2020-10-16
Helmut Newton contro le femministe. Una lotta senza esclusione di corpi
Helmut Newton (Getty images)
Ricorre il centenario del grande fotografo di origini tedesche, a lungo accusato di misoginia e di avere ritratto «donne oggetto». In realtà, ha mostrato prima di tutti come il sesso diventi battaglia per il potere.Nel 1979 Nicole Wisniak intervistò per la sua aristocratica e patinatissima rivista Egoiste il fotografo Helmut Newton, fuggito dalla Germania nel 1938 per sottrarsi alla persecuzione degli ebrei (sarebbe finito in Australia, nazione di cui divenne cittadino). Newton era già arrivato alla soglia dei sessant'anni, un'età in cui, di solito, gli artisti hanno già mostrato quasi tutto ciò che hanno da offrire. Eppure il suo libro fotografico d'esordio era uscito appena tre anni prima, con il titolo White women/ Femmes secrétes. Gli era bastato davvero poco per suscitare turbamenti, irritazioni e bollori di varia natura. Già quel titolo, White women, aveva una carica di scorrettezza politica non indifferente. A suggerirlo fu June, la moglie di Newton, anche lei fotografa di talento. Lo propose, poi cambiò idea: «Tu, ebreo, non puoi dare un titolo così razzista al tuo primo libro», disse. Helmut - lo racconta nella Autobiografia pubblicata da Contrasto - rispose: «Cazzate, non ha niente a che vedere col razzismo ed è un bellissimo titolo, tanto più che non c'è neanche una donna nera in tutto il volume. In compenso, c'erano ritratti di una decina di uomini e un paio tra questi mi mandarono telegrammi con scritto: “Sono orgoglioso di essere una donna bianca"». Il nostro, insomma, non disegnava ogni tanto una bella nuotata nelle acque agitate della polemica. Alla Wisniak disse spavaldo: «C'è una categoria di donne che mi irrita profondamente, è la razza delle donne dette “liberate", le pseudo militanti del Women's lib». Le femministe, dopo tutto, si erano date parecchio da fare per attirarsi le bordate del fotografo. Nel 1978, la militante tedesca Alice Schwarzer (che in seguito si è distaccata dal movimento femminista e di recente è divenuta una decisa avversaria dei musulmani in terra germanica), guidò un'azione legale contro la celebre rivista Stern. Sul suo sito, la Schwarzer ricostruisce la vicenda spiegando che lei e le sue compagne decisero di sporgere «querela contro Grace Jones nuda di lato, le cui caviglie erano in catene pesanti (una foto di Helmut Newton - avremmo potuto anche intentare una causa per razzismo). E tutto questo non su una rivista pornografica della Reeperbahn, ma sulla copertina di Stern. Negli anni Settanta era un giornale liberale di sinistra». La contesa non finì lì. All'inizio degli anni Novanta, in qualità di direttrice della rivista femminista Emma, la Schwarzer tornò all'assalto di Newton accusandolo di essere un «alto prelato della pornografia». Nella lunga requisitoria uscita su Emma, l'attivista si scagliò con rabbia contro gli scatti del suo conterraneo: «Non si tratta di arte, ma di merce patinata calcolata per un mercato sadomaso», scrisse. Arrivò a pronunciare ridicole accusare di fascismo: «Helmut Newton come uomo e come ebreo è potenzialmente vittima e carnefice al tempo stesso. Si è deciso. Si è messo dalla parte dei carnefici, almeno nelle sue fantasie». Replica di Newton: «La signorina Schwarzer è stupida. E poi non è nemmeno bella». Dallo scambio di insulti si passò alle carte bollate: Helmut portò in tribunale la rabbiosa Alice e la sua rivista. Poiché Emma aveva pubblicato senza permesso alcune opere newtoniane, il fotografo chiese 38.000 marchi di risarcimento per «violazione di diritti d'autore». Queste schermaglie, molto gustose sul piano del gossip, rivelano quanto poco le femministe avessero capito del geniaccio tedesco. Oggi, a cento anni dalla sua nascita (avvenuta il 31 ottobre 1920) e a 16 dalla sua morte (nel 2004 a West Hollywood