2018-07-07
«I figli delle coppie gay sono felici». Ma lo studio se lo sono fatti da soli
L'immancabile ricerca che accredita la bellezza dei modelli «alternativi» a quello tradizionale e naturale non regge a un serio esame scientifico Il campione usato, infatti, è già orientato.Si moltiplicano le sentenze che sdoganano modelli di genitorialità non previsti dalla biologia (e dalle nostre leggi). Anche se qualche istituzione resiste ancora.Lo speciale contiene due articoliBoom! «I figli delle coppie gay hanno problemi psicologici? Studio italiano sfata i pregiudizi». È il titolo con cui fanpage.it dà conto di uno studio pubblicato sul Journal of developmental & behavioral pediatrics. Il titolo non è iperbolico, sono gli stessi autori ad affermare che i risultati dello studio «suggeriscono che i bambini con genitori dello stesso sesso stanno bene sia in termini di adattamento psicologico che di comportamento sociale» e ad aggiungere che lo studio «mette in guardia i responsabili politici dal fare ipotesi sulla base dell'orientamento sessuale su persone che sono più adatte di altre a essere genitori o su persone a cui dovrebbe o non dovrebbe essere negato l'accesso a trattamenti di fertilità». Si tratta dunque di uno studio che dovrebbe secondo gli autori essere in grado persino di orientare il legislatore. Riboom! Per sapere come uno studio giunge a determinati risultati la prima cosa che fa un qualsiasi ricercatore scientifico è andare a leggere la sezione dei materiali e metodi. Si tratta di andare a vedere le fondamenta e le pietre di una costruzione scientifica per poi capirne la solidità. È esattamente quello che ho fatto e subito è apparso chiaro che lo studio in questione, secondo cui i bambini concepiti mediante fecondazione in vitro ed eventualmente utero in affitto da adulti che vivono con una persona dello stesso sesso stanno meglio di quelli concepiti naturalmente, non si differenzia da una paccata di pubblicazioni accumulatesi negli anni dal valore scientifico modestissimo (per essere generosi) i cui risultati non giustificano affatto le conclusioni degli autori. Lo studio in questione ha confrontato la condizione di 195 bambini di età compresa tra 3 ed 11 anni concepiti in modo naturale con quella di 125 coetanei con madre lesbica e di 70 con padre omosessuale. Ma questi 390 bambini come sono stati individuati? Lo scrivono gli autori proprio nei materiali e metodi: il 72% delle madri lesbiche e il 65,7% dei padri gay è stato reclutato attraverso la mailing list dell'Associazione italiana famiglie srcobaleno, che ha inviato ai membri il link al sondaggio (insieme all'invito a partecipare allo studio); i rimanenti genitori erano reclutati attraverso avvisi online posti su gruppi Facebook di genitori omosessuali. Cosa deriva da questo? Che il campione studiato non è randomizzato, ma un campione detto «di convenienza», cioè un campione che conviene ai ricercatori (economicamente, organizzativamente, ma non si può escludere ideologicamente). Questo tipo di «arruolamento» è ciò che c'è di più lontano da consentire di estendere il risultato ottenuto all'intera popolazione. Voglio farvi un esempio che rende tutto più chiaro. Il censimento Usa ci dice che la popolazione di colore è pari al 13,4% dei residenti. La popolazione di colore in Svezia corrisponde all'1,1%. Scommettiamo che riesco a dimostrare che in Svezia ci sono più persone di colore che in America? Basta che rivolga la domanda «fra la tua cerchia di amici ci sono persone di colore?» alla mailing list degli iscritti al Ku klux klan in Usa, sulla bacheca dell'Associazione di amicizia Burkina Faso-Svezia e su quella gli dell'Associazione di amicizia Svezia-Etiopia è il gioco è fatto. Tornando allo studio in questione: secondo voi quante sono le probabilità che gli adulti omosessuali che sono sulla mailing list di una nota organizzazione omosessuale partecipino ad uno studio del genere se hanno problemi coi bambini? E quante sono le probabilità che diano conto in maniera oggettiva della situazione dei minori? Perché è importante sapere che i ricercatori, quantunque abbiano usato strumenti standardizzati, non hanno verificato di persona la situazione dei bambini, ma hanno elaborato un questionario somministrato agli adulti. Il sociologo Donald Sullins ha dimostrato in uno studio del 2015 l'enorme distorsione dei risultati somministrando proprio uno dei questionari usati dagli autori, lo Strengths and difficulties questionnaire (Sdq), a un campione