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2020-11-15
Toto, Benetton, tv, giudici e soldi. Viaggio al termine del renzismo
Luciano Benetton (Ansa)
Nel 2018, Matteo Renzi si vantava di non aver mai ricevuto finanziamenti dai Benetton. Ma il gestore della sua cassaforte, questa tentazione, l'ha avuta eccome.
In ansia per i costi della Leopolda 2014 (400.000 euro stimati), Alberto Bianchi, presidente di Open, in un'email a Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, caldeggia la ricerca di «possibili sponsor». E nei papabili, colloca proprio i Benetton, che evidentemente reputa vicini alla causa. I «contatti» li avrebbe dovuti prendere Marco Carrai. Tuttavia, il 2 ottobre, la Boschi comunica: «No sponsor», anche se «Matteo si rende disponibile a fare una cena di finanziamento pro Leopolda entro Natale». L'avvocato è perplesso: «Senza sponsor sarà un casino. Di cene con Matteo ce ne vorrebbe altro che una». Tra i potenziali finanziatori «già contattati», Bianchi inserisce anche «VW». Per la Finanza, la sigla si riferisce a Giuseppe Tartaglione, rappresentante legale di Volkswagen Italia. Stavolta, il tramite sarebbe stato Franco Massi. Segretario generale del Cnel tra il 2011 e il 2017, magistrato (oggi segretario generale) della Corte dei conti, molto attivo su Twitter, dov'è seguito pure da Luca Palamara, due mesi dopo la Leopolda, viene nominato vicesegretario generale del ministero della Difesa dal governo Renzi. Nell'agenda del presidente di Open, che lo incontra spesso tra novembre 2013 e dicembre 2014 (sono segnati 24 appuntamenti), è annotata una «cena VW» per il 27 novembre 2014, in piazza Campo Marzio a Roma. Il convivio si ripete due anni dopo, il 25 ottobre 2016, allo stesso indirizzo. È proprio Massi a inviare la lista dei presenti a Bianchi: tra loro, Giovanni Legnini, Gianni Letta, Denis Verdini. Conferma anche Tartaglione, ma declinano l'invito la Boschi e il segretario di Benedetto XVI, Georg Gänswein. Ma dalla casa automobilistica non giunge denaro. Tanto che Bianchi, su Whatsapp, chiede a Massi: «Scusa dal giro VW arriva qcosa (sic)?». La toga risponde con un punto interrogativo. «Vabbe poi ti dico», taglia corto il legale.
Il nome di Massi figura anche, tra il 2013 e il 2014, accanto a quello di Alfonso Toto, dell'omonimo gruppo di gestori di autostrade abruzzesi, con il quale sembra esserci un rapporto cordiale. Circostanza singolare: qualche anno dopo, da consigliere della Corte dei conti, Massi acquisirà la delega al controllo sugli atti del Mit, il ministero che vigila sui concessionari. In un'email del 23 luglio 2013, il magistrato invia all'imprenditore il proprio curriculum e un «Appunto Art», riguardante l'Autorità di regolazione dei trasporti. A gennaio 2014, Toto scrive a Massi: «Devo dirti che tutta l'impressione che a chi governa le grandi opere ed investimenti, sia manager pubblici che privati, poco interessa fare in modo che le cose si sblocchino… Questo Paese diventa sempre più difficile…». La toga lo incoraggia: «Vogliamo provare insieme a cambiarlo». E Toto: «… Si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera!!! Perché no?!». Tra l'altro, il primo contributo della famiglia abruzzese a Open risale al novembre 2014: 25.000 euro dalla Renexia, di cui è stato a lungo ad Daniele Toto (anche se gli inquirenti hanno individuato il tramite con la fondazione nel coindagato di Bianchi, Patrizio Donnini, fondatore della Dot Media, società di comunicazione della Leopolda e consulente dei Toto).
È sempre alla loro holding che fa riferimento il famoso versamento di 400.838 euro, risalente al 2016, poi girato dall'avvocato, con due bonifici, a Fondazione Open e Comitato nazionale per il sì. Un contributo che l'inchiesta di Firenze mette in relazione a un emendamento alla manovrina 2017, che sospendeva due rate dovute dai Toto ad Anas. In un'email a due colleghi di studio, datata 9 aprile 2018, Bianchi riferisce che l'aggancio con i Toto era stata una prestazione professionale per un contenzioso con Aspi. La holding, alla fine, versa un lordo di 1.500.000 euro allo studio legale e 750.000 (i 400.838 netti) direttamente a Bianchi.
