, il 3 giugno era andata all’ospedale di Lavagna per una fortissima cefalea e fotosensibilità.
Secondo i suoi genitori, ai sanitari era stato detto che si era vaccinata con Astrazeneca e dalle indagini emerse che la giovane aveva mandato un messaggio in cui scriveva che la stavano trattenendo in ospedale «per il vaccino». Nella cartella clinica non figura, come è possibile? Camilla venne dimessa il giorno seguente, malgrado gli esami avessero evidenziato valori di piastrine bassi e decrescenti.
Eppure le linee guida dell’Aifa erano note, il 21 maggio 2021 l’agenzia regolatoria avvertiva: «Gli operatori sanitari devono verificare la presenza di segni di trombosi in qualsiasi persona affetta da trombocitopenia entro tre settimane dalla vaccinazione con Vaxzevria» e che «gli operatori sanitari devono continuare a consigliare alle persone di cercare cure mediche urgenti se hanno sintomi indicativi di trombosi o trombocitopenia».
La studentessa invece fu dimessa, senza una tac con liquido di contrasto come previsto nelle prime linee guida per diagnosticare la sindrome indotta da vaccino (Vitt). Quanto, il 5 giugno, ritornò al Pronto soccorso era già in condizioni disperate e l’intervento alla testa, eseguito al Policlinico San Martino di Genova dove venne trasferita, non riuscì a salvarle la vita. Camilla Canepa morì il 10 giugno. Secondo la relazione dei due periti della Procura, il medico legale Luca Tajana e l’ematologo Franco Piovella, il decesso avvenne per una trombosi cerebrale «ragionevolmente da riferirsi agli effetti avversi della vaccinazione anti Covid», ma la perizia si concludeva scagionando la struttura ospedaliera. «Anche se in astratto si poteva capire di essere in presenza di una Vitt, non ravvisiamo elementi penalmente rilevanti a carico dei sanitari».
Alla luce dei nuovi elementi emersi dalle audizioni, i pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo assieme al procuratore Francesco Pinto hanno disposto un’integrazione di quella relazione, sulla quale devono lavorare i consulenti. Adesso è importante capire se Camilla potesse essere salvata, conoscendo la sua situazione a rischio dopo la vaccinazione con Astrazeneca.
Ma quante altre vite rischiano di essere compromesse, perché un medico sottovaluta o non segnala un evento avverso da siero anti Covid? Con la scusa che è «difficile» stabilire una relazione causale certa tra una reazione avversa e il farmaco, sintomi anche molto gravi post inoculazione che compromettono la salute di un cittadino finiscono ignorati e senza ristoro. Così come sta capitando a Irene Cervelli di Capannori, provincia di Lucca, anche lei vittima del vaccino anglosvedese nel giugno dello scorso. Una settimana dopo la prima dose di Astrazeneca la quarantaduenne, molto attiva nel campo del volontariato, fu colpita da un ictus e finì in coma.
A casa è tornata solo tre mesi fa, dopo un lungo percorso neuro riabilitativo, ma le sue condizioni rimangono critiche, per questo i familiari hanno deciso di rivolgersi alla magistratura. «L’ictus da trombosi verificatosi dopo la somministrazione del vaccino ha provocato nella signora danni neurologici consistenti, che a oggi non le permettono di essere autosufficiente», scrive l’avvocato Giovanni Mandoli nella querela contro ignoti per lesioni personali colpose, depositata presso la Procura di Lucca.
Già a giugno 2021 il legale, sottolineando che in quel momento la priorità della famiglia Cervelli era «assistere Irene in questa battaglia che quotidianamente sta combattendo», non aveva escluso che ci sarebbero stati risvolti sul piano giudiziario. Adesso la decisione è stata presa «al fine di far chiarezza circa eventuali responsabilità imputabili a qualcuno». Francesco Cervelli, raccontando che la sorella «era molto contenta di aver anticipato la vaccinazione in vista delle ferie», per questo aveva partecipato all’open day, «voleva andare in vacanza serena», su Luccaindiretta spiegò: «A livello legale non possiamo fare molto, Irene aveva firmato il consenso alla somministrazione di Astrazeneca, prendendosi ogni responsabilità sulle possibili conseguenze. Abbiamo però presentato un esposto ai carabinieri, per evitare che situazioni simili si possano ripetere in futuro». Quante storie rimangono invece senza soluzione, senza riconoscimento dei danni, per vittime del vaccino anti Covid e per i loro familiari?
