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2019-06-25
I Giochi invernali tornano in Italia. Pioggia di euro su Milano e Cortina
Ansa
Apparentemente è un notizia di cronaca, come vincere una gara, come salire su un podio; abbiamo battuto Stoccolma (quelli che ci avevano buttato fuori dallo spareggio per i Mondiali), l'Italia organizzerà le Olimpiadi invernali 2026, dopo aver arredato la sua sontuosa vetrina sull'asse lombardo-veneto, imbullonato nei cardini municipali di Milano-Cortina. Ma, ovviamente, c'è molto di più.
In primo luogo perché è pur sempre una vittoria nazionale: sarà il nostro Paese, agli occhi del mondo, ad ospitare l'evento sportivo più atteso, sia pure dopo averlo agguantato con un colpo di reni, in una originale sintesi politico-territoriale. E poi perché, se non altro, va ricordato l'antefatto: Torino che si sgancia, Il sindaco Beppe Sala e il governatore Luca Zaia che tengono aperta la sfida, proprio quando molti già non ci credono più. Ma si sa: l'Italia dà il meglio di se quando parte sfavorita, e quando compete fuori dai suoi confini.
La notizia della vittoria nella gara per l'assegnazione è arrivata ieri sera, alle 18.00 con puntualità svizzera, dalla sede del Cio di Losanna. La nostra candidatura ha battuto 47-34 la temibile concorrenza svedese del duo Stoccolma-Are, dopo la avventurosa rinuncia di Calgary (per effetto di un referendum consultivo in cui ha prevalso il No).
Giancarlo Giorgetti ha vinto una posta virtuale: «Scommetto 100 euro», aveva detto alla vigilia, «che siamo a un passo dal successo». Ha avuto ragione.
E c'è anche un corollario politico: si scompongono e si ricompongono le alleanze. Vince il fronte del Sì Pd-Lega, perde chi aveva puntato sul No: ovvero le due sindache a 5 stelle che, in momenti diversi, non hanno creduto alla sostenibilità dei grandi eventi sportivi per le loro città. I membri del Comitato olimpico internazionale hanno ritenuto più valido il dossier italiano presentato dal presidente del Coni Giovanni Malagò accompagnato in Svizzera proprio da Giorgetti (nel suo ruolo di sottosegretario con delega allo Sport).
Per l'Italia è la terza Olimpiade invernale dopo Cortina D'Ampezzo nel 1956 e Torino nel 2006, e ci sono già date indicative in cui si svolgeranno questi Giochi olimpici tricolore: sono 6-22 febbraio 2026. È la prima volta - invece - che i Giochi invernali vengono assegnati a due città.
La foto della vigilia vedeva il governatore lombardo Attilio Fontana, il sindaco di Milano Beppe Sala, Gianpietro Ghedina, sindaco di Cortina, e il presidente del Veneto, Luca Zaia, in uno splendido affaccio veneziano con le mani una sull'altra come i quattro moschettieri. Ma a Losanna ha pagato il gioco di squadra trasversale anche fra diverse istituzioni amministrative e sportive, e la gioia della delegazione italiana è deflagrata in maniera plateale al momento dell'assegnazione: con Malagó c'erano le tre atlete medagliate olimpiche Arianna Fontana, Sofia Goggia, Michela Moioli. Giacca cravatta e tute (azzurre), in una delegazione dove c'erano Alberto Tomba, Armin Zoeggeler, Manuela Di Centa, Diana Bianchedi, Aldo Montano, Antonio Rossi, Giuseppe Abbagnale (come presidente della federazione canottaggio), Alessandra Sensini (da vicepresidente Coni), Carlo Mornati (segretario generale del Coni) e il presidente del Comitato italiano paralimpico (Cip) Luca Pancalli. Un plotone di quintessenza azzurra e medagliata.
Una curiosità: la Svezia non è mai riuscita a farsi assegnare dei Giochi invernali ma solo quelli estivi nel 1912. Siamo di nuovo sul tetto del mondo, con Cortina che suona le campane a festa, srotolando dalla sua torre più alta una bandiera tricolore lunga 30 metri. In piazza la folla ha intonato spontaneamente l'inno di Mameli e Novaro: «Stringiamoci a coorte». E, in questo caso, stringiamoci a Cortina.