Nel 2018, l'avvocato si ripropone di replicare lo schema. Stavolta, l'incarico riguarda la lite con Anas per la variante alla statale 1 Aurelia a La Spezia. Vengono stipulati due contratti, «che per ragioni di opportunità portano la data del 16 novembre 2016». Con il primo, i Toto s'impegnano a versare 8.000 euro lordi a Bianchi «per accettazione». In caso di esito favorevole, poi, assicurano un compenso «pari al 2% della quota […] del corrispettivo riconosciuto». Cifra che, spiega Bianchi ai colleghi, «Toto mi ha espresso il desiderio di versare a Open (o al soggetto che la sostituirà qualora Open chiuda)». Con il secondo contratto, l'impresa garantisce 16.000 euro lordi più «l'1% della quota del corrispettivo versato da Anas», che invece, stando a Bianchi, dovrebbe andare «allo studio». «Trattasi di somme evidentemente incerte», riconosce l'avvocato, «visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso». E difatti, Toto, a giugno 2018, rescinderanno il contratto con Anas. Curioso un appunto di Bianchi del 2017: «Toto: Grande (Elisa, dirigente ministeriale, ndr) resta Mit. Garanzia per quella sua roba».
Ma alle casse di Open non hanno contribuito solo i grandi concessionari autostradali. Ci sono anche imprenditori del settore alimentare, come Luigi Scordamaglia e Luigi Cremonini, che direttamente o attraverso la controllata Inalca, hanno versato 100.000 euro alla fondazione renziana. In una mail del 2014, però, Bianchi sollecita Scordamaglia, citando un «vecchio impegno», che coincide con il famigerato «patto dell'Ora d'aria». La risposta lo gela: «[…] Non si era mai parlato di continuare. Magari ci vediamo con calma». Bianchi è stizzito: «Luigi, ci manca solo che ti mandi gli scambi di mail con l'impegno quinquennale, mai smentito! […] Avete tutta la gratitudine mia, di Matteo e della Fondazione, non avete nessun obbligo per il futuro [...]». In meno di mezz'ora il malinteso si risolve: «Alberto non eri assolutamente tu destinatario precedente mail scusa tantissimo ha confuso mittente».
Il rapporto prosegue, come testimoniano i due elaborati Azioni urgenti (a costo zero) per l'interrogazione del Food and Beverage italiano sui mercati mondiali e Turismo, cultura, agricoltura e cibo: una politica di marketing, che Bianchi gira a Lotti. Tra i simposi per il referendum del 2016, cui partecipa anche Scordamaglia, da segnalare quello con altri 17 manager del settore, tra cui Piero Antinori, Guido Barilla, Luigi Cremonini, Antonio Ferraioli, Lisa Ferrarini, Luca Garavoglia, Andrea Illy, Nicola Levoni, Francesco Mutti, Cesare Ponti, Cosimo Rummo.
Nel novero dei «sostenitori storici di Matteo Renzi», scrivono gli inquirenti, c'è poi Vincenzo Manes. Il fondatore di Intek group spa ha contribuito con 62.000 euro. Il 29 dicembre 2014, Manes viene nominato dall'ex premier consigliere pro bono per la riforma del terzo settore. Ed è proprio il governo Renzi, nel giugno 2016, a disciplinare la materia. Già nel 2014, Manes invia una mail allo studio di Bianchi: «Matteo, è il documento sulle imprese sociali. Leggilo poi dimmi». Grazie alla normativa varata due anni dopo, nascerà Fondazione Italia Sociale. L'ente (partecipato da altre 17 realtà profit e non) riceve come dotazione iniziale un milione di euro pubblici. E chi ne è il presidente? Lui: Manes.
Dalla cassaforte del Giglio magico sono «spariti» 290.000 euro
L'avvocato Alberto Bianchi e il senatore Matteo Renzi si crucciano perché i magistrati hanno depositato al tribunale del Riesame le memorie scritte del legale pistoiese, anche quelle compilate in epoca successiva alla chiusura della fondazione Open. Ma non si devono dolere: quelle carte dimostrano come anche dopo la chiusura della cassaforte renziana Bianchi si preoccupasse di trovare i veicoli giusti per continuare a far guadagnare Renzi: con nuove fondazioni o società varie.