Ma il comitato di sorveglianza dorme
L’ultimo rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19 è stato pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco 4 mesi fa. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 settembre 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso. Da settembre ad oggi nessun dato. Eppure sospetti eventi avversi al vaccino anti Covid ci sono stati e le testimonianze sono drammatiche, come ricordato da un servizio andato in onda a Fuori dal coro la trasmissione di Rete 4 condotta dal direttore Mario Giordano. Due giovani donne, infatti, una vittima di una pericardite post prima dose, 8 mesi fa, e l’altra colpita da una paresi facciale dopo la seconda inoculazione, hanno raccontato non soltanto la loro reazione avversa, ma soprattutto la loro solitudine, la totale assenza e il completo abbandono di ogni istituzione, Aifa compresa. «Credo nella scienza e mi sono affidata alla scienza che però mi ha cambiata. Ora sono una malata trasparente, nessuno mi dà risposte e tanto meno cure». «Sono distrutta, sono sola con il mio problema», ha detto trattenendo le lacrime Michela, «sono un caso raro, un caso statistico, non più una persona, vengo considerata un numero e non vengo ascoltata». Un incomprensibile «fermo», quello del comitato di sorveglianza e la conferma è arrivata dallo stesso presidente Vittorio Demichele interpellato da Fuori dal coro: «Siamo stati creati ad hoc, credo ci sia stato un problema di competenze, ma da questa estate il comitato non è stato più convocato e l’attività si è fermata per cui non abbiamo dati aggiornati sugli effetti avversi dei vaccini». A chiederne conto però, per la prima volta, come spiegato dall’avvocato Vincenzo Sparti, alcuni giudici che «hanno messo in dubbio l’operato del ministero della Salute e vogliono vederci chiaro su questi eventi avversi». Infatti, precisa l’ex consigliere di Stato Giovanbattista Bufardeci, alcuni giudici del consiglio di Stato della sezione siciliana, hanno chiesto «le modalità di valutazione dei rischi e benefici della vaccinazione e le modalità di sorveglianza, sia passiva che attiva».
Una sorveglianza necessaria considerato che in 9 mesi di report, dicembre 2020-settembre 2021, erano pervenute al comitato di sorveglianza 101.110 segnalazioni su 84.010.605 dosi somministrate con un tasso di 120 ogni 100.000 dosi. L’85,4% delle segnalazioni sono riferite a eventi non gravi (dolore in sede di iniezione, febbre moderata, astenia/stanchezza, dolori muscolari), il 14,4% a eventi gravi, la cui definizione include anche la segnalazione di febbre elevata, (di cui il 53,6% con esito in risoluzione completa o miglioramento), e lo 0,2% non è definito. Per quanto riguarda gli eventi gravi, al momento della stesura del rapporto, il nesso di causalità secondo l’algoritmo dell’Oms è stato valutato nel 73% delle segnalazioni, e il 40,3% di quelle finora valutate è risultato correlabile alla vaccinazione. In relazione alle vaccinazioni con schedula mista, scrive l’Aifa, il tasso di segnalazione è di 40 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate, la maggior parte non grave e con esito in risoluzione completa o miglioramento. L’andamento delle segnalazioni e i relativi tassi sono sostanzialmente stabili nel tempo, con una lieve flessione attesa nel periodo estivo. Oggi, dopo 5 mesi dall’ultima riunione e ormai a 126 milioni di dosi somministrate, mentre i giudici chiedono chiarezza e chi si è ammalato vuole essere curato, il comitato Aifa è «fermo».
