2021-03-23
Orietta Berti: «Ho fatto 12 Sanremo senza vincerne uno? Mi basta non stonare e vendere bene»
L'artista emiliana: «Ho adorato stare con tanti giovani quest'anno. Che gaffe sui Maneskin, ma con loro avevo già cantato a Zurigo»Chi è stato il grande protagonista del recente festival di Sanremo? Fiorello? Amadeus? I Maȧneskin? Fedez? No! È stato il trionfo di una cantante senz'età che ha conquistato tutti con la sua voce, la sua simpatia, la sua spontaneità in grado di far saltare gli schemi e le barriere generazionali. Chapeau a Orietta Berti, presenza rassicurante della canzone italiana.Come ha iniziato la sua lunghissima carriera?«Mio padre era un tenore mancato e mi voleva far studiare da soprano, quindi mi portava sempre alle audizioni dai maestri che insegnavano musica lirica. Loro però dicevano: “Ma non ha voce questa ragazza! Non sente che non emette nessun suono? Forse dovrà ancora maturare". Io ero talmente timida che quando andavo a queste audizioni la voce proprio non mi usciva!».Suo padre ci rimaneva male?«Eh, sì, poi ha insistito tanto che mi ha mandato da un maestro che insegnava al Conservatorio di Reggio Emilia: lì ho imparato, facevo tutti i solfeggi. Quando ho cominciato a fare i provini, mio padre è venuto a mancare in un incidente. Ho conosciuto in un serata per voci nuove, al teatro municipale di Reggio Emilia, Giorgio Calabrese, che era in giuria, ed è diventato il mio pigmalione».È vero che in questa gara canora c'era anche Iva Zanicchi?«Sì, è arrivata prima, mentre io ho preso il disco d'oro, che era più importante perché era legato a un contratto discografico, ma era un contratto capestro. L'ho firmato con due persone che non era nemmeno legate a una casa discografica: per 12 anni avrebbero preso il 50% su tutto quello che avrei guadagnato. Io l'ho fatto leggere a Calabrese, che è riuscito a farlo annullare. Mi ricordo che quando mi ha telefonato, mi sono venuti a chiamare dal posto pubblico del mio paese, Cavriago, in Emilia. Gli ho detto: “Signor Giorgio, non canto più. Adesso cerco di andare a scuola di modellista. Voglio fare la sarta", perché nella mia zona c'erano tante fabbriche di abbigliamento. E lui: “No, non sia mai detto! Prima dobbiamo tentare". È venuto a parlare con la mia mamma: “A questa ragazza che ha una voce bellissima voglio farle fare dei provini e incidere un disco". Mi ha portato a Milano, dove sono stata in un pensionato di suore, ho fatto dei provini e una multinazionale come la Philips mi ha preso sotto contratto. Non ero io a scrivere le canzoni, me le proponevano loro perché sapevano quali potevano vendere». C'erano grandi autori allora...«Il primo è stato Alberto Anelli, con cui ho vinto il Disco per l'estate nel 1965 con Tu sei quello. Prima ho eseguito le canzoni di Suor Sorriso (Jeanne Deckers, in arte Sœur Sourire, suora e cantante belga, ndr), che vendeva in tutto il mondo tranne che in Italia perché cantava in inglese e in francese. Le ho cantate anche nel film Zum Zum Zum, un musicarello con Little Tony e Pippo Baudo, dove interpretavo una suora che faceva la maestrina di canto». Nel 1977 ha recitato anche ne I nuovi mostri...«Sì, nell'episodio L'uccellino della Val Padana, diretto da Ettore Scola, con Ugo Tognazzi. L'hanno girato a casa mia perché ero impegnata con i concerti estivi. Quando lo rivedo, vedo la mia casa di allora e mi ricordo tutti gli aneddoti e gli episodi che vi sono accaduti».Come si è trovata con Tognazzi? «Ha abitato a casa mia perché era in un albergo a Parma, ma poi gli si è infiammata la gengiva, aveva la faccia gonfia, non voleva farsi vedere, allora è stato da me per una decina di giorni. Adorava la cucina emiliana. Mi ricordo che è andato a prendere nelle cantine l'aceto balsamico invecchiato da 150 anni». Ricorda l'emozione che ha provato la prima volta a Sanremo nel 1966?«Come no! Il festival allora non si svolgeva all'Ariston, ma nel piccolo teatro del Casinò, dove non entravano più di 300 persone, una bomboniera. Avevo paura perché il festival di Sanremo in quegli anni era visto in tutto il mondo. C'era però l'incoscienza della gioventù e la paura è sparita. Invece adesso, più gli anni passano, più aumenta!». Il primo Sanremo le ha dato la grande notorietà?