Il finanziamento illecito può arrivare attraverso strade diverse da Open. E gli investigatori delle Guardia di finanza paiono ancora a caccia di eventuali altri tesoretti di Renzi. Per esempio, nelle informative depositate nei giorni scorsi, contributi e donazioni volontarie inseriti nella contabilità e affluiti sul conto corrente di Open collimano con il libro giornale della fondazione, ma non con il totale dei contributi indicato su un foglio manoscritto del luglio 2019.
Anche negli anni precedenti, tra il 2012 e il 2017, c'erano state piccole differenze, per un totale di circa 13.000 euro, però, nell'ultimo anno, quello della chiusura, lo scarto è molto più alto e ammonta a quasi 300.000 euro. Scrivono gli investigatori: «Pertanto è plausibile ipotizzare che l'eventuale differenza di 289.924 euro, sopra evidenziata, possa essere affluita su un rapporto di conto corrente intestato ad un altro soggetto». Sì, ma quale? Gli investigatori evidenziano un appunto di Bianchi dell'ottobre 2018 da cui si desume che un non meglio identificato «comitato» avrebbe «aperto un rapporto di conto corrente». Di quale si tratta? I militari rispondono che «i più probabili potrebbero essere» quello della Leopolda 9 o quello di Ritorno al futuro-comitato di azione civile nazionale, da cui è nata Italia viva. Ma non c'è una risposta certa.
Se i conti di Open non tornano, nelle carte c'è anche la prova di come gli stessi consiglieri del comitato direttivo fossero preoccupati per i loro bilanci e per l'elenco dei finanziatori. In una mail del 17 giugno 2015 lo stesso Bianchi, dopo aver allegato un elenco di una cinquantina di contributori da pubblicare online scrive: «Per me va pubblicata integralmente (…). Maria Elena chiede se e di quanto possiamo posporre la pubblicazione dell'elenco e del bilancio: direi di non attendere oltre la fine del mese, non siamo mai andati oltre giugno, un ritardo ulteriore farebbe sorgere interrogativi inutili».
Invece di insultare magistrati e giornalisti ci aspettiamo che i renziani spieghino dove siano finiti i 289.000 euro che, secondo gli investigatori, mancano all'appello e perché la Boschi volesse rimandare la pubblicazione del bilancio.
Risposte che gli interessati potranno dare già il 24 novembre, data fissata dagli inquirenti per gli interrogatori degli indagati dell'inchiesta (Renzi, Boschi, Bianchi, Luca Lotti e Marco Carrai).
Il fu Rottamatore, che ci accusa di «vergognosa montatura» per gli scoop sull'inchiesta Open, non è solo un campione di slalom tra i magistrati, ma, sembrerebbe, anche di campagne social a base di troll e fake news.
In un Whatsapp del marzo 2017 il capo della sua claque digitale, Alexander Marchi, spiegava a Bianchi: «Copriamo bene le pagine di sostegno (di propaganda) da lunedì a domenica tutte le ore. Però non riusciamo a fare l'altra cosa che ci chiede Matteo. Per esempio se Matteo scrive un post avevamo un sistema che garantiva sostegno ai commenti positivi delle persone renziane. Perché al Movimento 5 stelle sono molto più organizzati e hanno un sistema che mandano profili falsi a offendere di continuo. Avevo creato un modo per contrastare questo problema però in 3 non ci si fa». E a mo' di esempio inviò alcuni commenti pubblicati sul profilo della Boschi.
Al servizio di Renzi c'è stato anche l'ex hacker Andrea Stroppa (da minorenne venne coinvolto in un'inchiesta sul gruppo di pirati digitali Anonymous). Il ragazzo, cui è dedicato un paragrafo di una delle ultime informative, secondo gli investigatori «dal 2016 al 2018 si è occupato della gestione dei social network per la “Fondazione Open", fornendo altresì assistenza tecnica ed informatica». In due anni ha ricevuto nove bonifici per un importo complessivo di circa 60.000 euro, offrendo servizi di cyber security, ma anche di assistenza tecnica sms e analisi dei dati. Ha svolto pure consulenze per il Comitato per il sì al referendum del 2016, per il Pd e la Cgil.
Nel 2017 Stroppa preparò un report per Renzi in cui si sosteneva che siti vicini alla Lega e ai 5 stelle che propalavano presunte fake news contro il Pd renziano avessero dietro la Russia. La ricerca, molto contestata, venne ampiamente pubblicizzata durante la Leopolda 8 e venne rilanciata dalla stampa internazionale. Il sito Buzzfeed arrivò a definire Stroppa «ricercatore indipendente sulla cybersicurezza». Lui che era a libro paga di Open.
