2022-06-24
I Brics minacciano l’ordine occidentale: «Lo riformeremo»
Summit del gruppo, che presto includerà altri Paesi: «Serve un vero multilateralismo». Xi sulla Nato: «Slancio pericoloso».Dovevamo isolare la Russia, rischiamo di finire isolati noi. Il XIV summit dei Brics, ospitato ieri e oggi in videoconferenza dalla Cina, sancisce un’ulteriore accelerazione nel processo di divisione in blocchi del mondo. Il problema è che il nostro, di blocco, comincia a diventare quello di minoranza. Il Brasile, la Federazione Russa, l’India, il Dragone e il Sudafrica rappresentano il 42% della popolazione globale, il 26% delle terre emerse e il 25% del Pil del pianeta. La potenza occidentale, trainata dagli Stati Uniti e in parte dai comprimari inglesi, è tuttora incommensurabile. Ma se l’egemonia è ormai un ricordo del passato, persino il vantaggio strategico sui concorrenti si sta assottigliando. Non a caso, Joe Biden, investito dalla grana del caro energia, dovrà correre a Riad dal principe sunnita Bin Salman e, al contempo, riaprire il dialogo con l’Iran sciita. Una partita nella quale gli servirà un paradossale placet del Cremlino, che ha appena spedito Sergej Lavrov a Teheran. Da lì, il ministro degli Esteri s’è messo a tuonare a proposito del programma nucleare iraniano, chiedendo che «venga riportato alla sua configurazione originale», approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2015, e che le «sanzioni illegali che contraddicono l’accordo siano revocate». Per farla breve: l’inquilino della Casa Bianca voleva far sloggiare Vladimir Putin dal suo scranno, ma con gli americani furibondi per l’inflazione, a finire sfrattato potrebbe essere lui. Il vertice dei giganti non allineati ha preso di petto la sfida all’ordine internazionale a trazione statunitense. Il padrone di casa, Xi Jinping, ha proposto di «tornare all’autentico multilateralismo e al sistema con l’Onu al centro», superando «i piccoli circoli egemonici», la «mentalità da guerra fredda» e l’imposizione di «sanzioni unilaterali». Pechino, d’altronde, lavora da anni a infiltrare queste istituzioni: l’esempio più eclatante è l’Oms, il cui direttore generale, Tedros Adhanom, visti i legami della sua Eritrea con i cinesi, s’è mostrato più che subalterno alle reticenze del regime comunista sul Covid. Putin ha puntato sulla formazione di un mondo multipolare, basato sul diritto internazionale. Può suonare ipocrita che, a invocarlo, sia colui che lo ha violato platealmente. Ma il segnale è chiaro: gli ex ultimi della classe non si comportano da vittime sacrificali delle ritorsioni di Usa ed Europa. Anzi, si ribellano al loro primato e alle loro regole - che, invero, avevano sottoscritto e sulle quali hanno prosperato, grazie alla globalizzazione, che invece ha sconquassato l’Occidente. Reo, secondo il presidente russo, di «azioni egoiste». La conferenza era stata preceduta dal battage del China Daily, organo ufficiale del Partito, impegnato a propugnare l’allargamento del club ad altri emergenti. Una prospettiva già emersa lo scorso maggio, quando una sessione dell’incontro tra ministri degli Esteri era stata estesa al gruppo dei Brics+: ammessi anche Argentina, Egitto, Indonesia, Kazakistan, Nigeria, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Senegal e Tailandia. Se questa è la rete sulla quale può contare Mosca - per sorvolare sulla penetrazione sinorussa in Africa - siamo lungi dai patimenti della sua exclave, Kaliningrad. La Federazione va a braccetto con i cattivi, sì, ma non è in agonia, soffocata dalle contromisure economiche, militarmente disastrata e sempre più accerchiata dalla Nato. Allo «slancio pericoloso» dell’Alleanza atlantica, tra l’altro, si è riferito Xi, magari con un occhio a Taiwan, più che a Finlandia e Svezia. Il leader cinese ha suggerito un rafforzamento delle politiche dei Brics, allo scopo di creare un «modello alternativo a quello occidentale». L’idea ci atterrisce, giustamente. Ma la realtà con cui dobbiamo fare i conti è che un pezzo di globo non sposa l’ortodossia liberale, non considera un obiettivo la democratizzazione e un imperativo morale e giuridico i diritti umani. Dal canto suo, Putin è deciso ad alimentare la cooperazione multilaterale con il Dragone, il Brasile, il Sudafrica e l’India. E la nazione di Narendra Modi sta già offrendo sostegno a Mosca. L’ultima trovata, segnalata da Reuters, riguarda le petroliere, le quali stanno ottenendo dall’India, tramite una compagnia di Dubai legata alla russa Sovcomflot, le certificazioni di sicurezza che le società occidentali si rifiutano di rilasciare. I vasti mercati asiatici, peraltro, garantiscono un adeguato sfogo alle materie prime sottoposte agli embarghi Ue. Benché le sanzioni, specie in materia di valuta, continuino a far aleggiare sulla Russia lo spettro del default, la dipendenza energetica e l’assenza di partner alternativi sono più un problema dell’Europa che del Cremlino.È vero: il più forte dei colossi antiamericani, la Cina, tiene il piede in due scarpe. E Xi ha lamentato lo strascico d’instabilità provocato dal virus e dal conflitto in Ucraina. L’insofferenza e l’imbarazzo di Pechino per la guerra di Putin, visto il grado d’integrazione con le economie occidentali, rimangono palpabili. Ma se il Dragone si trovasse dinanzi a un bivio e dovesse scegliere tra noi e il resto del mondo, potremmo ritrovarci contemporaneamente ai ferri corti con due superpotenze. Con l’aggravante che la Cina, almeno per contiguità territoriale, è in grado di tenere sotto scacco il teatro pacifico, quello che gli Usa considerano il più strategicamente delicato. Foschi presagi? Sì, salvo mosse autolesioniste dei Brics. Una sarebbe quella anticipata dallo zar, che trova d’accordo Xi: creare una loro moneta unica, in opposizione al dollaro. Il precedente dell’euro non è incoraggiante. Così, a salvarci, subentrerebbe l’abituale ironia della storia: un Mario Monti in Siberia.