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Un nuovo elemento si aggiunge alle indagini sulla morte di Camilla Canepa: i suoi dottori non menzionarono il fatto che fosse vaccinata, anche se erano già noti i legami tra siero e trombosi, nonché le terapie da seguire.L’organo dell’Aifa creato ad hoc per monitorare l’efficacia e gli effetti avversi dei preparati anti Covid non si riunisce dall’estate e non ha i numeri aggiornati.Lo speciale contiene due articoliNella cartella clinica di Camilla Canepa non c’era traccia che si fosse vaccinata, eppure il personale sanitario dell’ospedale del Tigullio, polo di Lavagna, sapeva che la diciottenne morta di trombosi associata a piastrinopenia lo scorso 10 giugno aveva ricevuto una dose di Astrazeneca durante un open day. Sulle reazioni avverse da vaccino anti Covid la giustizia procede lentissima, più lenta della farmacovigilanza che nel nostro Paese sta svolgendo una funzione pressoché inutile, nel monitorare i possibili danni di questi farmaci sperimentali. Dopo mesi, la Procura e i carabinieri del Nas hanno concluso le audizioni all’interno del nosocomio genovese e, da quanto trapela, tutte le persone sentite hanno riferito di essere state al corrente che la giovane si fosse vaccinata. Un particolare di enorme importanza, perché significherebbe che dal primo arrivo al Pronto soccorso la povera Camilla poteva essere gestita diversamente: in quel periodo si continuava a parlare del rischio di trombosi cerebrali, associate a carenza di piastrine, in giovani donne con il vaccino anglosvedese in corpo. La studentessa di Sestri Levante aveva ricevuto la prima dose il 25 maggio, il 3 giugno era andata all’ospedale di Lavagna per una fortissima cefalea e fotosensibilità. Secondo i suoi genitori, ai sanitari era stato detto che si era vaccinata con Astrazeneca e dalle indagini emerse che la giovane aveva mandato un messaggio in cui scriveva che la stavano trattenendo in ospedale «per il vaccino». Nella cartella clinica non figura, come è possibile? Camilla venne dimessa il giorno seguente, malgrado gli esami avessero evidenziato valori di piastrine bassi e decrescenti. Eppure le linee guida dell’Aifa erano note, il 21 maggio 2021 l’agenzia regolatoria avvertiva: «Gli operatori sanitari devono verificare la presenza di segni di trombosi in qualsiasi persona affetta da trombocitopenia entro tre settimane dalla vaccinazione con Vaxzevria» e che «gli operatori sanitari devono continuare a consigliare alle persone di cercare cure mediche urgenti se hanno sintomi indicativi di trombosi o trombocitopenia». La studentessa invece fu dimessa, senza una tac con liquido di contrasto come previsto nelle prime linee guida per diagnosticare la sindrome indotta da vaccino (Vitt). Quanto, il 5 giugno, ritornò al Pronto soccorso era già in condizioni disperate e l’intervento alla testa, eseguito al Policlinico San Martino di Genova dove venne trasferita, non riuscì a salvarle la vita. Camilla Canepa morì il 10 giugno. Secondo la relazione dei due periti della Procura, il medico legale Luca Tajana e l’ematologo Franco Piovella, il decesso avvenne per una trombosi cerebrale «ragionevolmente da riferirsi agli effetti avversi della vaccinazione anti Covid», ma la perizia si concludeva scagionando la struttura ospedaliera. «Anche se in astratto si poteva capire di essere in presenza di una Vitt, non ravvisiamo elementi penalmente rilevanti a carico dei sanitari». Alla luce dei nuovi elementi emersi dalle audizioni, i pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo assieme al procuratore Francesco Pinto hanno disposto un’integrazione di quella relazione, sulla quale devono lavorare i consulenti. Adesso è importante capire se Camilla potesse essere salvata, conoscendo la sua situazione a rischio dopo la vaccinazione con Astrazeneca. Ma quante altre vite rischiano di essere compromesse, perché un medico sottovaluta o non segnala un evento avverso da siero anti Covid? Con la scusa che è «difficile» stabilire una relazione causale certa tra una reazione avversa e il farmaco, sintomi anche molto gravi post inoculazione che compromettono la salute di un cittadino finiscono ignorati e senza ristoro. Così come sta capitando a Irene Cervelli di Capannori, provincia di Lucca, anche lei vittima del vaccino anglosvedese nel giugno dello scorso. Una settimana dopo la prima dose di Astrazeneca la quarantaduenne, molto attiva nel campo del volontariato, fu colpita da un ictus e finì in coma. A casa è tornata solo tre mesi fa, dopo un lungo percorso neuro riabilitativo, ma le sue condizioni rimangono critiche, per questo i familiari hanno deciso di rivolgersi alla magistratura. «L’ictus da trombosi verificatosi dopo la somministrazione del vaccino ha provocato nella signora danni neurologici consistenti, che a oggi non le permettono di essere autosufficiente», scrive l’avvocato Giovanni Mandoli nella querela contro ignoti per lesioni personali colpose, depositata presso la Procura