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Alberto Bianchi puntava alla famiglia veneta come «sponsor» della Leopolda 2014. E provò due volte a ottenere fondi dagli abruzzesi, vicini a Franco Massi, giudice contabile che aveva messo la fondazione in contatto con Volkswagen.La Finanza rileva «discrasie» nel bilancio 2018 e cita i 60.000 euro all'hacker di Matteo Renzi.Lo speciale contiene due articoli.Nel 2018, Matteo Renzi si vantava di non aver mai ricevuto finanziamenti dai Benetton. Ma il gestore della sua cassaforte, questa tentazione, l'ha avuta eccome.In ansia per i costi della Leopolda 2014 (400.000 euro stimati), Alberto Bianchi, presidente di Open, in un'email a Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, caldeggia la ricerca di «possibili sponsor». E nei papabili, colloca proprio i Benetton, che evidentemente reputa vicini alla causa. I «contatti» li avrebbe dovuti prendere Marco Carrai. Tuttavia, il 2 ottobre, la Boschi comunica: «No sponsor», anche se «Matteo si rende disponibile a fare una cena di finanziamento pro Leopolda entro Natale». L'avvocato è perplesso: «Senza sponsor sarà un casino. Di cene con Matteo ce ne vorrebbe altro che una». Tra i potenziali finanziatori «già contattati», Bianchi inserisce anche «VW». Per la Finanza, la sigla si riferisce a Giuseppe Tartaglione, rappresentante legale di Volkswagen Italia. Stavolta, il tramite sarebbe stato Franco Massi. Segretario generale del Cnel tra il 2011 e il 2017, magistrato (oggi segretario generale) della Corte dei conti, molto attivo su Twitter, dov'è seguito pure da Luca Palamara, due mesi dopo la Leopolda, viene nominato vicesegretario generale del ministero della Difesa dal governo Renzi. Nell'agenda del presidente di Open, che lo incontra spesso tra novembre 2013 e dicembre 2014 (sono segnati 24 appuntamenti), è annotata una «cena VW» per il 27 novembre 2014, in piazza Campo Marzio a Roma. Il convivio si ripete due anni dopo, il 25 ottobre 2016, allo stesso indirizzo. È proprio Massi a inviare la lista dei presenti a Bianchi: tra loro, Giovanni Legnini, Gianni Letta, Denis Verdini. Conferma anche Tartaglione, ma declinano l'invito la Boschi e il segretario di Benedetto XVI, Georg Gänswein. Ma dalla casa automobilistica non giunge denaro. Tanto che Bianchi, su Whatsapp, chiede a Massi: «Scusa dal giro VW arriva qcosa (sic)?». La toga risponde con un punto interrogativo. «Vabbe poi ti dico», taglia corto il legale. Il nome di Massi figura anche, tra il 2013 e il 2014, accanto a quello di Alfonso Toto, dell'omonimo gruppo di gestori di autostrade abruzzesi, con il quale sembra esserci un rapporto cordiale. Circostanza singolare: qualche anno dopo, da consigliere della Corte dei conti, Massi acquisirà la delega al controllo sugli atti del Mit, il ministero che vigila sui concessionari. In un'email del 23 luglio 2013, il magistrato invia all'imprenditore il proprio curriculum e un «Appunto Art», riguardante l'Autorità di regolazione dei trasporti. A gennaio 2014, Toto scrive a Massi: «Devo dirti che tutta l'impressione che a chi governa le grandi opere ed investimenti, sia manager pubblici che privati, poco interessa fare in modo che le cose si sblocchino… Questo Paese diventa sempre più difficile…». La toga lo incoraggia: «Vogliamo provare insieme a cambiarlo». E Toto: «… Si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera!!! Perché no?!». Tra l'altro, il primo contributo della famiglia abruzzese a Open risale al novembre 2014: 25.000 euro dalla Renexia, di cui è stato a lungo ad Daniele Toto (anche se gli inquirenti hanno individuato il tramite con la fondazione nel coindagato di Bianchi, Patrizio Donnini, fondatore della Dot Media, società di comunicazione della Leopolda e consulente dei Toto).