
«Canzone avrebbe vinto facile: Milva dava i brividi, Adriano l'ha rovinata. Avrei dovuto cantarla io. Casa bianca? Non ci credevo, però era perfetta per Marisa Sannia. L'immensità è nata in 15 minuti, parole e musica».«Io son sicuro che / per ogni goccia / per ogni goccia che cadrà / un nuovo fiore nascerà / e su quel fiore una farfalla volerà». Aldo Caponi, in arte Don Backy, è un poeta che ha trasformato i suoi versi in strofe di canzoni, come L'immensità, capolavoro assoluto della musica italiana. La sua vita è stata come un film dalla trama intricatissima, conclusosi come un noir francese, in cui ogni personaggio, alla fine, si allontana da solo nell'oscurità, portando con sé il peso di sentimenti repressi. Con la sua faccia d'attore, portata al successo in Banditi a Milano di Carlo Lizzani, Satyricon di Gian Luigi Polidoro, Cani arrabbiati di Mario Bava, e il carattere che non gli ha mai consentito di piegarsi alle ingiustizie, quel film l'ho interpretato sempre da protagonista assoluto. Alla faccia dei suoi amici-nemici.Chi scelse il nome Don Backy?«È stata una combinazione di decisioni al momento in cui entrai a far parte del Clan di Celentano. Era il marzo del 1962. Un giorno ci radunammo a casa di Adriano, eravamo i soliti del Clan: Adriano, Ricky Gianco, Guidone Crapanzano, Milena Cantù e io. Adriano decise che dovevo cambiare nome perché avevo un nome d'arte improbabile, il mio soprannome al paese, Agaton, che a lui non piaceva molto. La prima idea che gli venne fu quella di chiamarmi Cocco Bacillo. Sembra paradossale, ma in realtà aveva un senso quasi logico perché io ero stato scritturato dal Clan grazie alla canzone che avevo scritto, una ballata, La storia di Frankie Ballan. Adriano pensò che il nome dello sceriffo di Jacovitti Cocco Bill fosse adatto a rappresentare il mio genere, che era, almeno in quella canzone, uno stile country, western. In quel periodo soffrivo di febbre da fieno, starnutivo in continuazione, per cui mi chiamavano Bacillo, di qui il nome Cocco Bacillo! Al che, fra frazzi, frizzi e lazzi, si cominciò a proporre altri nomi. Io dissi: “Se devo cambiare nome, scegliamo almeno un nome cristiano!" e mi venne in mente Daniele. Siccome ero un appassionato dei The Everly Brothers e uno dei due fratelli si chiamava Don, mentre un cantante di ballate si chiamava Don Gibson, in onore di questi miei due cantanti preferiti, trasformai Dan in Don, Bacillo divenne Baci, quindi Don Bacillo, Don Baci... Don Backy!Alla fine un bellissimo nome!«Un nome che si è distinto, è rimasto impresso e lo porto ancora oggi con piacere e con orgoglio».Come arrivò al Clan?«Mandai il primo disco che mi ero autoprodotto. Mi costò 100.000 lire. Era proprio La storia di Frankie Ballan, che avevo scritto raccontando la storia vera di un mio amico che aveva avuto una disavventura con la ragazzina con la quale era fuggito di casa. È anche la mia prima canzone in assoluto. Io, tra l'altro, ho sempre scritto cose personali, non sono costruzioni di uno che fa questo mestiere, sono sensazioni, emozioni di impatto che rispecchiano una mia realtà e poi trasformo in canzoni. Siccome ero stato scritturato per due mesi, d'estate, in un locale di Marina di Massa che si chiamava Il Pirata, tutte le sere con il mio gruppo la suonavo e i ragazzi si divertivano a ballarla come un hully gully, anche se non c'entrava proprio niente. La ballavano così e tutte le sere me la venivano a richiedere cinque-sei volte. L'idea scaturì in maniera spontanea: “La incido, spendo qualche soldino per pagarmi il disco, dopodiché vedrò come andrà a finire". Andò a finire che una di queste copie la mandai a Celentano, che in quel periodo stava costituendo il Clan e io fui il quarto e ultimo a farne parte, dopo Ricky Gianco, Guidone e lui. Ero al posto giusto al momento giusto».A cosa si era ispirato per scrivere L'immensità?