di Lucca. Già a giugno 2021 il legale, sottolineando che in quel momento la priorità della famiglia Cervelli era «assistere Irene in questa battaglia che quotidianamente sta combattendo», non aveva escluso che ci sarebbero stati risvolti sul piano giudiziario. Adesso la decisione è stata presa «al fine di far chiarezza circa eventuali responsabilità imputabili a qualcuno». Francesco Cervelli, raccontando che la sorella «era molto contenta di aver anticipato la vaccinazione in vista delle ferie», per questo aveva partecipato all’open day, «voleva andare in vacanza serena», su Luccaindiretta spiegò: «A livello legale non possiamo fare molto, Irene aveva firmato il consenso alla somministrazione di Astrazeneca, prendendosi ogni responsabilità sulle possibili conseguenze. Abbiamo però presentato un esposto ai carabinieri, per evitare che situazioni simili si possano ripetere in futuro». Quante storie rimangono invece senza soluzione, senza riconoscimento dei danni, per vittime del vaccino anti Covid e per i loro familiari?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-medici-sapevano-di-astrazeneca-ma-non-lo-scrissero-sulla-cartella-2656503191.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-il-comitato-di-sorveglianza-dorme" data-post-id="2656503191" data-published-at="1643400515" data-use-pagination="False"> Ma il comitato di sorveglianza dorme L’ultimo rapporto di farmacovigilanza sui vaccini Covid-19 è stato pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco 4 mesi fa. I dati raccolti e analizzati riguardano le segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate nella Rete nazionale di farmacovigilanza tra il 27 dicembre 2020 e il 26 settembre 2021 per i quattro vaccini in uso nella campagna vaccinale in corso. Da settembre ad oggi nessun dato. Eppure sospetti eventi avversi al vaccino anti Covid ci sono stati e le testimonianze sono drammatiche, come ricordato da un servizio andato in onda a Fuori dal coro la trasmissione di Rete 4 condotta dal direttore Mario Giordano. Due giovani donne, infatti, una vittima di una pericardite post prima dose, 8 mesi fa, e l’altra colpita da una paresi facciale dopo la seconda inoculazione, hanno raccontato non soltanto la loro reazione avversa, ma soprattutto la loro solitudine, la totale assenza e il completo abbandono di ogni istituzione, Aifa compresa. «Credo nella scienza e mi sono affidata alla scienza che però mi ha cambiata. Ora sono una malata trasparente, nessuno mi dà risposte e tanto meno cure». «Sono distrutta, sono sola con il mio problema», ha detto trattenendo le lacrime Michela, «sono un caso raro, un caso statistico, non più una persona, vengo considerata un numero e non vengo ascoltata». Un incomprensibile «fermo», quello del comitato di sorveglianza e la conferma è arrivata dallo stesso presidente Vittorio Demichele interpellato da Fuori dal coro: «Siamo stati creati ad hoc, credo ci sia stato un problema di competenze, ma da questa estate il comitato non è stato più convocato e l’attività si è fermata per cui non abbiamo dati aggiornati sugli effetti avversi dei vaccini». A chiederne conto però, per la prima volta, come spiegato dall’avvocato Vincenzo Sparti, alcuni giudici che «hanno messo in dubbio l’operato del ministero della Salute e vogliono vederci chiaro su questi eventi avversi». Infatti, precisa l’ex consigliere di Stato Giovanbattista Bufardeci, alcuni giudici del consiglio di Stato della sezione siciliana, hanno chiesto «le modalità di valutazione dei rischi e benefici della vaccinazione e le modalità di sorveglianza, sia passiva che attiva». Una sorveglianza necessaria considerato che in 9 mesi di report, dicembre 2020-settembre 2021, erano pervenute al comitato di sorveglianza 101.110 segnalazioni su 84.010.605 dosi somministrate con un tasso di 120 ogni 100.000 dosi. L’85,4% delle segnalazioni sono riferite a eventi non gravi (dolore in sede di iniezione, febbre moderata, astenia/stanchezza, dolori muscolari), il 14,4% a eventi gravi, la cui definizione include anche la segnalazione di febbre elevata, (di cui il 53,6% con esito in risoluzione completa o miglioramento), e lo 0,2% non è definito. Per quanto riguarda gli eventi gravi, al momento della stesura del rapporto, il nesso di causalità secondo l’algoritmo dell’Oms è stato valutato nel 73% delle segnalazioni, e il 40,3% di quelle finora valutate è risultato correlabile alla vaccinazione. In relazione alle vaccinazioni con schedula mista, scrive l’Aifa, il tasso di segnalazione è di 40 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate, la maggior parte non grave e con esito in risoluzione completa o miglioramento. L’andamento delle segnalazioni e i relativi tassi sono sostanzialmente stabili nel tempo, con una lieve flessione attesa nel periodo estivo. Oggi, dopo 5 mesi dall’ultima riunione e ormai a 126 milioni di dosi somministrate, mentre i giudici chiedono chiarezza e chi si è ammalato vuole essere curato, il comitato Aifa è «fermo».
