2025-03-26
«Hunger Games» fa giocare adulti e bambini
Anche se è diventata presto un godibile giocattolo hollywoodiano, la saga ideata da Suzanne Collins non ha perso un grammo della sua potenza distopica. Mantenendo intatto anche il suo tema centrale, cioè il dono, in tutte le sue possibili accezioni.Mai sottovalutare la letteratura cosiddetta popolare: regala spesso gioielli preziosi. Tra questi vi è la commercialissima saga degli Hunger Games di Suzanne Collins: nonostante sia presto divenuta un godibile giocattolo hollywoodiano, non ha perso un grammo della sua potenza distopica. Vale anche per L'alba sulla mietitura, il nuovo capitolo appena giunto nelle librerie italiane, ambientato ventiquattro anni prima del romanzo che ha dato inizio a tutto (quello incentrato sul personaggio di Katniss Everdeen, per intendersi). In questo caso il protagonista è Haymitch Abernathy, ovvero colui che diventerà il mentore di Katniss, e che nella serie cinematografica è interpretato da un alterato e disilluso Woody Harrelson. La cornice è nota. Ci troviamo in un futuro post-apocalittico, in cui il Nordamerica è divenuto Panem, uno Stato totalitario diviso in dodici distretti. La sede del potere è Capital City, ricca e viziosa: nel resto della nazione si patisce per lo più la fame. Ogni anno, da ciascuno dei distretti vengono selezionati un ragazzo e una ragazza - chiamati tributi - che parteciperanno ai terrificanti Hunger Games, una versione più spietata dei ludi gladiatori in cui soltanto il più forte sopravvive. Più che la storia, tuttavia, a interessarci è la filosofia di cui l'opera è intrisa. Certo, la lotta all'ultimo sangue per la sopravvivenza può essere letta come una critica dell'individualismo sfrenato della modernità, ma scavando più a fondo c'è anche qualcosa in più. Dopo tutto, il tema centrale di Hunger Games è il dono, in tutte le sue possibili accezioni. I giovani che partecipano ai giochi sono tributi, dunque offerte, doni di sangue che si offrono alla divinità (nel caso specifico il Leviatano di Capital City). Si affrontano nell'arena, si sacrificano per placare la feroce divinità statale che li comanda. Anche l'impianto stesso dei giochi è un dono. Panem rimanda ovviamente ai circenses, i quali fanno parte delle elargizioni che il potere fa al popolo. Il filosofo Jean Starobinski ha indagato in profondità questo tipo di dono. «In latino», spiega, «largitio ha preso un significato molto esteso. La parola designa le liberalità del principe e quelle dei personaggi importanti di una provincia o di una città: mense pubbliche, terre, regalie fatte a una persona, in denaro o in natura, giochi, in breve tutto quello che possono offrire un edile, un console, un imperatore, un benefattore (...). Coloro che hanno deciso di far rispettare la loro autorità, devono manifestare in molti modi la loro facoltà di aumentare e accrescere la prosperità».Il potere deve donare, ma in questo caso il suo è un dono perverso. «La lingua latina», continua Starobinski, «fa ricorso a un termine la cui accezione è più limitata, sparsio, per descrivere quello che si sparge, che si fa cadere, quello che assomiglia di più alle sementi. Ai giochi del circo, nei raduni popolari, il dispensatore della festa fa praticare, o pratica di persona, una sparsio. Questa consiste nel lanciare alla folla i doni più diversi. Le cose così distribuite prendono il nome di missilia». In Hunger Games vi è tutto questo: al pubblico di Capital City è offerto lo spargimento di sangue e vita dei tributi, i quali sono appunto mietuti, come si miete ciò che dalle sementi cresce. A sua volta, il pubblico può aiutare i suoi concorrenti favoriti tramite doni, che vengono lanciati dal cielo, sparsi a beneficio dei concorrenti sfibrati. La sparsio è in qualche modo la caratteristica dei ricchi di Panem, e prende la forma di dissipazione: il dono nelle loro mani è spreco: di denaro, di cibo, di vestiti, di vita. Siamo, qui, nelle zone languide e perverse dell'Eliogabalo di Antonino Artaud, attorno al quale vi è - dice l'autore francese - «intensa circolazione di sangue e di escrementi, intorno alla sua culla ci è intesa circolazione di sperma». Eliogabalo è imperatore ambiguo e folle, sacerdote che sacrifica e depravato che sparge, dissipa, a un certo punto diviene re malato che disgrega il suo stesso corpo martoriato dalla malattia. I doni che giungono da questo potere febbrile, delirante, sono nefasti, servono alla sottomissione. Come le eccessive cure materne sono invertono in controllo invalidante, così le