non randomizzato. L'anno dopo sulla prestigiosa rivista Plos one, Sharmila Vaz, dell'Università di Perth, pubblicava dati che dimostravano che «usare l'Sdq solo coi genitori o con gli insegnanti non è raccomandato». Ma c'è di più e di peggio. Gli autori scrivono di avere domandato agli intervistati l'orientamento sessuale, tuttavia né in tabella, né nel testo è riportato l'orientamento sessuale di coloro che hanno concepito il figlio con un rapporto naturale. Se confermato, ne deriverebbe che all'interno del campione assunto come controllo potrebbero essere incluse persone bisessuali, o persone omosessuali che non abbiano fatto «coming out», rendendo il campione di controllo invalido. Tutto può essere, ma quante persone eterosessuali conoscete che passano il tempo a leggere i post sulle pagine Facebook dei genitori gay in attesa di partecipare agli studi sui figli dei gay e delle lesbiche? E anche se fossero tutti eterosessuali non è poi così difficile ipotizzare nell'interpretazione dei risultati che un numero considerevole di questi appartenga alla categoria dei simpatizzanti arcobaleno che gli Lgbt identificano col termine «alleati» introducendo nello studio una distorsione fatale. Queste considerazioni sono ben presenti agli autori che in effetti nella discussione hanno messo le mani avanti rispetto alla generalizzazione dei risultati ricordando come il loro studio è soggetto alla distorsione della desiderabilità sociale delle risposte e come le misurazioni della condizione dei bambini sia stata indiretta. Risulta dunque incomprensibile come risultati così poco fruibili per considerazioni generali, dovrebbero essere in grado di impedire al legislatore di pensare che crescere con genitori di sesso opposto, a parità di condizioni, sia una risorsa capace di offrire una ricchezza impossibile da raggiungere in modelli monosessuali. D'altra parte il lavoro vede per autori un gruppo di ricercatori dell'Università della Sapienza che non fa mistero delle proprie convinzioni circa la totale sovrapposizione della crescita con adulti di sesso opposto o dello stesso sesso. Tesi legittima, ma che va contro tutte le acquisizioni della scienza in termini di sviluppo neurobiologico e psicologia dello sviluppo e che anche questa loro fatica è ben lungi dal dimostrare. Se dunque c'è una raccomandazione da fare ai politici, è quella di dotarsi di consulenti competenti e obiettivi prima di dare rilevanza a studi metodologicamente inadeguati a dimostrare ciò che vantano.Renzi Puccetti<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-figli-delle-coppie-gay-sono-felici-ma-lo-studio-se-lo-sono-fatti-da-soli-2584370753.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="prima-napoli-ora-pistoia-il-concetto-di-famiglia-lo-riscrivono-i-magistrati" data-post-id="2584370753" data-published-at="1757570876" data-use-pagination="False"> Prima Napoli, ora Pistoia Il concetto di famiglia lo riscrivono i magistrati Sì agli atti di nascita dei figli di «due madri». È quanto stabilito quasi in contemporanea da due tribunali, quelli di Pistoia e Bologna, col primo che giovedì - seguito a ruota da un pronunciamento «gemello» del secondo - ha sancito per la prima volta l'applicabilità degli articoli 8 e 9 della legge 40 sulla fecondazione extracorporea, affermando che la responsabilità genitoriale della madre non biologica sorge per effetto della prestazione del consenso alla procreazione assistita eterologa. Una decisione cui la magistratura pistoiese è pervenuta in seguito al rifiuto dell'Amministrazione di Montale, comune toscano di 10.000 anime, di riconoscere il doppio cognome materno ad un bambino nato a Prato a seguito di un intervento di procreazione medicalmente assistita cui si erano sottoposte, in Spagna, due donne del paese unite civilmente. Un rifiuto, quello del comune di Montale, giudicato dunque illegittimo. Questo perché, secondo il tribunale di Pistoia, «il diritto alla genitorialità, e ancor più alla bigenitorialità, è un diritto prima di tutto del minore ad instaurare relazioni affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso sia stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche di cui alla Pma», ragion per cui «il figlio voluto dalla coppia omosessuale attraverso il ricorso alla Pma deve trovare tutela anche sotto il profilo giuridico». Ne consegue come, sempre secondo il giudice, vada «ormai abbandonato un concetto di filiazione basato sul solo dato biologico e genetico, aprendo invece