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Sempre la storia dimostra che questo tipo di progresso tecnologico è spesso seguito dallo sviluppo di contromisure, non a caso stiamo assistendo alla comparsa di armi anti-drone, queste sia di tipo convenzionale, con un proiettile che viene sparato contro di essi, ma anche del tipo a energia concentrata, ovvero laser. L’evidenza però è che l'uso dei droni abbia cambiato la natura della guerra, con la zona in cui le forze di terra sono vulnerabili ad attacchi letali da parte di mezzi a pilotaggio remoto che si estende tra dieci e sedici chilometri dietro la linea del fronte. Ciò ha reso trincee, posizioni fortificate e veicoli blindati molto più vulnerabili di quanto non lo fossero in precedenza, costringendo l’industria a sviluppare nuovi tipi di protezioni da installare a bordo. Così se inizialmente i droni hanno dimostrato il loro valore nelle operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, poi in quello di effettori d’attacco, ora costituiscono anche una forza di difesa restando comunque utili per la raccolta di informazioni in tempo reale e per fornire consapevolezza della situazione del campo di battaglia, come anche a supporto della pianificazione e del comando, nel controllo e nella comunicazione come nell'avvistamento dell'artiglieria.
Un colpo deve costare meno di un proiettile
Uno dei problemi da risolvere per praticare un vero contrasto ai droni sono i costi: un sistema laser, oltre che costoso è anche difficilmente trasportabile e resta comunque vulnerabile a eventuali attacchi, dunque in Ucraina vengono usate le infinitamente più economiche reti che riducono l'efficacia dei droni imbrigliandone le eliche. La Marina britannica ha recentemente annunciato che impiegherà un'arma a energia diretta denominata DragonFire, sistema che come detto, sebbene presenti delle limitazioni, come il costo iniziale, le dimensioni, la necessità di alimentazione elettrica e il fatto di dover avere il bersaglio in vista per colpirlo, a ogni colpo costa soltanto l’equivalente di 12 euro. L’alternativa è usare la radiofrequenza, ovvero un’onda radio, che però in quanto a limitazioni si discosta di poco dall’altro: presenta l’indubbio vantaggio di poter colpire più bersagli contemporaneamente, ma non può distinguere tra i bersagli che ingaggia quali sono amici e quali nemici. Tradotto: nessun mezzo amico può volare quando viene usato tale sistema. Non si risolve il problema neppure con effettori come piccoli missili, che costerebbero più di altri droni: esistono, sia chiaro, ma se per neutralizzare un oggetto del valore di qualche migliaio di dollari se ne impiega uno che costa qualche milione, come è avvenuto nel Mar Rosso durante i primi attacchi dei ribelli Houthi alle navi commerciali, le contromisure si rivelano insostenibili.
Un nuovo problema, costruirli in fretta
A parte l’Ucraina, l’Iran e la Cina, nessuna altra nazione è in grado di produrre droni in modo sufficientemente rapido e puntuale per usarli in modo massiccio. Inoltre, l’evoluzione dei droni stessi è tanto rapida che nessuna forza armata può permettersi di tenere in magazzino un arsenale di unità che invecchierebbero in pochi mesi. Ciò ha creato una vulnerabilità critica nelle catene di approvvigionamento delle componenti dei droni, in particolare la dipendenza dell'Occidente da parti e materiali di origine cinese che presentano ovvi rischi per continuità di fornitura, possibili intrusioni software e quindi pericolo per conflitti futuri.
Un rebus tra materiali, costi e normative green
Per risolvere la situazione occorre una nuova corsa alla produzione protetta basandola sulla cooperazione internazionale, costruendo solide alleanze per la produzione di droni tra i membri della Nato concentrandosi sulla produzione coordinata e sempre sull'innovazione. Il tutto per realizzare catene di approvvigionamento sovrane: investire nella produzione nazionale di componenti critici, inclusi semiconduttori e sensori, per ridurre la dipendenza da materiali di origine asiatica. Ciò perché oltre Pechino, si è anche persa la certezza della continuità di produzione proveniente da Taiwan. Un altro metodo è standardizzare la produzione di droni concentrandosi sulla produzione scalabile. La chiamano resilienza ma si tratta di sicurezza della catena di approvvigionamento, partendo dal disporre di una riserva di terre rare e di materiali definiti critici. Questa strategia è però resa ancor più difficile dall’applicazione di severe direttive ecologiche da parte dell’Unione europea e degli Usa, dove già talune produzioni non possono essere più fatte con taluni materiali, con il risultato che un numero significativo di componenti risulta oggi non rispondente alle caratteristiche di quelli precedenti. Lo sa bene chi progetta, sempre più in lotta con dichiarazioni per le normative Reach, che comprende migliaia di sostanze chimiche in vari prodotti inclusi abbigliamento, mobili, ed elettronica), e RoHs, la specifica per i dispositivi elettrici ed elettronici che limita le sostanze pericolose come piombo, mercurio, cadmio e altre per proteggere l’ambiente. E si sa che la guerra non è certo ecologica.
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Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Getty Images
Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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