Ma subito scoppia il caso San Siro
Assegnate a Milano-Cortina le Olimpiadi invernali del 2016, si apre il fronte dello stadio di San Siro, sede della cerimonia di apertura. Da una parte Inter e Milan che vogliono un nuovo impianto, dall'altra il sindaco di Milano, Beppe Sala, che frena. Tutto è accaduto a Losanna, a poche ore dalla decisione del Cio. Dopo anni di tira e molla, le due squadre di Serie A del capoluogo lombardo avevano trovato un accordo per costruire un nuovo stadio. A confermarlo l'amministratore delegato nerazzurro Alessandro Antonello e il presidente rossonero Paolo Scaroni, entrambi nella città svizzera nella delegazione della candidatura di Milano-Cortina per i Giochi invernali 2026. Il numero uno del Milan targato Elliott non ha voluto rispondere alle domande sul ricorso della società al Tas, ma sul nuovo stadio è parso piuttosto loquace: «Facciamo un nuovo San Siro accanto al vecchio, nella stessa area della concessione. Il vecchio verrà buttato giù e al suo posto ci saranno nuove costruzioni», ha detto senza fornire però dettagli sulle tempistiche. Lo fate insieme? «Assolutamente», ha risposto Antonello ai cronisti.
Si vocifera di un investimento da circa 600-700 milioni di euro, tre anni per la costruzione, 60.000 posti (oltre 20.000 in meno rispetto all'attuale impianto, per poter ospitare le finali delle competizioni secondo i dettami dell'Uefa), spazi commerciali e ingressi distinti per i due club. Il tutto vicino al vecchio stadio, anche per conservare il nome, cioè San Siro, il nome del quartiere. Inter e Milan sono decise a seguire l'ondata globale: negli ultimi dieci anni in tutto il mondo sono stati iniziati i lavori per 495 nuovi stadi, di cui 240 legati al calcio. Due grandi ragioni. La prima: gli esempi virtuosi, dalla Juventus al Barcellona, insegnano che un nuovo stadio, più moderno, fa lievitare gli incassi. La seconda: i costi per le infrastrutture rientrano tra le spese virtuose e per questo vengono esclusi dal bilancio che l'Uefa esamina alla lente del fair play finanziario.
Ma subito il progetto compartecipato, una formula spuntata fuori dopo anni di confronti sullo stadio di proprietà, è stato rimbalzato dal sindaco Sala. «Dovessimo fare la cerimonia nel nuovo stadio sarebbe bello», ha osservato Scaroni dopo essersi intrattenuto con l'assessore allo Sport del Comune di Milano, Roberta Guaineri. Tuttavia, ecco arrivare, a distanza di pochi minuti dalle dichiarazioni di Antonello e Scaroni, la pietra tombale di Sala. «Il Comune è proprietario di San Siro», ha dichiarato: se Milan e Inter «decidono di fare uno stadio posso solo dire due cose. Ci vorrà tempo. E poi alla fine siamo padroni dello stadio. Nel dossier» di Milano-Cortina «abbiamo garantito che nel 2026 San Siro sarà ancora funzionante. Questa è la fine della storia», ha dichiarato Sala rinviando tutto al dopo 2026, perché «ora siamo nell'assoluta condizione di confermare che quella sarà la sede della cerimonia di apertura».
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A Losanna battuta la candidatura Stoccolma-Are. Date previste: 6-22 febbraio 2026. Paga il gioco di squadra trasversale anche tra diverse istituzioni amministrative e sportive, in un'originale sintesi politico-territoriale.Scoppia il caso San Siro. Il presidente del Milan, Paolo Scaroni: «Stadio da demolire, in 3 anni faremo quello nuovo con l'Inter». Che conferma. Il sindaco di Milano, Beppe Sala: «Inaugureremo lì i Giochi: non si tocca nulla prima del 2026».Lo speciale contiene due articoli.Apparentemente è un notizia di cronaca, come vincere una gara, come salire su un podio; abbiamo battuto Stoccolma (quelli che ci avevano buttato fuori dallo spareggio per i Mondiali), l'Italia organizzerà le Olimpiadi invernali 2026, dopo aver arredato la sua sontuosa vetrina sull'asse lombardo-veneto, imbullonato nei cardini municipali di Milano-Cortina. Ma, ovviamente, c'è molto di più. In primo luogo perché è pur sempre una vittoria nazionale: sarà il nostro Paese, agli occhi del mondo, ad ospitare l'evento sportivo più atteso, sia pure dopo averlo agguantato con un colpo di reni, in una originale sintesi politico-territoriale. E poi perché, se non altro, va ricordato l'antefatto: Torino che si sgancia, Il sindaco Beppe Sala e il governatore Luca Zaia che tengono aperta la sfida, proprio quando molti già non ci credono più. Ma si sa: l'Italia dà il meglio di se quando parte