«L'immensità è un'emozione, un momento spirituale che ho attraversato una notte, tornando da un concerto a Milano, dove vivevo in quel periodo; una notte brutta brutta, pioveva a dirotto, non c'era una persona per strada, quindi il mio animo era piuttosto contrito. In quelle condizioni, saranno state le tre, le quattro del mattino, le cose si diradano e il bisogno di sentire che qualcuno mi tenesse una mano sulla testa e mi accompagnasse lo ebbi chiaro e lampante. La canzone è nata in quarto d'ora, non di più, parole e musica».L'ha scritta alla fine del viaggio?«Ero già arrivato a Milano: era la città che mi colpì in maniera così intensa. A quell'ora senza incrociare una macchina, un autobus, un tram, un taxi, proprio un deserto completo, tutta quella pioggia, quel buio... l'anima ovviamente va alla ricerca di sensazioni ed emozioni che la confortino. Io fui confortato dall'ispirazione».Che ricordi ha dei festival di Sanremo ai quali ha partecipato? Non è mai riuscito a vincere, ci è andato vicino più volte.«Sono arrivato una volta secondo, con Casa Bianca, due volte terzo, con Canzone e Un sorriso, una volta settimo con Bianchi cristalli sereni e una volta nono con L'immensità. Ho sempre superato le eliminatorie e sono arrivato in finale, sono quindi soddisfatto delle mie partecipazioni. Avrei potuto vincerlo nel '68, quando avevo una partner strepitosa, Milva, che cantò Canzone in maniera stratosferica. Ogni tanto vado a rivedere il filmato su Youtube: come ha eseguito Canzone è veramente da brividi. L'avremmo vinto sicuramente, ma la partecipazione di Celentano fu una palla al piede anche per lei: non era una canzone per lui, la sciupò con un arrangiamento banale, senza alcun tipo di calore. Rovinò Milva, che non ha mai vinto e invece quell'anno sicuramente ce l'avrebbe fatta».In quell'edizione era presente anche un'altra sua canzone, Casa bianca, che fu cantata da Ornella Vanoni e Marisa Sannia e arrivò seconda.«La canzone Casa bianca non poteva essere inviata a Sanremo perché io avevo già mandato Canzone. All'epoca un autore della musica poteva iscriverne una sola, allora all'interno del Clan, che mi amavano così tanto a sentire Celentano, cosa pensarono? Nottetempo fecero arrivare un tizio, un certo Eligio La Valle, a firmare il bollettino di presentazione al festival. Con il nome di La Valle e Don Backy la canzone fu accettata senza problemi. Il discorso è molto articolato perché Gianni Ravera, il patron del festival, aveva minacciato che se non davamo Casa bianca a Ornella Vanoni, lui avrebbe escluso anche Canzone. Allora cosa fecero? Fecero firmare il documento di presentazione a questo Eligio La Valle e a Detto Mariano, che scrisse Don Backy come se l'avessi firmato io, nonostante gli avessi detto che non volevo. Mariano, pace all'anima sua perché è appena scomparso, mi chiamò al telefono, io in quel momento ero al Piccolo Teatro insieme a Gian Maria Volonté a guardare una commedia dove lavorava la sua compagna Carla Gravina, e gli dissi che non mi sarei presentato a firmare, allora lui firmò al posto mio. Quindi Casa bianca fu presentata a Sanremo con autori Eligio La Valle e Don Backy, il quale non era soltanto ignaro, ma anche contrario. La canzone, soprattutto per merito di Marisa Sannia, perché sembrava fatta apposta per lei, diventò una piccola ninna nanna e arrivò seconda con mia enorme sorpresa peraltro».Lei quindi cantò nessuna delle due canzoni...