2022-11-28
«Ho scritto una poesia per il libro di Pillon e mi hanno infangato»
Davide Rondoni (Dino Ignani/Getty Images)
Lo scrittore Davide Rondoni: «Italia malata di schieramenti, sinistra e destra sono ottocentesche. Il Covid? La salute non basta. Ci vuole un senso».Davide Rondoni, ci sono state diverse polemiche rispetto alla sua partecipazione con una poesia al libro di Simone Pillon, Manuale di resistenza al pensiero unico. Cosa ne pensa?«Mah, io personalmente non avevo visto niente. Mi hanno poi riferito qualche cosa, ma non si sembra nulla di rilevante, anche perché non mi paiono critiche che entrano in merito a quello che ho scritto. Se vogliono avercela con l’avvocato Pillon, ce l’abbiano con Pillon. Io sono libero di pubblicare dove voglio. Mi hanno chiesto in questi giorni di pubblicare un testo su un libro sulla guerra. Se uno mi chiede un testo lo do, mi sembra che siano polemiche da sottobosco culturale, perché in Italia si è malati di schieramenti. Invece che guardare alle idee, certa gente che pur si presenta sui social come scrittori o intellettuali guarda gli schieramenti». Lei li ha mai guardati?«No, perché non credo che gli schieramenti politici siano la cosa importante: li ho anche cambiati nel tempo votando partiti diversi. Il mondo cambia, le proposte politiche cambiano, chi si schiera sempre da una parte a priori mi sembra un po’ scemo, poco attento al mondo. Io mi schiero solo con la libertà e con il grido del cuore umano. Sono un cristiano anarchico, cattolico di rito romagnolo».Cosa intende quando dice che l’ambiente culturale italiano è malato di ideologia?«Intendo che nel nostro Paese, un po’ per la natura attaccabrighe e un po’ faziosa degli italiani, dalle contese comunali in poi (ride), e un po’ per la storia nostrana di certe ideologie opposte e simili come comunismo e fascismo, sembra che la realizzazione della cultura sia la politica e invece no. La cultura è la cultura». Sinistra e destra valgono ancora?«Noi siamo stati abituati a queste due categorie ottocentesche che per me non valgono più da un pezzo. E diciamo così che tra le due parti della contesa in gioco sembra che il fine della cultura sia la politica; invece, il fine della cultura è il senso critico, non la politica. Non che non vi sia un rapporto fra le due ovviamente, ma chiudere sempre la cultura sulla politica è un vizio sbagliato e anche un po’ comodo». Quindi un poeta dovrebbe evitare di schierarsi?«Dante si schierava, quindi il problema non è lo schierarsi: sono le ragioni per cui ti schieri, le ragioni anche momentanee su idee politiche e sociali, e discutere di quelle, altrimenti si discute solo faziosamente e questo è sbagliato. La vita non è solo schieramento politico». Qual è dunque il ruolo degli intellettuali nella società e nella politica di oggi? «Il ruolo degli intellettuali se sono tali è che fanno pensare. Io spero che chi legge quel mio testo o chi legge i miei libri pensi. Non cerco né voti né consenso». A proposito del suo testo, una poesia su Narciso come si relaziona con un testo sul gender?«Il mio testo è sulla nostra epoca in Occidente in generale, non in particolare. Noi siamo nell’epoca dei figli di NN, numero e Narciso. Cosa significa?«Un’epoca in cui da una parte si crede che solo il numero conti, e un’epoca di iper individualismo, iper narcisismo, iper presunto potere assoluto dell’io. Dentro a questo elemento di narcisismo o di rigonfiamento dell’io ci sta anche a mio avviso il fatto, non a caso molto assecondata da una spinta di tipo capitalista, che l’io è il dominus assoluto su tutto, compresa la propria natura. Come se l’io potesse reinventarsi sempre da zero». Questo cosa genera? «È un narcisismo grottesco e anche un po’ malato che infatti ha aspetti patologici, crea ansie o difficoltà. Del resto, Leopardi aveva capito nel 1830, non ieri, che la domanda della nostra contemporaneità è: “Ed io che sono?”. Se la risposta a questa domanda è “Io sono quello che voglio”, o si risponde con “io sono bianco, nero, omosessuale, eterosessuale, romagnolo”, insomma se a questa domanda profonda sulla natura della persona si risponde con delle identità, con degli aggettivi, si crea una gabbia».Perché?«L’io non è in nessuno di questi aggettivi, la natura dell’io non è in nessuno di questi aggettivi. La natura dell’uomo come avevano capito Pasolini, Giussani, John Keats e Leopardi stesso, sta nel suo rapporto con l’infinito. Questa è la natura dell’uomo, il rapporto tra la sua finitudine e l’infinito. Tutti gli altri sono aggettivi, sacrosanti o discutibili. Infatti, il sovranismo più stupido e il genderismo più stupido si toccano perché si fondano sull’identità che scelgono. Che sia di natura sessuale o di natura etnico-nazionale». Lei condivide le idee di Pillon?