2025-11-12
Anche gli Houthi si placano: «Basta attacchi alle navi che passano nel Mar Rosso»
I ribelli yemeniti prendono atto della tregua, spinti dai loro protettori iraniani che vogliono tornare in gioco dopo la batosta e sfruttare le timide aperture di Donald Trump.L’estremismo islamico rialza la testa in India e Pakistan. Occhi puntati su Kabul. Con il ritorno dei talebani, l’Afghanistan è tornato un rifugio per i terroristi.Lo speciale contiene due articoliL’accordo di pace ottenuto a Sharm el Sheikh da Donald Trump continua a cambiare la geopolitica del Medio Oriente. Gli Houthi dello Yemen, che per mesi hanno terrorizzato il Mar Rosso attaccando tutto il naviglio che navigava in direzione del Canale di Suez, hanno scritto una lettera alle Brigate Ezzedin Al Qassam di Hamas, dove hanno dichiarato che avrebbero sospeso gli attacchi contro Israele e contro le navi che dall’Asia cercavano di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Rosso. Questa lettera è stata inviata dal neo-nominato capo di stato maggiore, Yousef Hassan Al Madani, succeduto a Mohammed Al-Ghamari dopo la sua morte in un attacco aereo israeliano. Si tratta di una notizia di enorme valore strategico ed economico, che dimostra quanto gli equilibri mediorientali siano determinanti per una vasta fetta di mondo. Questa tribù, originaria delle montagne dello Yemen, che ha preso il potere con la forza conquistando circa metà della nazione, ha voluto sottolineare nella lettera che se la tregua verrà interrotta, ricomincerà con maggiore forza con l’obiettivo, sempre dichiarato, di distruggere quella che loro chiamano entità sionista, ovvero lo Stato di Israele. Lo Yemen vanta una posizione strategica determinante per i commerci fra Asia ed Europa e gli attacchi alle navi hanno causato un aumento dei prezzi e dei tempi di consegna. Questa situazione ha messo in crisi soprattutto l’economia egiziana che ha al primo posto delle sue entrate gli introiti che derivano dal passaggio delle navi dal Canale di Suez. Proprio Il Cairo ha ufficialmente dichiarato che sta lavorando ad una serie di piani necessari per la ripresa degli scambi commerciali attraverso il Canale di Suez, riportandoli a prima del 7 ottobre. Intanto la compagnia di container francese Cma Cgm ha testato questa settimana il ritorno sulla rotta di Suez dopo essersi spostata sulla circumnavigazione del continente africano nell’ultimo anno. Il peso politico di questa dichiarazione va guardato anche nell’ottica dell’Iran, mentore e punto di riferimento degli Houthi. Dopo la cosiddetta guerra dei 12 giorni fra Israele e Iran che ha dimostrato la debolezza della resistenza iraniana, gli Stati Uniti hanno tenuto una politica di blanda apertura verso Teheran. Al fondamentale vertice organizzato a Sharm El Sheikh era stato infatti invitato anche Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri iraniano, che non aveva accettato, ma era stato chiaro che la mossa era stata concordata dal presidente dell’Egitto e da Donald Trump con l’obiettivo di mantenere aperto un canale diplomatico con gli eredi della Persia. L’Iran sta cercando un riposizionamento dopo il crollo di quello che aveva pomposamente definito come Asse della Resistenza, smantellato pezzo dopo pezzo da Israele e non può precludersi nessuna via né diplomatica né politica. La notizia è stata ripresa dai media vicini al governo Houthi, ma non c’è stata nessuna conferma ufficiale dai miliziani che spesso usano televisione e radio da loro controllate per dare notizie. Il ritorno alla normalità del traffico marittimo nel Mar Rosso, circa il 12% del commercio globale, ha un peso significativo anche per l’Europa che ha sofferto la situazione. Intanto gli Stati Uniti hanno annunciato il progetto di costruzione di una grande base militare In Israele, vicino al confine con Gaza, con l’idea di destinarla alle forze internazionali che opereranno nella Striscia per mantenere il cessate il fuoco. La notizia è stata riportata dai media israeliani che hanno spiegato che la base costerà circa mezzo miliardo di dollari e che avrà la possibilità di ospitare diverse migliaia di soldati. Qui potrebbe prendere alloggio la Forza di stabilizzazione (nota anche come Isf) che avrà molti compiti diversi e che non è ancora chiaro da quanti uomini sarà composta. Gli Stati Uniti hanno proposto che la durata minima sia di due anni e sembra che l’Egitto potrebbe essere la nazione che guiderà questa forza di interposizione. Al momento hanno dato la disponibilità a partecipare anche Giordania, Turchia, Indonesia e Azerbaigian, oltre ad alcuni Paesi europei come l’Italia. In questa fase di progetti di ricostruzione della Striscia di Gaza l’amministrazione statunitense sta progettando di costruire una sera di alloggi temporanei per circa 25.000 persone dentro la Linea Gialla, la parte della Striscia di Gaza controllata da Israele, destinata ai palestinesi che non abbiano legami con Hamas. Questo piano denominato «Comunità sicure alternative» sarebbe costruito su territori palestinesi. Tutto in divenire però anche perché un’inchiesta del quotidiano Politico ha rivelato che alcuni alti funzionari dell’amministrazione Trump sarebbero preoccupati per la tenuta dell’accordo di pace tra Israele ed Hamas soprattutto per le difficoltà nell’applicazione delle sue clausole fondamentali. Un equilibrio estremamente fragile e che vede anche il ritorno dello Stato Islamico in Siria ed al confine con il Libano con i due governi che stanno faticosamente cercando di limitarne l’influenza. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/houthi-mar-rosso-passaggio-navi-2674286850.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bombe-a-nuova-delhi-e-islamabad" data-post-id="2674286850" data-published-at="1762909131" data-use-pagination="False"> Bombe a Nuova Delhi e Islamabad Un boato, poi il fumo, le sirene e il caos. Ieri mattina in pochi secondi il quartiere giudiziario di Islamabad (Pakistan) si è trasformato in un inferno. Un attentatore suicida si è fatto esplodere davanti a un tribunale distrettuale, uccidendo dodici persone e ferendone almeno trenta. L’uomo, imbottito di esplosivo, ha cercato di oltrepassare i controlli, ma dopo essere stato bloccato dalle guardie ha azionato il detonatore accanto a un veicolo della polizia. L’esplosione ha distrutto le auto circostanti e scatenato il panico nella capitale.Il ministro dell’Interno Mohsin Naqvi, accorso sul posto, ha confermato la matrice suicida dell’attacco. «Quando ha capito che non poteva entrare nel palazzo di giustizia, si è diretto verso un mezzo delle forze di sicurezza e si è fatto esplodere», ha spiegato. Gli artificieri hanno rinvenuto la testa dell’attentatore a pochi metri dal punto dell’esplosione, mentre le ambulanze trasportavano i feriti negli ospedali cittadini.Secondo le prime indagini, dietro l’attacco potrebbe esserci Fitna Al Khawarij, una setta radicale che si rifà all’islam del settimo secolo con ramificazioni in varie province pakistane, ritenuta vicina ai Talebani afghani o a reti nazionaliste indiane (ipotesi improbabile ma utile per la propaganda di Islamabad). L’episodio si inserisce in una fase di crescente instabilità interna: dopo la presa di Kabul nel 2021, Islamabad ha visto riemergere il terrorismo legato al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp), gruppo che da anni colpisce basi militari e civili soprattutto nelle province di Khyber Pakhtunkhwa (Kp) e Belucistan. Nei primi otto mesi del 2025, nel KP si sono registrati oltre seicento attacchi, con più di duecento vittime. Il governo ha risposto dispiegando truppe e droni da sorveglianza lungo il confine afghano, in particolare nelle impenetrabili aree montane di Waziristan e Kurram, nel tentativo di bloccare infiltrazioni jihadiste. Le relazioni con Kabul restano tese. Nell’ottobre scorso l’esercito pakistano aveva bombardato obiettivi nelle province di Kandahar e Kabul dopo una serie di sconfinamenti. L’operazione, costata oltre duecento morti tra i miliziani e ventitré tra i soldati pakistani, si era chiusa solo grazie a una fragile tregua mediata dal governo afghano.Ma la minaccia non proviene solo dai Talebani che hanno più volte promesso (mentendo) agli americani di aver cambiato registro. La branca regionale dello Stato Islamico, Isis-Khorasan (Iskp), ha consolidato la propria presenza in Afghanistan, trasformandosi in una rete transnazionale con ramificazioni in Iran, Russia, Tagikistan e Uzbekistan. Il gruppo utilizza criptovalute per finanziare le operazioni e droni per i rifornimenti, e oggi rappresenta una delle sfide più gravi alla sicurezza globale.L’attacco di Islamabad è avvenuto poche ore dopo un’esplosione a New Delhi (India), nei pressi del Forte Rosso, che ha provocato vittime e ingenti danni. Le autorità indiane sospettano un legame con l’Isis-K dopo l’arresto di tre sospetti nello Stato del Gujarat: avrebbero pianificato un attentato con ricina, un micidiale veleno biologico, coordinandosi con contatti all’estero. La simultaneità degli attacchi in Pakistan e in India evidenzia un’ondata estremista ormai senza frontiere, alimentata dal caos afghano e dai traffici di armi e droga che attraversano le regioni tribali. Gli analisti sottolineano che, pur negando ogni complicità diretta, il regime talebano tollera la presenza di gruppi jihadisti finché non minacciano la propria autorità. Così l’Afghanistan è tornato a essere un rifugio sicuro per il terrorismo internazionale. E mentre Islamabad dispiega uomini e mezzi lungo il confine, cresce il timore che la prossima esplosione non rappresenti solo un nuovo attentato, ma l’inizio di un conflitto che nessuna frontiera potrà contenere.
Uomini del battaglione Azov (Ansa)
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