È sempre alla loro holding che fa riferimento il famoso versamento di 400.838 euro, risalente al 2016, poi girato dall'avvocato, con due bonifici, a Fondazione Open e Comitato nazionale per il sì. Un contributo che l'inchiesta di Firenze mette in relazione a un emendamento alla manovrina 2017, che sospendeva due rate dovute dai Toto ad Anas. In un'email a due colleghi di studio, datata 9 aprile 2018, Bianchi riferisce che l'aggancio con i Toto era stata una prestazione professionale per un contenzioso con Aspi. La holding, alla fine, versa un lordo di 1.500.000 euro allo studio legale e 750.000 (i 400.838 netti) direttamente a Bianchi. Nel 2018, l'avvocato si ripropone di replicare lo schema. Stavolta, l'incarico riguarda la lite con Anas per la variante alla statale 1 Aurelia a La Spezia. Vengono stipulati due contratti, «che per ragioni di opportunità portano la data del 16 novembre 2016». Con il primo, i Toto s'impegnano a versare 8.000 euro lordi a Bianchi «per accettazione». In caso di esito favorevole, poi, assicurano un compenso «pari al 2% della quota […] del corrispettivo riconosciuto». Cifra che, spiega Bianchi ai colleghi, «Toto mi ha espresso il desiderio di versare a Open (o al soggetto che la sostituirà qualora Open chiuda)». Con il secondo contratto, l'impresa garantisce 16.000 euro lordi più «l'1% della quota del corrispettivo versato da Anas», che invece, stando a Bianchi, dovrebbe andare «allo studio». «Trattasi di somme evidentemente incerte», riconosce l'avvocato, «visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso». E difatti, Toto, a giugno 2018, rescinderanno il contratto con Anas. Curioso un appunto di Bianchi del 2017: «Toto: Grande (Elisa, dirigente ministeriale, ndr) resta Mit. Garanzia per quella sua roba». Ma alle casse di Open non hanno contribuito solo i grandi concessionari autostradali. Ci sono anche imprenditori del settore alimentare, come Luigi Scordamaglia e Luigi Cremonini, che direttamente o attraverso la controllata Inalca, hanno versato 100.000 euro alla fondazione renziana. In una mail del 2014, però, Bianchi sollecita Scordamaglia, citando un «vecchio impegno», che coincide con il famigerato «patto dell'Ora d'aria». La risposta lo gela: «[…] Non si era mai parlato di continuare. Magari ci vediamo con calma». Bianchi è stizzito: «Luigi, ci manca solo che ti mandi gli scambi di mail con l'impegno quinquennale, mai smentito! […] Avete tutta la gratitudine mia, di Matteo e della Fondazione, non avete nessun obbligo per il futuro [...]». In meno di mezz'ora il malinteso si risolve: «Alberto non eri assolutamente tu destinatario precedente mail scusa tantissimo ha confuso mittente». Il rapporto prosegue, come testimoniano i due elaborati Azioni urgenti (a costo zero) per l'interrogazione del Food and Beverage italiano sui mercati mondiali e Turismo, cultura, agricoltura e cibo: una politica di marketing, che Bianchi gira a Lotti. Tra i simposi per il referendum del 2016, cui partecipa anche Scordamaglia, da segnalare quello con altri 17 manager del settore, tra cui Piero Antinori, Guido Barilla, Luigi Cremonini, Antonio Ferraioli, Lisa Ferrarini, Luca Garavoglia, Andrea Illy, Nicola Levoni, Francesco Mutti, Cesare Ponti, Cosimo Rummo. Nel novero dei «sostenitori storici di Matteo Renzi», scrivono gli inquirenti, c'è poi Vincenzo Manes. Il fondatore di Intek group spa ha contribuito con 62.000 euro. Il 29 dicembre 2014, Manes viene nominato dall'ex premier consigliere pro bono per la riforma del terzo settore. Ed è proprio il governo Renzi, nel giugno 2016, a disciplinare la materia. Già nel 2014, Manes invia una mail allo studio di Bianchi: «Matteo, è il documento sulle imprese sociali. Leggilo poi dimmi». Grazie alla normativa varata due anni dopo, nascerà Fondazione Italia Sociale. L'ente (partecipato da altre 17 realtà profit e non) riceve come dotazione iniziale un milione di euro pubblici. 