per incidente stradale), si deve invece rileggere la straordinaria opera newtoniana rendendole, tra gli altri, meriti, quello di aver compreso appieno l'evoluzione della femminilità contemporanea. Le femministe che osteggiavano Newton, infatti, hanno contribuito a rendere concreta la donna che egli aveva ritratto dopo aver guardato nel futuro. L'artista tedesco è stato definito «porno chic», si è detto che le sue erano «donne oggetto». Ma ha totalmente ragione Michel Guerrin, caporedattore di Le Monde e autore di un bel saggio uscito sul nuovo numero di Vogue (dedicato appunto al centenario del nostro Helmut): «Con Newton», scrive Guerrin, «la donna raramente è una vittima. Anche se nuda, è lei che decide, non perde mai la propria dignità. Sta dritta, sorride raramente, quasi mai. Percepiamo anche che porta avanti una storia. Non è più una modella». Sempre nel 1976, Newton decise di «presentare ai lettori di Vogue la boutique Hermès di Rue Faubourg Saint-Honoré come il sexy shop più caro e lussuoso del mondo». Immortalò una modella vestita da cavallerizza, carponi su un letto con una sella di cuoio sulla schiena. Oggi chi pubblicasse un'immagine del genere verrebbe probabilmente linciato sulla pubblica piazza, e già all'epoca le femministe si infuriarono. Nel 2001, in un'intervista al Guardian, Newton liquidò la faccenda - al suo solito - con una battuta: «Si vedono così tante immagini di donne a cavallo di uomini...». Alla cronista che insisteva a ricordargli le accuse di strumentalizzare il corpo femminile, il fotografo rispose sbottando: «È una stronzata!». Quindi rincarò la dose definendosi un vero femminista: «Sono contro questo ghetto in cui le donne si mettono, spesso da sole, “donne fotografe", "donne artiste", ciò che conta è il lavoro». Aveva capito che il politicamente corretto tende a ridurre tutto a «minoranza», comprese le femmine che minoranza non sono. Conviene però soffermarsi un momento sull'interesse di Newton per il sadomaso che emerge da immagini come quella del 1976. Già nel 1969 egli si fece ispirare da opere come Histoire d'O, di Pauline Réage, romanzo di «sottomissione volontaria». Nel Bdsm, come del resto nei testi di Sade, le relazioni tra uomini e donne sono rapporti di potere, niente di più. Ebbene, la società occidentale - seguendo anche le ossessioni femministe - ha trasposto nella realtà questa dimensione letteraria e filosofica, e lo stesso ha fatto Newton con i suoi scatti. Le sue donne hanno il potere. Potranno anche essere nude, discinte, sexy, ma non sono oggetti, tutt'altro. Il regista Paul Verhoeven in Basic Instinct mostrò come una femmina forte potesse tenere in scacco, semplicemente togliendosi un indumento, una marea di maschi. Newton ha approfondito l'argomento, intuendo con decenni d'anticipo che le donne - anche usando la malia sessuale - avrebbero iniziato una scalata al potere combattendo senza esclusione di colpi (e di corpi). I nudi di Helmut, ha notato il critico Jerome Neutres, sono «come statue. Dovrebbero essere affiancati ai nudi di Velasquez o all'Olympia di Manet, non a Penthouse». Ma il punto non è la nudità, bensì il dominio. Susan Sontag disse che Newton era misogino, eppure guardate quella sorta di cavalcata delle valchirie che è la foto They are coming! (Stanno arrivando). Donne determinate, in marcia verso quasi trionfale. Nude o vestite, non cambia niente: il futuro è loro. Non sono le androidi di Robert Mapplethorpe, scolpite nel ferro. Però potrebbero essere tranquillamente testimonial del Me too: donne che non sorridono se non per malizia, che sfruttano tutte le proprie risorse, pronte a comandare. Donne che hanno fatto propri elementi (non esattamente positivi) della mascolinità e sono pronte a costruire un «mondo senza uomini» (così si intitolava uno dei libri di Helmut). Lo stesso mondo in cui, forse, prima o poi ci toccherà vivere.