«Non condivido tutte le sue idee ovviamente, se no farei un libro come Pillon. Io ne ho scritto un altro che si chiama Che cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti. Evidentemente, essendo un libro culturale Pillon ha chiesto a persone di cultura come me e Sgarbi un contributo sul tema. Sul gender penso che, come il sovranismo più stupido, confonde un aggettivo identitario con la natura della persona».È un errore grave?«Sì, lo stiamo pagando, soprattutto ne stanno subendo le conseguenze i più giovani. Se a un ragazzo confondi un aggettivo con la natura, o come dicevano i filosofi antichi sostanza e atto, vuol dire che gli metti una giacca stretta. E siccome sentono queste giacche strette, da una parte rivendicano le identità e dall’altra rivendicano di non averne nessuna».E come si rimettono le cose a posto?«Come Leopardi non penso che il paradiso esista in terra e quindi non credo a una società perfetta. Bisogna educarsi al rispetto e alla comprensione di tutti e di tutto, ma bisogna anche stare attenti a non seguire un’idea fondamentalmente capitalista, come se ci fosse un Amazon dell’identità scambiandola per natura umana». Sulla guerra in Ucraina ha detto che i poeti non sono stati ascoltati. Cosa intendeva?«Intendo innanzitutto che non hanno ascoltato un grande poeta oltre che Papa, Karol Wojtyla. Negli anni Ottanta diceva che per fare l’Europa erano necessari due polmoni. Dall’Atlantico agli Urali, polmone orientale e occidentale. Da poeta e da Papa chiedeva che ci fosse un riconoscimento culturale delle radici cristiane d’Europa nello statuto europeo. Perché uno slavo e un latino non hanno niente di cultura in comune se non i valori portati dal cristianesimo. A quel Papa fu detto no dai potenti, e da quel no dipende la guerra. Da un no detto a un poeta con una visione più profonda di tanti politici e statisti».E cosa pensa della gestione pandemica e degli obblighi vaccinali?«Il problema non è vaccino o non vaccino, quella contrapposizione così forzata è servita ad altro. Io credo che la pandemia, o meglio il racconto e la gestione della pandemia, facciano parte di un processo che non è recentissimo, che va avanti da un po’, che prevede la riduzione della vita a durata, come se l’uomo fosse un carciofo. Una specie come le altre che ha il problema di durare e di riprodursi. Perciò i temi centrali diventano la salute, la durata del pianeta…».Cos’è diventata la salute?«L’hanno trasformata nel punto più alto della civiltà: mai successo in tutta la storia umana. Non perché la salute non sia importante ma perché l’esperienza ci insegna che non è vero che basta la salute: la vita ha bisogno di significato.Mi faccia un esempio.«Se mi chiedono se voglio un anno di vita in più io o un giorno in più a mia figlia, io non scelgo in nome della durata, che è un anno mio, ma scelgo in nome dell’amore. Se no perché ammiriamo Falcone e Borsellino che hanno rinunciato, diciamo così, e hanno messo a rischio la durata per affermare qualcosa di più grande?».A cosa stiamo assistendo?«Credo sia in atto uno schiacciamento violento della natura umana alla sua pura durata biologica come se il valore della vita fosse durare, come se avessimo deciso che la vita di un’ottantenne vale più di quella di un ventenne perché dura di più. La narrazione della pandemia ha dato un contributo molto forte in questo senso. Queste grandi riduzioni dell’umano, sia quella del gender sia il salutismo, non producono più benessere, ma più ansia». Si vuole curare questa inquietudine esistenziale umana e alla fine esplode.«Un certo modo di raccontare la natura come se fosse la purezza da raggiungere e un certo modo di raccontare la salute come se fosse il valore primario dell’esistenza, sono modi di narrare la vita umana che contengono un veleno. Riducono la vita umana a pura esistenza biologica e a pura durata. Invece l’esperienza quotidiana ci insegna che, per esempio, per una persona il senso del tempo non è dato dal cronometro ma dal significato degli eventi».Ripone molte speranze nel ministro della Cultura oggi?«Non ripongo speranze nei padroni in terra ma nei patroni in cielo. Certo, a Sangiuliano auguro buon lavoro di cuore, e che possa contribuire alla destatalizzazione della cultura, malata di statalismo come tutta la società italiana». Uno schema da rompere.«Sì, bisogna rompere questo schema vecchio e sbagliato, che vede una cultura di sinistra e una cultura di destra. La cultura è cultura, e non vuol dire che non ha conseguenze sulla visione della società, ma non esiste una cultura di destra o di sinistra. Bisogna valutare se la cultura è libera o se invece è asservita e vuole compiacere il re. Quando Pasolini negli anni Settanta capì che l’unica vera forza di opposizione all’omologazione capitalista era il sacro, più ancora che il marxismo, andò a parlare con Pound. Quello fu un gesto di destra o di sinistra? A volte pare di avere a che fare con figure di mezzi scrittori o mezzi intellettuali che forse volevano fare i politici e non ne sono capaci ma ragionano per schieramenti. Questo atteggiamento mi sembra povero e un po’ ignorante».
Simona Marchini (Getty Images)