
Le parole di Sergio Mattarella a Codogno («Questo è il tempo di un impegno che non lascia spazio a distinzioni») strumentalizzate dall'esecutivo, pronto a tutto per evitare il ritorno alle urne.Il prezzo da pagare alla retorica è una tassa quasi inevitabile in Italia. Tuttavia, la presenza del capo dello Stato - proprio in occasione della festa della Repubblica - a Codogno, luogo simbolo delle settimane più dure del coronavirus, ha un significato non banale. Tornano alla mente l'incredibile tentativo di Giuseppe Conte di colpevolizzare gli ospedali di Lodi e Codogno, all'inizio del contagio; la lunga e ossessiva campagna politica e mediatica di criminalizzazione della Lombardia e del suo governo regionale; fino alle sbavature degli ultimi giorni, con le frasi sgradevoli nei confronti dei cittadini lombardi di alcuni governatori del Sud. Ecco, l'arrivo di Sergio Mattarella a Codogno è stato un modo - speriamo non solo simbolico - per iniziare a ricucire alcune ferite. E c'è da augurarsi possa essere anche un oggettivo invito a voltare pagina: a sospendere l'aggressione contro la giunta lombarda, e a ricreare un clima di rispetto autentico nei confronti della regione più colpita dal virus, che è anche quella economicamente più importante del Paese. Mattarella, che ha anche deposto una corona di fiori al cimitero in memoria delle vittime, ha detto tra l'altro: «Questo è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e distinzioni. Qui nella casa comunale di Codogno oggi, come poche ore fa a Roma all'Altare della patria, è presente l'Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio. In una continuità ideale in cui celebriamo ciò che tiene unito il nostro Paese: la sua forza morale. Da qui vogliamo ripartire». E in effetti in mattinata il presidente della Repubblica aveva reso omaggio all'Altare della patria, in una cerimonia molto breve - una quindicina di minuti - per evidenti ragioni senza la tradizionale parata ai Fori imperiali. Sempre ieri Mattarella ha inviato un messaggio ai prefetti, lodandone l'impegno nell'emergenza sanitaria, ed evocando la pesante crisi economica e sociale che si preannuncia. Insomma, come già era avvenuto l'altro ieri, un ulteriore invito all'unità, che però ciascun attore politico, com'era inevitabile, ha letto a modo proprio. Strumentale e scontato il tentativo di Conte di curvare a proprio vantaggio l'appello del Colle, per blindare il proprio governo: «Scacciamo via la tentazione delle inutili rincorse a dividerci e dello spreco di energie nel rimarcare i contrasti. Dobbiamo tutti raccogliere l'invito del capo dello Stato a collaborare, pur nella distinzione dei ruoli e delle posizioni politiche». Dev'essere un omonimo del Conte che ha imperversato in tv con le sue dirette, che ha umiliato il Parlamento con i Dpcm, che ha azzerato a colpi di fiducia gli emendamenti dell'opposizione, che ha perfino precluso il voto di una risoluzione parlamentare prima dell'ultimo vertice Ue. Conte usa le parole di Mattarella come scudo e giubbetto antiproiettile, per salvare un'esperienza di governo che in tempi normali sarebbe già esaurita. In fondo, anche Luigi Di Maio, che pure ha verso Conte non poche ragioni di risentimento, ieri è sembrato comportarsi nello stesso modo: «È necessario che tutte le forze politiche dimostrino senso di appartenenza al tricolore. Facciamolo con la responsabilità auspicata da Sergio Mattarella. Mai come oggi serve compattezza, bisogna deporre le armi della propaganda». Il che fa capire che, sia tra i grillini sia nel Pd (si pensi all'attivissimo Dario Franceschini), anche quelli che immaginano un cambio in corsa ai danni di Conte, lo concepiscono tuttavia nel medesimo perimetro giallorosso, con l'unico obiettivo di protrarre la legislatura e arrivare a blindare il Quirinale con un loro candidato per un altro settennato. Sul versante opposto, il centrodestra si interroga. C'è chi ritiene sincero l'appello del Quirinale, e c'è chi invece è amareggiato per la naturalezza con cui i giornali dell'establishment (a partire da Corriere e Repubblica) hanno giocato a mettere in contrapposizione l'invito di Mattarella all'unità e le manifestazioni di Lega-Fdi-Fi, come se manifestare civilmente fosse improvvisamente divenuto un crimine politico. A destra i più lucidi non si limitano a rimproverare al governo l'inconsistenza della strategia economica, la sudditanza verso Bruxelles, la sordità alle proposte avanzate dall'opposizione nei tre mesi passati, ma indicano le prossime tappe di una crisi economica che si annuncia esplosiva. A metà agosto ci sarà lo stop al divieto di licenziamento; a metà settembre un'autentica bomba fiscale, con la scadenza di tutte le tasse rinviate da marzo; è insomma prevedibile uno tsunami di fallimenti e licenziamenti. E già si avvertono segnali inquietanti: i primi suicidi per ragioni economiche, nella distrazione di politica e media. È palese che il governo Conte non abbia la robustezza per reggere al prossimo semestre. La stessa attesa messianica del Recovery fund è destinata a rivelarsi vana: da qui al 2021 le risorse europee si prospettano incerte, centellinate, condizionate. Davanti a questo scenario, ci sarebbe la strada maestra, vista però dai giallorossi come il fumo negli occhi, e cioè il ritorno alle urne; oppure si può tentare di tenere in rianimazione il governo Conte; o infine immaginare un cambio in corsa, teorizzato però da Pd e M5s come affare da realizzare sempre tra loro. La sensazione è che le ultime due strade sottovalutino gli scossoni del prossimo autunno. Davanti ai quali, forse, al Colle non basterà più temporeggiare e diffondere vaghi inviti alla collaborazione.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





