Secondo i dati Iss, a marzo l’ incidenza dei casi negli under 12 inoculati è stata del 4,7%, rispetto al 4,3% dei coetanei senza iniezione. I numeri smentiscono Sergio Abrignani (Cts) che nelle nelle scorse settimane riconduceva l’aumento dei contagi ai piccoli privi di puntura.
Secondo i dati Iss, a marzo l’ incidenza dei casi negli under 12 inoculati è stata del 4,7%, rispetto al 4,3% dei coetanei senza iniezione. I numeri smentiscono Sergio Abrignani (Cts) che nelle nelle scorse settimane riconduceva l’aumento dei contagi ai piccoli privi di puntura.Si rivolta il paradosso che a infettarsi di più sono i vaccinati perché più numerosi, almeno nei bambini tra i cinque e gli 11 anni. In questa fascia d’età, quelli che da dicembre scorso hanno fatto due dosi di anti-Covid sono il 33,2%, ma si infettano un po’ di più della maggioranza che non ha fatto la puntura, come mostrano i dati del report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) pubblicato il 25 marzo. Secondo il documento dell’Iss, nell’ultimo mese, nel milione di bambini tra cinque e 11 anni che hanno fatto due dosi, i positivi al Sars-Cov2 sono stati 47.975 (4,7%). Paradossalmente, nei 2,3 milioni di coetanei non vaccinati, si sono infettati in 100.930, cioè il 4,3%. Non sono distanze abissali, ma sufficienti a mettere in dubbio quanto ipotizzato anche da membri del dimissionario Comitato tecnico scientifico (Cts). Qualche settimana fa, in un’intervista al Corriere della sera, Sergio Abrignani, immunologo della Statale di Milano, componente del Cts e appena riconfermato nel Consiglio superiore di Sanità, in merito alla crescita della curva dei contagi affermava che «il rialzo è l’effetto di una serie di fattori. Sono più propenso a individuare la causa nella bassa percentuale di vaccinati tra i bambini di 5-11 anni. È probabile che possano costituire un serbatoio per il virus che così continua a circolare e a seminare casi». Invece, secondo i dati dell’Iss, sono proprio i bambini che dovevano essere più refrattari al Covid, avendo ricevuto due dosi, a rivelarsi - anche più dei non vaccinati - un serbatoio del virus che ora circola nella variante Omicron 2, quattro volte più contagiosa della Delta. Per inciso, stranamente, sembra si infettino meno di tutti quelli che hanno ricevuto una sola dose (3,6%). I dati sono da consolidare, ma fanno traballare anche quanto sostenuto dagli esperti della Società italiana di pediatria (Sip) che difendono la necessità dell’inoculazione sventolando lo spettro del lockdown. In un poster informativo scrivono che «lasciare una fascia di popolazione scoperta porta il rischio di nuove epidemie, con tutte le conseguenze viste nei mesi di pandemia. Non bisogna dimenticare che, oltre alle conseguenze dirette dell’infezione, ci sono anche gli effetti secondari dell’isolamento sociale». Con il ribaltamento del paradosso che è la numerosità della popolazione esposta - e non l’efficacia limitata del vaccino contro Omicron - a segnare l’aumento delle infezioni, c’è da domandarsi se abbia ancora senso sostenere a spada tratta le due dosi in tutti i bambini. I più piccoli, non sono uomini o donne in miniatura: hanno un assetto fisiologico speciale, tanto che rispondono meglio alle infezioni degli adulti, anche al coronavirus. Uno studio della Johns Hopkins University - pubblicato questa settimana e in linea con uno dello scorso giugno dell’Università di Padova - mostra che i bambini di questa fascia d’età non vaccinati ed esposti al Sars-Cov2 sviluppano quasi nove volte gli anticorpi degli adulti, a fronte si sintomi lievi o nessuno, nella metà dei casi. Tutto questo senza considerare che - come registrato ancora nel primo studio realizzato nel primo focolaio a Vo’, nel padovano, all’inizio della pandemia e confermato da recenti studi - i bambini trasmettono meno il virus e tendono ad essere contagiati, più che contagiare. Se il vaccino non cambia la percentuale di infezioni nei bambini che vanno alle elementari, diventa difficile anche giustificare che, con le due dosi, si potrebbe evitare il contagio di nonni o familiari immunocompromessi. Tali considerazioni non mettono in dubbio, in generale, l’utilità del vaccino, ma invitano a considerare che, nei piccoli senza patologie o fattori di rischio di Covid grave, forse il rapporto beneficio-rischio non è così netto come si poteva ipotizzare inizialmente. Questo vale non solo per le infezioni, ma anche per le ospedalizzazioni. L’ultimo report dell’Iss segnala che, sempre nella fascia cinque - undici anni, sono sostanzialmente stabili i ricoveri nel mese di febbraio (ultimi dati disponibili) con 258 bimbi senza vaccino (0,01%) in corsia, 45 con una dose (0,007%) e 33 con due dosi (0,004%). Qui la differenza un po’ c’è, ma sono comunque numeri contenuti e non è noto se i piccoli avessero già delle patologie, come anche i cinque non vaccinati presenti in terapia intensiva e l’unico decesso. A porre ulteriormente in dubbio l’utilità di immunizzare i bambini ci sono i dati dell’andamento della pandemia che ora è addirittura in calo anche nei contagi, mentre non ha mai preoccupato per ospedalizzazioni. Ieri il numero degli infetti e il tasso di positività erano più bassi per il secondo giorno di fila. Sabato i nuovi casi erano 73.357, contro i 75.616 del giorno prima, ma soprattutto dei 74.024 di sabato scorso, segno che potrebbe essere stato raggiunto e appena superato il picco di questo colpo di coda di marzo. I tamponi processati sono stai 504.185 (venerdì 503.973) e il tasso di positività è sceso dal 15% al 14,5%. Registrati in calo anche i decessi: 118 rispetto ai 146 del giorno prima. Praticamente stabili i ricoveri.
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