2018-09-28
I giudici aprono le porte alle adozioni gay
La stepchild adoption fu stralciata dalla legge Cirinnà, ma in tribunale sono sempre più frequenti i casi in cui la pratica viene introdotta surrettiziamente. L'ultimo episodio a Bologna: la Corte d'appello accoglie il ricorso di una coppia lesbica.Erano espressamente escluse dalla legge Cirinnà del 2016, e invece le adozioni gay stanno facendo breccia. Grazie ai giudici. In tribunale i casi sono sempre più frequenti, e malgrado la diffusa opposizione dei Comuni (che si limitano ad applicare la norma) comincia a consolidarsi una giurisprudenza favorevole, soprattutto nei secondi e nei terzi gradi di giudizio. L'ultima ordinanza è di due giorni fa: la Corte d'appello di Bologna ha accolto il ricorso di una coppia di donne omosessuali, una delle quali italoamericana, e ha dichiarato valida la doppia pratica di adozione che avevano concluso negli Stati Uniti. Il caso riguarda due madri, che negli Stati uniti avevano usato la fecondazione eterologa da un donatore anonimo e si erano poi unite in matrimonio. Dopo la nascita di una bimba e di un bimbo, ciascuna delle due donne aveva ottenuto da un tribunale americano l'adozione del figlio dell'altra, e avevano ricevuto la comune attribuzione delle responsabilità genitoriali. Poi si sono trasferite a Bologna, e grazie alla Corte d'appello ora sono mogli e madri a tutti gli effetti.Approvata dal Parlamento nel maggio 2016 con il voto favorevole delle sinistre e l'astensione del Movimento 5 stelle, la legge che porta il nome della parlamentare del Pd Monica Cirinnà prevede che le coppie omosessuali possano unirsi civilmente, ma esclude il diritto dei «coniugi» gay di essere riconosciuti come genitori comuni di un figlio. Proprio per superare l'opposizione delle componenti cattoliche della maggioranza, dalla norma era stata stralciata la «step-child adoption», cioè la possibilità per i componenti delle coppie omosessuali di adottare il figlio del partner, così trasformandosi in coppia genitoriale incrociata. Nel nostro ordinamento, insomma, il figlio di una coppia omosessuale, anche se «unita civilmente», è figlio o della donna che lo ha partorito, oppure del padre che lo ha concepito. Come invece prevedevano e temevano oltre due anni fa gli oppositori della legge Cirinnà, attraverso continue forzature giuridiche questo diritto si sta surrettiziamente concretizzando. A dire il vero, già nel 2014 (e quindi due anni prima della legge Cirinnà) il tribunale di Roma aveva consentito la stepchild adoption, ritenendola possibile «in casi particolari», e là dove «il preminente interesse del minore possa realizzarsi nell'ambito di un nucleo familiare costituito da una coppia del medesimo sesso». Ma dopo il varo della legge lo stillicidio di pronunce favorevoli ne sta letteralmente stravolgendo il dettato. E questo accade anche là dove i Comuni e i tribunali di primo grado si oppongono alle adozioni gay. Del resto, la stessa Cassazione lavora per scardinare i pochi paletti della norma. Già nel giugno 2016, quando la legge Cirinnà era stata appena pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, la prima sezione civile della suprema corte aveva confermato una sentenza della Corte d'appello di Roma e aveva accolto la domanda di adozione di una bimba, avanzata dalla partner convivente della madre. Anche in quel caso, la Cassazione aveva stabilito che l'adozione «può essere ammessa sempre che, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore».Da allora, in nome di questo «preminente interesse», le porte dell'adozione si sono socchiuse e ora si stanno letteralmente spalancando. Nel giugno 2016, per esempio, la Corte d'Appello di Torino ha respinto una sentenza del tribunale di primo grado e concesso a due donne (in quel caso, per di più, provenienti dalla rottura di due precedenti coppie omosessuali) l'adozione del figlio partorito dall'altra. Nel febbraio 2017, la Corte d'Appello di Trento ha dichiarato valido anche in Italia il certificato di nascita straniero che attestava la paternità di una coppia gay su due gemelli nati otto anni prima in Canada attraverso la procreazione assistita. In quel caso, malgrado la contrarietà del Comune e del ministero dell'Interno, i giudici trentini avevano scritto che «la capacità e la possibilità di essere genitore non dipende esclusivamente dal legame biologico fra il genitore e il nato, bensì dalla consapevole e volontaria decisione di allevare e accudire il nato». Ora della questione dovrebbe occuparsi la Cassazione a sezioni riunite. Ma il vero colpo di grazia al limite posto della legge Cirinnà è arrivato lo scorso maggio. Quando la stessa Cassazione ha confermato la decisione con cui la Corte d'appello di Napoli aveva ordinato all'anagrafe del Comune di Avellino di trascrivere i documenti d'adozione di due bimbe nate in Francia da una coppia di donne. Questa sentenza, in particolare, è la vera «bomba finale» piazzata sotto il divieto di adozione incrociata. Perché la Cassazione ha stabilito che nessun Comune, di fatto, possa rifiutare a una coppia gay la trascrizione nei registri degli atti di nascita dell'adozione di un minore concessa all'estero: secondo i giudici, lo richiederebbe «l'interesse delle adottate» che si realizza «mantenendo in essere i rapporti affettivi e le dinamiche di vita in comune che avevano costruito e consolidato, nel tempo, con le compagne delle rispettive madri biologiche».