sfavorita, e quando compete fuori dai suoi confini.La notizia della vittoria nella gara per l'assegnazione è arrivata ieri sera, alle 18.00 con puntualità svizzera, dalla sede del Cio di Losanna. La nostra candidatura ha battuto 47-34 la temibile concorrenza svedese del duo Stoccolma-Are, dopo la avventurosa rinuncia di Calgary (per effetto di un referendum consultivo in cui ha prevalso il No). Giancarlo Giorgetti ha vinto una posta virtuale: «Scommetto 100 euro», aveva detto alla vigilia, «che siamo a un passo dal successo». Ha avuto ragione. E c'è anche un corollario politico: si scompongono e si ricompongono le alleanze. Vince il fronte del Sì Pd-Lega, perde chi aveva puntato sul No: ovvero le due sindache a 5 stelle che, in momenti diversi, non hanno creduto alla sostenibilità dei grandi eventi sportivi per le loro città. I membri del Comitato olimpico internazionale hanno ritenuto più valido il dossier italiano presentato dal presidente del Coni Giovanni Malagò accompagnato in Svizzera proprio da Giorgetti (nel suo ruolo di sottosegretario con delega allo Sport). Per l'Italia è la terza Olimpiade invernale dopo Cortina D'Ampezzo nel 1956 e Torino nel 2006, e ci sono già date indicative in cui si svolgeranno questi Giochi olimpici tricolore: sono 6-22 febbraio 2026. È la prima volta - invece - che i Giochi invernali vengono assegnati a due città. La foto della vigilia vedeva il governatore lombardo Attilio Fontana, il sindaco di Milano Beppe Sala, Gianpietro Ghedina, sindaco di Cortina, e il presidente del Veneto, Luca Zaia, in uno splendido affaccio veneziano con le mani una sull'altra come i quattro moschettieri. Ma a Losanna ha pagato il gioco di squadra trasversale anche fra diverse istituzioni amministrative e sportive, e la gioia della delegazione italiana è deflagrata in maniera plateale al momento dell'assegnazione: con Malagó c'erano le tre atlete medagliate olimpiche Arianna Fontana, Sofia Goggia, Michela Moioli. Giacca cravatta e tute (azzurre), in una delegazione dove c'erano Alberto Tomba, Armin Zoeggeler, Manuela Di Centa, Diana Bianchedi, Aldo Montano, Antonio Rossi, Giuseppe Abbagnale (come presidente della federazione canottaggio), Alessandra Sensini (da vicepresidente Coni), Carlo Mornati (segretario generale del Coni) e il presidente del Comitato italiano paralimpico (Cip) Luca Pancalli. Un plotone di quintessenza azzurra e medagliata. Una curiosità: la Svezia non è mai riuscita a farsi assegnare dei Giochi invernali ma solo quelli estivi nel 1912. Siamo di nuovo sul tetto del mondo, con Cortina che suona le campane a festa, srotolando dalla sua torre più alta una bandiera tricolore lunga 30 metri. In piazza la folla ha intonato spontaneamente l'inno di Mameli e Novaro: «Stringiamoci a coorte». E, in questo caso, stringiamoci a Cortina. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-giochi-invernali-tornano-in-italia-pioggia-di-euro-su-milano-e-cortina-2638973144.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-subito-scoppia-il-caso-san-siro" data-post-id="2638973144" data-published-at="1766731217" data-use-pagination="False"> Ma subito scoppia il caso San Siro Assegnate a Milano-Cortina le Olimpiadi invernali del 2016, si apre il fronte dello stadio di San Siro, sede della cerimonia di apertura. Da una parte Inter e Milan che vogliono un nuovo impianto, dall'altra il sindaco di Milano, Beppe Sala, che frena. Tutto è accaduto a Losanna, a poche ore dalla decisione del Cio. Dopo anni di tira e molla, le due squadre di Serie A del capoluogo lombardo avevano trovato un accordo per costruire un nuovo stadio. A confermarlo l'amministratore delegato nerazzurro Alessandro Antonello e il presidente rossonero Paolo Scaroni, entrambi nella città svizzera nella delegazione della candidatura di Milano-Cortina per i Giochi invernali 2026. Il numero uno del Milan targato Elliott non ha voluto rispondere alle domande sul ricorso della società al Tas, ma sul nuovo stadio è parso piuttosto loquace: «Facciamo un nuovo San Siro accanto al vecchio, nella stessa area della concessione. Il vecchio verrà buttato giù e al suo posto ci saranno nuove costruzioni», ha detto senza fornire però dettagli sulle tempistiche. Lo fate insieme? «Assolutamente», ha risposto Antonello ai cronisti. Si vocifera di un investimento da circa 600-700 milioni di euro, tre anni per la costruzione, 60.000 posti (oltre 20.000 in meno rispetto all'attuale