«Nessuna delle due. Volevo cantare Canzone, mentre non credevo in Casa bianca».Ha scritto una bellissima canzone anche per Mina, Sognando...«Non l'ho scritta per Mina! La canzone era nata ben cinque anni prima. È una storia molto particolare, come tutte le mie storie. Questa canzone la scrissi nel 1971 e la proposi prima alla Cgd, di cui facevo parte in quel periodo, poi alla Rca e infine alla Barclay, ma nessuno mi consentì di inciderla. Nel 1974 chiesi a Detto Mariano, che aveva costituito una piccola etichetta discografica che si chiamava Love: “Pago tutto io se me la fai incidere almeno per piacere mio, per un ricordo". Lui mi disse di sì e così la incisi con il titolo di Sognando fumo, però ovviamente non successe niente perché stampai solo un centinaio di copie, che peraltro ho ancora! Un paio di anni dopo, nel 1976, quando neanche più ci pensavo a questa canzone, mi arrivò una telefonata a casa: era Mina! Mi sorpresi perché non avevamo mai avuto un rapporto che potesse prevedere una sua chiamata. C'eravamo incrociati qualche volta in concerti, ma niente di più. Mi disse: “Io so che hai una canzone per me". “Non lo so, in questo momento non mi viene in mente nulla". “Io ho visto che tu hai una canzone per me, lo sento!". “Guardo se la trovo. Se c'è una canzone adatta, te la faccio avere". Io avevo il mio librone dove conservavo tutti i testi delle canzoni che scrivevo. Lo scorsi tutto e non c'era niente che mi sembrava potesse andarle bene. Una sera, anche in quell'occasione in macchina mentre tornavo da un concerto - per me è abbastanza consueto creare così le mie canzoni -, mi dissi: “Mi spiace perdere l'occasione di dare una canzone a Mina, vorrà dire che gliene scrivo una ex novo e poi le dico che ce l'avevo già fatta". Così nacque una canzone che si intitola Nuda. Due sole sono le canzoni che ho scritto per altri cantanti: questa e un brano per Mario Tessuto, Ho scritto fine. Dopo qualche giorno la chiamai: “Guarda, ho cercato: effettivamente ho qui una canzone dove c'è un ritratto di un'artista che sembri tu. Ce l'ho da qualche tempo. Se vuoi...". “Sì, sì, vedrai che mi piacerà tanto. Vieni a Milano a La Basilica", che era la sua sala d'incisione in una chiesa sconsacrata (la chiesa di San Paolo Converso a Milano, tra corso Italia e piazza Sant'Eufemia, ndr). Andai lì, c'era il fonico, presi la mia chitarra e registrai il provino di Nuda. Mentre venivo via, sulla porta, pensai a Sognando: “Guarda un po': non la vuole nessuno, sta lì... metto anche Sognando insieme a Nuda". Chiesi allora al fonico di attivare la registrazione, cantai anche Sognando e andai via. Qualche giorno dopo Mina mi telefonò: “Hai visto? Io sentivo che avevi una canzone per me. Bellissima!". “È proprio la tua fotografia!". “Ah, perché? Mi hai preso per una matta?". Pensavo si riferisse a Nuda. Allora le dissi: “Ma di quale canzone parli?". “Di Sognando fumo". “Ti piace?". “Questa la inciderò sicuramente. Inciderò anche l'altra, ma quella che avevo visto è questa. Ma perché la chiami Sognando fumo? Chiamala solo Sognando". Figurati se mi mettevo a controbattere: “Va bene, chiamiamola solo Sognando". Le incise tutte e due, poi nel '78 fece l'ultimo concerto alla Bussoladomani, a Camaiore, e io andai a sentirla: fu un'emozione straordinaria ascoltarla!».Ha eseguito anche Sognando nell'ultimo concerto?«Certo, per poco il tendone volava via per la tensione e gli applausi».
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