«Sono arrivata a Sanremo che avevo già venduto un milione di dischi grazie alla vittoria di Un disco per l'estate con Tu sei quello. Allora il patron Gianni Ravera ti prendeva se avevi vinto una manifestazione o eri stata popolare nell'estate o avevi venduto un milione di dischi. La casa discografica non mi voleva mandare a Sanremo. Siccome ero nella sua agenzia, Ravera mi ha detto: “Guarda, Orietta, che per fare i concerti devi avere più di un successo. Non puoi cantare una canzone tua e poi solo le canzoni degli altri. Quando hai molti successi, vuol dire che puoi fare i concerti, quindi ti mando a Sanremo". “Guarda che non ho la canzone!". “C'è la Vanoni che ha una canzone adatta a te". Si chiamava Io ti darò di più, però lei non voleva un'interprete donna. Abbiamo fatto una riunione e io le ho detto: “Tu, Ornella, la canti con il tuo modo di cantare, tutta sensuale, e io faccio un'ottava sopra e la canto più lirica, così cambiamo totalmente l'interpretazione". È venuto giù il teatro! Con Ornella siamo amiche».Il secondo Sanremo è ricordato per la morte di Luigi Tenco, nel 1967...«Purtroppo sì, è stata una rovina per me. Tenco ha lasciato un biglietto in cui spiegava le ragioni del suo gesto, “come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione". Io, tu e le rose era la mia canzone. Ma un cantante non dice mica queste cose contro il pubblico. Sandro Ciotti, grande amico di Tenco, mi ha detto: “Orietta, non è la sua calligrafia e poi ci sono tre errori di ortografia che lui non avrebbe mai commesso". Io nelle orecchie ho sempre la voce di Dalida che la mattina dopo dice a un gruppo di giornalisti: “Siete stati voi che l'avete ucciso perché, quando è stata l'ora di recuperare una canzone, avete salvato La rivoluzione di Gianni Pettenati e non Ciao amore, ciao". C'era una giuria di giornalisti che doveva recuperare una canzone esclusa dal pubblico e loro hanno votato La rivoluzione. Io avevo visto il pomeriggio Luigi e c'eravamo parlati: era così cordiale, gentile...».Un'edizione sicuramente più divertente è stata quella del 1992, in cui si è esibita con Giorgio Faletti.«Era un grande amico di famiglia. Quando doveva passare in macchina per andare a Roma, si fermava sempre da noi e mia madre e mia suocera gli preparavano da mangiare». Com'è nata l'idea di cantare a Sanremo?«È stato lui. Mi ha detto: “Siccome da solo ho paura di stonare, se vieni tu, almeno uno dei due non stona!". Abbiamo cantato Rumba di tango. È stato bellissimo passare dieci giorni insieme a lui e a mio marito: non ce ne fregava niente di vincere e lui era contento di salire sul palco di Sanremo... tutti hanno il desiderio di andare su quel palco, non sanno la paura che viene all'ultimo momento finché non la provano!».Poi non ha più partecipato fino a quest'anno...«Quest'anno mi hanno incastrata! Ha fatto tutto il mio manager, Pasquale Mammaro, che mi ha detto: “Mando cinque pezzi a Sanremo". Dopo mi ha chiamato Amadeus: “Abbiamo scelto Quando ti sei innamorato". “È difficile quella lì, non mi sento bene, ho il Covid". “Fai in tempo a guarire perché il festival lo facciamo a marzo". Sono guarita prima di Natale e non ho potuto dire di no, anche perché deve uscire il cofanetto per i miei 55 anni di carriera: quale promozione migliore? La canzone ha una storia lunga. Nel 2015 Francesco Boccia aveva un brano per me, Grande amore, che dovevo inserire nel cofanetto per i 50 di carriera. Io però non volevo andare a Sanremo, così quella canzone è stata interpretata da Il Volo, che hanno vinto il festival. Ho ridato indietro il brano a Francesco e lui in cambio mi ha dato Quando ti sei innamorato, che ho cantato quest'anno». Cosa ne pensa dei Mȧaneskin? Le è piaciuta la loro canzone?«Sì. Due anni fa sono andata con loro a Zurigo come inviata speciale per Che tempo che fa e ci siamo esibiti in un locale (il Kaufleuten Klub, ndr). Mi sono ricordata che ero stata lì 20 anni prima a cantare per gli italiani che vivevano in Svizzera: c'erano dei grandi tavoli e a fine cena c'era il cantante che si esibiva. Mi dispiace di aver fatto quella gaffe: li ho chiamati Naziskin! Quel giorno lì non ne ho detta una per il giusto!». Come si è trovata tra tanti giovani cantanti?«Bene! Tutti i giorni si facevano interviste online e ho avuto modo di conoscerli. Mi sono rivista in loro. Hanno gli stessi sentimenti che provavamo noi 55 anni fa: la voglia di dare soddisfazione ai genitori, la spavalderia e la sicurezza dei 20 anni. Sono amica di Arisa, che è tanto gentile, e di Francesca Michielin, una bravissima ragazza. Nel nostro ambiente non importa l'età».Non ha rimpianti per non aver mai vinto il festival di Sanremo?«Mi dicono sempre: “Sei andata per la dodicesima volta a Sanremo e non hai vinto!", ma non è importante vincere, l'importante è fare una bella figura e vendere».
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