impianto, per poter ospitare le finali delle competizioni secondo i dettami dell'Uefa), spazi commerciali e ingressi distinti per i due club. Il tutto vicino al vecchio stadio, anche per conservare il nome, cioè San Siro, il nome del quartiere. Inter e Milan sono decise a seguire l'ondata globale: negli ultimi dieci anni in tutto il mondo sono stati iniziati i lavori per 495 nuovi stadi, di cui 240 legati al calcio. Due grandi ragioni. La prima: gli esempi virtuosi, dalla Juventus al Barcellona, insegnano che un nuovo stadio, più moderno, fa lievitare gli incassi. La seconda: i costi per le infrastrutture rientrano tra le spese virtuose e per questo vengono esclusi dal bilancio che l'Uefa esamina alla lente del fair play finanziario. Ma subito il progetto compartecipato, una formula spuntata fuori dopo anni di confronti sullo stadio di proprietà, è stato rimbalzato dal sindaco Sala. «Dovessimo fare la cerimonia nel nuovo stadio sarebbe bello», ha osservato Scaroni dopo essersi intrattenuto con l'assessore allo Sport del Comune di Milano, Roberta Guaineri. Tuttavia, ecco arrivare, a distanza di pochi minuti dalle dichiarazioni di Antonello e Scaroni, la pietra tombale di Sala. «Il Comune è proprietario di San Siro», ha dichiarato: se Milan e Inter «decidono di fare uno stadio posso solo dire due cose. Ci vorrà tempo. E poi alla fine siamo padroni dello stadio. Nel dossier» di Milano-Cortina «abbiamo garantito che nel 2026 San Siro sarà ancora funzionante. Questa è la fine della storia», ha dichiarato Sala rinviando tutto al dopo 2026, perché «ora siamo nell'assoluta condizione di confermare che quella sarà la sede della cerimonia di apertura».
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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Vincent Van Gogh, Campi di grano con falciatore, Auvers, 1890.Toledo Museum of Art, acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey
Figura che ama stupire, questa volta Goldin ha ideato un’esposizione che « va cronologicamente a ritroso »: parte dall'astrazione americana del secondo Novecento (con artisti come Richard Diebenkorn, Morris Louis e Helen Frankenthaler), prosegue con l'astrazione europea ( rappresentata da opere di Piet Mondrian, Paul Klee e Ben Nicholson) e si conclude con il passaggio dal Novecento all’Ottocento, con focus su natura morta, ritratto e paesaggio. Tre temi fondamentali, pur nelle loro molteplici declinazioni, rappresentati, in mostra, dalle sfumature poetiche delle nature morte di Giorgio Morandi e Georges Braque e dai ritratti e dalle figure di Matisse, Bonnard e Vuillard, sino ad arrivare a De Chirico e Modigliani (di grande intensità il ritratto di Paul Guillaume del 1815) e alla famosa Donna con cappello nero, uno splendido Picasso cubista del 1909. Davvero straordinaria anche la parte (l’ultima di questo originale percorso al contrario…) dedicata al paesaggio, che regala al visitatore le meravigliose visioni veneziane di Paul Signac, la Parigi di Robert Delaunay e Fernand Léger e una strepitosa sequenza di paesaggi impressionisti e post-impressionisti, tra cui spiccano una delle ultime versioni (forse la più bella… ) delle Ninfee di Monet, accanto a capolavori assoluti di Gauguin, Cezanne, Caillebotte, Renoir e Sisley, a Treviso con il suo celebre L’acquedotto a Marly, realizzato nello stesso anno della prima mostra impressionista, il 1874. A chiudere questo anomalo e ricchissimo percorso espositivo, l’artista più amato e studiato da Goldin: Vincent Van Gogh.
Solitario, a dominare su tutto, quasi a congedare il pubblico, quel capolavoro che è Campo di grano con falciatore ad Auvers del 1890, l’opera con cui l’artista olandese dice addio alla vita e che rappresenta con largo anticipo l’arte futura, quella modernità già raggiunta da Van Gogh nell’incomprensione quasi totale del suo tempo… E sempre a lui, inarrivabile e tormentato genio pittorico , è dedicato film scritto e diretto da Goldin Gli ultimi giorni di Van Gogh, proiettato a ciclo continuo nella sala ipogea del museo trevigiano. Con questa poetica proiezione si conclude il percorso espositivo, che splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art dell’Ohio, il quotatissimo museo americano (nominato nel 2025 il miglior museo degli Stati Uniti) che ha reso possibile questa prestigiosa esposizione, che da sola merita almeno un giorno a Treviso…
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