2020-01-20
I leader della Libia non si parlano a casa della Merkel. Pace più lontana
Parte male la Conferenza di Berlino: tante buone intenzioni ma nessun risultato concreto. Irrilevante il contributo italiano.Doveva essere - nelle intenzioni degli ottimisti - il luogo dell'intesa. E invece è stata - come prevedevano i realisti - solo una tappa intermedia di un cammino ancora lungo e incertissimo, dagli esiti che restano imprevedibili e soprattutto da testare sul campo, già da oggi.La Conferenza di Berlino, alla presenza di diciotto delegazioni, è ufficialmente iniziata ieri nel primo pomeriggio, ma il carattere interlocutorio del suo esito si era capito presto, almeno per due ragioni. Primo: i contendenti Serraj e Haftar hanno avuto solo colloqui separati con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Così, i due libici sono rimasti per tutto il tempo in due stanze separate del palazzo della Cancelleria di Berlino, senza contatti diretti, salvo rivedere di nuovo la padrona di casa tedesca alla fine dei lavori, ma ancora in due incontri distinti. Indiscrezioni attendibili testimoniano il tentativo della Merkel di convincerli a sedere allo stesso tavolo: ma il pressing è rimasto senza successo. Seconda ragione: già a metà giornata era stata diffusa la notizia che sarebbe saltata la conferenza stampa congiunta finale, per l'indisponibilità dei due protagonisti più attesi, con una chiusura del summit affidata alla Merkel e al segretario generale Onu Antonio Guterres.In queste condizioni, la bozza di documento conclusivo predisposta da Onu e Ue, e fatta circolare già prima dell'avvio formale del vertice, appariva palesemente come un elenco di buone intenzioni. 55 punti dettagliati, riassumibili in 6 obiettivi principali ('cessate il fuoco' permanente; embargo sulle armi; nuovo avvio del processo politico; ripristino del controllo statale sull'esercito; istituzione di una commissione economica per le riforme strutturali; rispetto dei diritti umani) a cui all'ultimo momento è stato aggiunto un settimo obiettivo rilevante, cioè l'impegno a non attaccare gli impianti petroliferi. E alla fine la firma dei partecipanti (è bene ribadirlo: in assenza di Serraj e Haftar) è arrivata, ma da qui a ritenere il documento davvero impegnativo e cogente anche per i due fronti libici in lotta ce ne corre. Un tenue segnale incoraggiante è il fatto che Serraj e Haftar abbiano almeno accettato una commissione (di cui hanno nominato i membri: 5+ 5) per il monitoraggio della tregua, cosa a lungo rifiutata da Haftar in passato.Elemento, quest'ultimo, valorizzato dalla Merkel nelle sue dichiarazioni finali, nelle quali ha tuttavia dovuto ammettere che «non abbiamo potuto risolvere tutti i problemi». Per il resto, da parte della cancelliera, solo un elenco di auspici («tutti siamo d'accordo per una soluzione politica e non militare», «c'è uno spirito e un approccio diverso»). Con amara ironia il senso della giornata è stato offerto dal ministro degli Esteri Heiko Maas: «Abbiamo trovato la chiave, ora dobbiamo anche trovare la serratura».Il problema è che le buone intenzioni sintetizzate nel documento finale appaiono contrastanti con la realtà sul terreno. Entrambe le parti ricevono massicciamente soldi e armi: Haftar non ha alcuna intenzione di rinunciare al terreno che ha guadagnato negli ultimi sei mesi di offensiva; Serraj (sostenuto dalla Turchia) pretenderebbe una specie di legittimazione internazionale esclusiva; mentre il suo avversario (supportato da Russia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati) punta a far valere il fatto compiuto della sua avanzata sul campo. La stessa mossa - alla vigilia del vertice - di bloccare i terminal dell'esportazione petrolifera è stato un modo per Haftar per far crescere la pressione su Serraj, giocando la carta dello strangolamento economico come leva negoziale estrema. La prossima tappa del confronto sarà a Ginevra, il 27 gennaio. Ma la sensazione, a maggior ragione dopo Berlino, è che il peso di Ue e Onu nella soluzione della crisi sia sempre meno rilevante. Del resto, già prima del vertice, Serraj era stato brutalmente esplicito in un'intervista al Welt am Sonntag («L'Europa deve fare autocritica. Gli europei sono arrivati troppo tardi»). Molto resta ora nelle mani dei due sponsor principali dei contendenti, da un lato Recep Erdogan, che non nasconde la sua strategia neo ottomana, e dall'altra Vladimir Putin, che punta al ruolo di broker e catalizzatore della stabilità e di un nuovo equilibrio, a lui ovviamente più favorevole, anche nel Mediterraneo. Quanto a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, si sono abbastanza inutilmente agitati per nascondere l'evidente irrilevanza del governo giallorosso. Così, ci sono stati alcuni bilaterali (il più importante con il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo), molte dichiarazioni alla stampa, e un incontro rapido del premier Conte con Guterres, per dire che l'Italia «è pronta a contribuire a una missione di pace e di monitoraggio». Ottenendo però una stroncatura in tempo reale dall'inviato Onu Salamè, che gli ha replicato: «Non sono sicuro che ci sia spazio per una missione europea in Libia. Se c'è un accordo politico forte, sono meno necessari i soldati. Se invece l'accordo politico è molto debole, non ci saranno mai abbastanza soldati sul terreno per controllare la pace». Quanto a Di Maio, ha candidato l'Italia a «ospitare la prossima riunione per implementare il processo politico sulla Libia», ammettendo così il sostanziale insuccesso del meeting di ieri. A proposito di Conte, rimarrà imbarazzante e tragicomica la scenetta (rimbalzata sui social) del primo ministro italiano che arriva in ritardo alla foto di gruppo del vertice, cerca vanamente di infilarsi in prima fila tra i leader maggiori, ma poi scopre che gli è stato riservato soltanto un malinconico posticino laterale in ultima fila.
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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