l'orizzonte a criteri di attribuzione dello status filiationis che poggiano sulla manifestazione del consenso così come disciplinata dall'art. 6 L. 40/2004». Articolo, questo, che per l'appunto disciplina il consenso informato nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il tribunale ha altresì affermato come «un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 L. 40/2004» porti a ritenere «che i bimbi nati in Italia a seguito di tecniche di PMA eseguite all'estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una famiglia». Una tesi per suffragare la quale si è ricordato che «in questo solco si collocano anche numerose prese di posizione da parte di ufficiali di stato civile che stanno registrando la nascita in Italia di bambini di coppie di donne». In effetti, a Torino, Milano e Sesto Fiorentino registrazioni di atti di nascita di bambini senza padre ce ne sono state. Come però questo o il fatto che due donne ricorse alla provetta fossero ben convinte di «voler assumere la responsabilità genitoriale» possano arrivare - con tutto il rispetto per le «interpretazioni costituzionalmente orientate», s'intende - a legittimare l'idea, sempre smentita dalla realtà, che esistano bambini non concepiti grazie ad un padre e una madre, rimane un mistero. Che tutti abbiano una mamma e un papà, infatti, non è fissazione da bigotti né da giuristi fuori dal tempo, ma una constatazione che solo al pensiero di dover riprendere, direbbe il cardinale Carlo Caffarra, «viene da piangere». Eppure a questo siamo. Pensieri che manco sfiorano, figuriamoci, il fronte arcobaleno, nel quale le sentenze di Pistoia di Bologna hanno suscitato gran entusiasmo. Di «giornata storica» ha per esempio parlato Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno, la quale, dopo la sentenza della sentenza della Corte d'appello di Napoli che aveva accolto la richiesta di stepchild adoption avanzata da due madri - di cui ha riferito ieri La Verità -, intravede nel decreto del tribunale di Pistoia la definitiva conferma del fatto che l'azione di quei sindaci e ufficiali di stato civile che trascrivono atti di nascita di figli di due madri o di due papà sia «pienamente fondata». Il decreto della magistratura toscana ha dato invece lo spunto a Sebastiano Secci, presidente del circolo Mario Mieli, per rivolgere un appello al sindaco di Roma. Virgina Raggi a suo dire sarebbe infatti rea «di non voler prendere una decisione in tema, condannando tanti bambini e tante famiglie a non avere riconoscimento», con un atteggiamento che sarebbe di «complicità con quelle forze politiche retrograde che vorrebbero le nostre famiglie invisibili». In effetti, su questo versante la linea del Campidoglio è risultata finora cauta. Se ne è avuta prova con la risposta data al senatore leghista Simone Pillon, che il 9 giugno scorso aveva inoltrato al Comune di Roma una richiesta di accesso agli atti sulla trascrizione dell'atto di nascita estero di una bambina figlia di «due padri», i quali l'hanno ottenuta tramite la pratica dell'utero in affitto. Ebbene, come questo giornale ha raccontato due giorni fa, a Pillon il Campidoglio ha detto chiaramente che, nell'effettuare quella trascrizione, «l'ufficiale di stato civile ha agito in totale autonomia, non in linea con il vigente quadro normativo», un fatto, è stato aggiunto, già «attenzionato alla prefettura di Roma». Non si può quindi dire che, sulle trascrizioni e sugli atti di nascita arcobaleno, la Raggi abbia scelto di metterci la faccia. Non va inoltre dimenticato quanto accaduto la settimana scorsa, con la Procura di Roma scesa in campo con un ricorso al tribunale per contestare proprio le registrazioni automatiche, senza cioè alcuna istruttoria, di atti di nascita e adozione di bambini figli di due genitori dello stesso sesso. Un'iniziativa di peso, anche in vista della sentenza che in autunno, sul tema, la Cassazione emetterà a sezioni unite. Nonostante le ultime perle della magistratura creativa, che oltre al legislatore vorrebbe sostituirsi pure a madre natura, non è insomma detta l'ultima parola. Può cioè ancora darsi che, a spuntarla, sia il buon senso di quanti, inverando la nota profezia di Chesterton, si stanno battendo «per testimoniare che due più due fa quattro». E quindi che siamo tutti figli di un padre e di una madre. Giuliano Guzzo
Il caffè di ricerca e qualità è diventato di gran moda. E talvolta suscita fanatismi in cui il comune mortale si imbatte suo malgrado. Ascoltare per credere.