dolcezze elargite dal tiranno sono catene dorate al collo dei sudditi. Le stesse che oggi troppo spesso portiamo senza accorgercene, sedati e rabboniti dallo spettacolo senza interruzioni e dal fasto decadente del circo che ci avvolge. Eliogabalo è l'eccesso e lo spreco offensivo che sono una delle facce del nostro presente. L'altra è la disperazione del volgo che si affanna, si picchia e si sbraccia per arraffare la pagnotta che il nobile «liberale» ha gettato dal carro, spettacolo ripugnante se ve n'è uno. Eliogabalo - come del resto fanno spesso i potenti - dona quando tutti gli occhi sono puntati su di lui, esibisce, ostenta. Così come fanno i grassi spettatori degli Hunger Games. Vi è però un antidoto a questo orrore. Un altro tipo di dono che non è spreco, che non è spettacolo. È il dono disinteressato e spesso segreto, o comunque non pubblicizzato dei giovani protagonisti, i puri combattenti della saga. Costoro offrono la loro vita spesso per salvare quella di un altro più debole. La grandezza di Katniss Everdeen e di coloro che nei romanzi le assomigliano è proprio la generosità, il dono di sé come atto di amore e coraggio. È la virtù cavalleresca della largesse, che come largitio è affine al latino largus ovvero, come ricorda Starobinski, «abbondante; che sgorga in abbondanza (si dice soprattutto delle sorgenti, dei fiumi), da cui che dà in abbondanza, generoso, largo (in senso morale)».Questa larghezza è tipica della forza buona maschile, che sparge come si sparge il seme e non si risparmia, fa dono di sé, è coraggiosa e si prende cura del prossimo. Una forza che riguarda anche le donne come Katniss, un torrente di acqua pura che può sanare una terra malata, e può ribaltare un regime dispotico poiché non si fa ammansire dalla propaganda e non si accontenta per il proprio tornaconto, ha la purezza dell'infanzia e la determinazione dell'età adulta. Tutto questo si può ritrovare negli Hunger Games: basta non fermarsi al luccichio hollywoodiano.
Jeffrey Epstein e Donald Trump (Ansa)
L'ad di SIMEST Regina Corradini D'Arienzo
La società del Gruppo Cdp rafforza il proprio impegno sui temi Esg e conferma anche la certificazione sulla parità di genere per il 2025.
SIMEST, la società del Gruppo Cassa depositi e prestiti che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha ottenuto l’attestazione internazionale Human Resource Management Diversity and Inclusion – ISO 30415, riconoscimento che certifica l’impegno dell’azienda nella promozione di un ambiente di lavoro fondato sui principi di diversità, equità e inclusione.
Il riconoscimento, rilasciato da Bureau Veritas Italia, arriva al termine di un percorso volto a integrare i valori DE&I nei processi aziendali e nella cultura organizzativa. La valutazione ha riguardato l’intera gestione delle risorse umane — dal reclutamento alla formazione — includendo aspetti come benessere, accessibilità, pari opportunità e trasparenza nei percorsi di crescita. Sono stati inoltre esaminati altri ambiti, tra cui la gestione degli acquisti, l’erogazione dei servizi e la relazione con gli stakeholder.
L’attestazione ISO 30415 rappresenta un passo ulteriore nel percorso di sostenibilità e responsabilità sociale di SIMEST, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, in particolare quelli relativi alla parità di genere e alla promozione di condizioni di lavoro eque e dignitose.
A questo traguardo si affianca la conferma, anche per il 2025, della certificazione UNI/PdR 125:2022, che attesta l’efficacia delle politiche aziendali in tema di parità di genere, con riferimento a governance, crescita professionale, equilibrio vita-lavoro e tutela della genitorialità.
Valeria Borrelli, direttrice Persone e organizzazione di SIMEST, ha dichiarato: «Crediamo fortemente che le persone siano la nostra più grande risorsa e che la pluralità di esperienze e competenze sia la chiave per generare valore e innovazione. Questi riconoscimenti confermano l’impegno quotidiano della nostra comunità aziendale nel promuovere un ambiente inclusivo, rispettoso e aperto alle diversità. Ma il nostro percorso non si ferma: continueremo a coltivare una cultura fondata sull’ascolto e sull’apertura, affinché ciascuno possa contribuire alla crescita dell’organizzazione con la propria unicità».
Con questo risultato, SIMEST consolida il proprio posizionamento tra le aziende italiane più attive sui temi Esg, confermando una strategia orientata a una cultura del lavoro sostenibile, equa e inclusiva.
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