2019-01-03
I corazzieri di carta proteggono re Sergio nel regno di Felicizia
I grandi giornali, in blocco, sostengono la linea politica buonista del discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E l'Italia vera? Pazienza.E così, all'improvviso, ci siamo svegliati nel regno di Felicizia. Dove c'è un re buono, Sergio il Grande, che da solo ci difende dai terribili mostri gialloblù, usando paroline dolci come il miele: Felicizia, per l'appunto (cioè felicità più amicizia); e poi: buoni sentimenti, comunità, bontà, condivisione, solidarietà, roba che al Mulino Bianco hanno già avviato una pratica per concorrenza sleale e il club dei diabetici ha avvisato tutti gli iscritti di non avventurarsi in edicola per i prossimi tre giorni almeno. Overdose di dolcezza, glicemia in agguato: il rischio è incombente. Non c'è quotidiano che ieri non abbia sversato camionate di melassa nelle pupille dei lettori, i quali dopo cotante fiabesche letture, per trovare un filo di rapporto con la realtà, immagino siano stati costretti a immergersi nella visione ripetuta e consecutiva di Bambi, Heidi e Candy Candy. Truci racconti, al confronto del Mattarella pensiero.Afferrare un quotidiano, ieri mattina, produceva più o meno lo stesso effetto che fare un bagno nel miele di gelsomino. Non si poteva evitare di rimanere impiastricciati. «Il coraggio di parlare di bontà», festeggiava Michele Serra su Repubblica. «Il bisogno di archiviare il rancore», faceva eco Vladimiro Zagrebelsky sulla Stampa. «Argine contro il cattivista», strillava Il Manifesto. E poi avanti con «le parole che bucano lo schermo» (quelle della bontà, ovvio), i «buoni sentimenti che migliorano l'Italia», «l'Italia che ricuce», anzi di più «l'Italia positiva, serena, inclusiva e solidale», quella che rifiuta «l'astio, l'insulto, l'intolleranza», quella che non vuole «creare odio e terrore»; che «rende migliori» e che è anche «anticonformista» (perché «il buonismo è anticonformista, l'astio è conformista»). Insomma un «cambio di stagione al Colle». Avviso per i corazzieri in servizio permanente effettivo: attrezzare gli armadi. E, possibilmente, pure le lingue.Per cominciare a sentirsi già sulla buona (anzi: buonissima) strada intanto in tutti i giornali i servizi sulla bontà eroica di Mattarella sono stati corredati da paginate sui buonissimi personaggi citati dal buonissimo Mattarella nella loro buonissima bontà. Insomma, basta con il cattivismo: vanno di moda i bambini del Sermig che si sono inventati il regno di Felicizia; i quadri dipinti dalle persone affette da autismo; la pensionata che chiama i carabinieri perché si sente sola; le campionesse di pallavolo, a patto che abbiano la pelle scura, perché, se no, non sono buone per nulla. Dopo tutta questa endovena di bontà non vi sentite già un po' migliori? Non arrendetevi: ancora un paio di editoriali, due o tre iniezioni di «valori condivisi», un paio di supposte di «sentirsi comunità» e siete pronti per concorrere al Gran Premio Cuore di Zucchero 2019. In palio un fantoccio di Salvini da bruciare nel fuoco della bontà.Per carità: ci sono le feste e tutti abbiamo bisogno di sentirci più buoni. Abbiamo voglia di recuperare un po' di sentimenti positivi, persino le fiabe che ci raccontava la nonna accanto al fuoco. Però, ecco, un conto è l'inevitabile retorica sotto l'albero, un conto è fare di tutto questo un programma politico. Anzi di più: un «controprogramma istituzionale». «Un controcontratto», come ha scritto Claudio Tito su Repubblica, trasformando il concentrato dolciario quirinalizio in un vero e proprio progetto politico alternativo a quello della maggioranza di governo. Stesso procedimento usato anche al principe dei quirinalisti, Marzio Breda, e dai colleghi al