2020-01-28
I dem pretendono poltrone e potere. Sfida al M5s su giustizia e rifugiati
Nicola Zingaretti vuole una «fase due» e «alleanze larghe per le prossime elezioni». Il voto ha stravolto gli equilibri: grillini costretti a seguire il Pd. Il primo ostacolo è la prescrizione. Ma i veri nodi sono Ilva, Alitalia e Benetton.Il mese di febbraio doveva essere dedicato alla riscrittura di un nuovo contratto di governo. Qualcosa di abbastanza simile al libro bianco su cui giurarono Luigi Di Maio e Matteo Salvini nel 2018. Il risultato elettorale in Emilia Romagna rende l'ipotesi irrealizzabile. Il Pd di Nicola Zingaretti è ora forte di un risultato alle urne che lo consolida nel rapporto con Italia viva e consegna ai dem il coltello dalla parte del manico all'interno del matrimonio con i grillini. Zingaretti aveva promesso di cambiare nome all'entità dem e probabilmente cercherà di mettere sul tavolo un puzzle complesso e difficile. Magari con la creazione di alcuni satelliti. In ogni caso la strategia coordinata con Romano Prodi e Massimo D'Alema di fondere una fetta di 5 stelle dentro la nuova cosa dem ha ricevuto dal voto a Stefano Bonaccini il turbo tanto desiderato dal Nazareno. Zingaretti ieri non si è frenato: «Vittoria di una strategia politica. Ora fase di rinnovamento e alleanze larghe per le prossime elezioni», ha sentenziato.L'obiettivo è spostare l'equilibrio parlamentare dai 5 stelle a sinistra senza fare cadere il castello di carte. Solo che tra il dire e il fare c'è mezzo il rischio di far saltare il governo. Intendiamoci, le elezioni sono la strada migliore per l'Italia. Ma attribuiamo la parola «rischio» a quello che è il punto di vista del Quirinale che sembra intenzionato a blindare la maggioranza, qualunque essa sia in questo momento. Non a caso è stata definita ieri la data per il referendum sul taglio dei parlamentari. Sarà il 29 marzo e sposterà in là i tempi di qualunque crisi di governo. I giallorossi negli ultimi due mesi hanno rinviato tutte le partite e le decisioni fondamentali. Nel mese di febbraio non sarà possibile rimandare ancora. Solo che prima i grillini avevano un peso diverso. Nella compagine dei 5 stelle al governo militano Luigi Di Maio, che è titolare del ministero degli Esteri, mentre Alfonso Bonafede è stato confermato alla Giustizia. Stefano Patuanelli, invece, ha sostituito Di Maio allo Sviluppo economico e Lorenzo Fioramonti ha lasciato il posto all'Istruzione a Lucia Azzolina. Nunzia Catalfo gestisce il Lavoro. Poi ci sono Fabiana Dadone, Federico d'Incà, Vincenzo Spadafora e Sergio Costa. In tutto sono ben dieci ministri che a oggi rappresentano un partito che sul territorio vale più o meno il 5%. E non è in grado in molti luoghi di esprimere consiglieri regionali. Come potranno questi dieci dicasteri imporsi sul Pd? Non ci riferiamo a concetti astratti. Nel week end è partito l'iter per la riforma della prescrizione. Oggi in Aula comincia la discussione sulla proposta firmata dall'azzurro Enrico Costa. La proposta piaceva già a Matteo Renzi e pure a una buona fetta del Pd. I 5 stelle sono su una posizione opposta. E oggi Bonafede andrà in commissione. Il parere non è vincolante, ma la possibilità che da qui si apra la prima faglia è elevata. «È giusto che si usi questo risultato per modificare l'asse di governo», ha subito rivendicato il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando ai microfoni di Circo Massimo, lanciando un avvertimento. La prossima settimana arriveranno al pettine anche tutti i nodi economici irrisolti. Il primo su tutti è quello di Autostrade. I grillini non vogliono saperne di avviare una trattativa. Sono per lo stop alle concessioni all'azienda dalla famiglia Benetton. Il Pd è sempre stato su posizione soft e quando ha potuto si è defilato. Ha mandato avanti i renziani e lasciato che i grillini si prendessero le responsabilità. Ora c'è il redde rationem. Lo stesso discorso si può fare per l'ex Ilva. AI primi di febbraio ci sarà un'importante riunione al Mise. Va definita la newco per il rilancio, le partecipazioni finanziarie, le quote di riconversione dei lavoratori. Su tutto però incombono due aspetti: lo scudo penale e gli esuberi effettivi. Per quanto riguarda la cassaintegrazione, è ormai ovvio che si cerca di garantire gli ammortizzatori a blocchi da 200 o 300 operai alla volta. Una strategia di marketing per non dare troppo nell'occhio. Se il rapporto tra Pd e 5 stelle peggiora, l'operazione a basso profilo rischia di saltare e di conseguenza trascinare verso il basso anche il resto del progetto di rilancio. Senza contare che i commissari presto o tardi chiederanno un nuovo scudo penale. L'hanno già detto. E anche se avrà un altro nome non sarà certo digerito dalla base del Movimento e dalla fronda guidata dall'ex ministro Barbara Lezzi. Il problema dei grillini è che non potranno più in alcun modo minacciare di far cadere il governo e non avranno al forza di imporsi sulle decisioni del Pd. Al tempo stesso dovranno fare leva sugli argomenti che hanno sostenuto fino a oggi. Soprattutto contro Autostrade, dal momento che la battaglia sulla revoca è supportata da dati di fatto e dalla tremenda (mediaticamente parlando) posizione dell'azienda. Ne va dell'identità grillina o almeno di quel che rimane. Se al contrario i ministri 5 stelle si troveranno ad accettare un compromesso perderanno anche quei pochi punti percentuali alle urne. Rimangiarsi mesi di dichiarazioni sull'ex Ilva e su Autostrade sarebbe il suicidio politico. E anche se riuscissero a sopravvivere, arriverebbe il tavolo di Alitalia con una potenziale mazzata finale. Certo, c'è sempre l'iptesi che anche i dem si mettano a litigare tra loro. Basta leggere le dichiarazioni di Leoluca Orlando che vuole l'abolizione del decreto sicurezza leghista. Un'ipotesi esclusa seccamente da Luciana Lamorgese. Piccoli battibecchi che non sposteranno i riflettori sulla crisi del Movimento.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)