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Il finanziamento illecito può arrivare attraverso strade diverse da Open. E gli investigatori delle Guardia di finanza paiono ancora a caccia di eventuali altri tesoretti di Renzi. Per esempio, nelle informative depositate nei giorni scorsi, contributi e donazioni volontarie inseriti nella contabilità e affluiti sul conto corrente di Open collimano con il libro giornale della fondazione, ma non con il totale dei contributi indicato su un foglio manoscritto del luglio 2019. Anche negli anni precedenti, tra il 2012 e il 2017, c'erano state piccole differenze, per un totale di circa 13.000 euro, però, nell'ultimo anno, quello della chiusura, lo scarto è molto più alto e ammonta a quasi 300.000 euro. Scrivono gli investigatori: «Pertanto è plausibile ipotizzare che l'eventuale differenza di 289.924 euro, sopra evidenziata, possa essere affluita su un rapporto di conto corrente intestato ad un altro soggetto». Sì, ma quale? Gli investigatori evidenziano un appunto di Bianchi dell'ottobre 2018 da cui si desume che un non meglio identificato «comitato» avrebbe «aperto un rapporto di conto corrente». Di quale si tratta? I militari rispondono che «i più probabili potrebbero essere» quello della Leopolda 9 o quello di Ritorno al futuro-comitato di azione civile nazionale, da cui è nata Italia viva. Ma non c'è una risposta certa. Se i conti di Open non tornano, nelle carte c'è anche la prova di come gli stessi consiglieri del comitato direttivo fossero preoccupati per i loro bilanci e per l'elenco dei finanziatori. In una mail del 17 giugno 2015 lo stesso Bianchi, dopo aver allegato un elenco di una cinquantina di contributori da pubblicare online scrive: «Per me va pubblicata integralmente (…). Maria Elena chiede se e di quanto possiamo posporre la pubblicazione dell'elenco e del bilancio: direi di non attendere oltre la fine del mese, non siamo mai andati oltre giugno, un ritardo ulteriore farebbe sorgere interrogativi inutili». Invece di insultare magistrati e giornalisti ci aspettiamo che i renziani spieghino dove siano finiti i 289.000 euro che, secondo gli investigatori, mancano all'appello e perché la Boschi volesse rimandare la pubblicazione del bilancio. Risposte che gli interessati potranno dare già il 24 novembre, data fissata dagli inquirenti per gli interrogatori degli indagati dell'inchiesta (Renzi, Boschi, Bianchi, Luca Lotti e Marco Carrai). Il fu Rottamatore, che ci accusa di «vergognosa montatura» per gli scoop sull'inchiesta Open, non è solo un campione di slalom tra i magistrati, ma, sembrerebbe, anche di campagne social a base di troll e fake news. In un Whatsapp del marzo 2017 il capo della sua claque digitale, Alexander Marchi, spiegava a Bianchi: «Copriamo bene le pagine di sostegno (di propaganda) da lunedì a domenica tutte le ore. Però non riusciamo a fare l'altra cosa che ci chiede Matteo. Per esempio se Matteo scrive un post avevamo un sistema che garantiva sostegno ai commenti positivi delle persone renziane. Perché al Movimento 5 stelle sono molto più organizzati e hanno un sistema che mandano profili falsi a offendere di continuo. Avevo creato un modo per contrastare questo problema però in 3 non ci si fa». E a mo' di esempio inviò alcuni commenti pubblicati sul profilo della Boschi. Al servizio di Renzi c'è stato anche l'ex hacker Andrea Stroppa (da minorenne venne coinvolto in un'inchiesta sul gruppo di pirati digitali Anonymous). Il ragazzo, cui è dedicato un paragrafo di una delle ultime informative, secondo gli investigatori «dal 2016 al 2018 si è occupato della gestione dei social network per la “Fondazione Open", fornendo altresì assistenza tecnica ed informatica». In due anni ha ricevuto nove bonifici per un importo complessivo di circa 60.000 euro, offrendo servizi di cyber security, ma anche di assistenza tecnica sms e analisi dei dati. Ha svolto pure consulenze per il Comitato per il sì al referendum del 2016, per il Pd e la Cgil. Nel 2017 Stroppa preparò un report per Renzi in cui si sosteneva che siti vicini alla Lega e ai 5 stelle che propalavano presunte fake news contro il Pd renziano avessero dietro la Russia. La ricerca, molto contestata, venne ampiamente pubblicizzata durante la Leopolda 8 e venne rilanciata dalla stampa internazionale. Il sito Buzzfeed arrivò a definire Stroppa «ricercatore indipendente sulla cybersicurezza». Lui che era a libro paga di Open.
iStock
Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Getty Images
Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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