seguito, secondo uno schema identico su tutti i quotidiani, dal Giornale al Manifesto, passando per Repubblica e Corriere: ogni sillaba della banalità buonista di Mattarella si è immediatamente trasformata, infatti, nei loro commenti, in una implacabile arma contundente per colpire Salvini e di Maio. La melassa può essere assai dolorosa se passa per certe mani. E la dolcezza può diventare d'improvviso amarissima… Il gioco, del resto, non è difficile: il discorso di fine anno era talmente sulfureo che dentro, volendo, ci si poteva leggere di tutto. Attività su cui si sono, per l'appunto, esercitati i principali commentatori. Il presidente dice che le sue parole non sono un «atto formale»? Ce l'ha con Salvini e di Maio che parlano sempre su Facebook. Dice che la «divisa è simbolo delle istituzioni»? Sta attaccando Salvini che mette le felpe della polizia e dei carabinieri. Parla di solidarietà? Sta bocciando la «retorica anti immigrati». Parla di valori condivisi? Ce l'ha con quota 100 e reddito di cittadinanza. In realtà quota 100 e reddito di cittadinanza non li ha nemmeno citati, ma che importa? È lo «stile einaudiano», (sarà) e gli interpreti lo capiscono benissimo (sarà). E dunque, non c'è dubbio: è un «discorso costruito sulle eversioni», un attacco esplicito e aperto ai gialloblù, in pratica già un programma elettorale. E guai a chi lo scambia soltanto per l'inno mieloso di Felicizia… Ora se davvero Mattarella volesse dire tutte quelle cose oppure sia una libera interpretazione dei corazzieri con la penna, è difficile da capire. L'abitudine del Quirinale di dare spiegazione a margine ai giornalisti su quello che si voleva realmente intendere con messaggi apparentemente innocui, non è certo nuova, ma non sappiamo se sia stata applicata anche in questo caso. Fosse così, consiglieremmo agli spifferatori del Colle di scegliere con più attenzione gli interlocutori perché, per esempio, un interprete del Foglio, rapito dall'entusiasmo, si è lasciato un po' prendere la mano e ha glossato il discorso del presidente, intravvedendo dietro le sue parole qualsiasi cosa gli passasse per la testa: i centrifugati macrobiotici di Di Maio, Milan-Inter, la Tav, Toninelli, il governatore del Friuli Fedriga, Vittorio Gassman, San Siro, Saviano, l'apartheid, Lodi e le uova con la pancetta di Salvini. Con tutto il rispetto, ci vuole della fantasia: ci mancavano soltanto i Tre Moschettieri, la brunetta dei Ricchi e Poveri e il Cognac. Quest'ultimo forse perché l'autore se l'era trincato prima di scrivere il pezzo.In ogni caso, l'Operazione Melassa ha centrato l'obiettivo: Mattarella, l'ex notabile Dc, l'ex ministro che si dimise per protestare contro le tv di Berlusconi, l'uomo per cui saltò il Nazareno, è emerso dal bagno rigenerante dei quotidiani nel primo giorno del 2019 come una specie di San Giovanni Bosco al Quirinale, il Domenico Savio della Repubblica, unico capo dell'opposizione buonissima, capace di mettere insieme tutti i sedicenti virtuosi nella Sacra Crociata anti cattivisti. E perciò indiscutibile sovrano del regno di Felicizia. Un mondo meraviglioso, quest'ultimo, dove tutti si vogliono bene, i poveri non esistono, le imprese non chiudono, i governi sono amati dal popolo, Monti ha abbassato le tasse, Renzi ha salvato i risparmiatori, la Fornero è stata la fata buona delle pensioni e Alfano un ottimo ministro dell'Interno. Un luogo magico, pieno di buoni sentimenti e di solidarietà, un mondo fatato con mille pregi e un unico difetto. Quello, per l'appunto, di esistere solo sulle pagine dei giornaloni. Come ha notato (tocca dirlo), con uno sprazzo di lucidità, il vecchio Eugenio Scalfari: «Mattarella ha raccontato un Paese da favola. Ma le favole le scriveva Collodi e c'era di mezzo Pinocchio...».