
Trump, pur con modi sbagliati e scarsa democrazia, ha colto nel segno sulla museruola woke: il presidente dell’ateneo americano riconosce carenza di pluralismo, specie su temi etici e conflitto israelo-palestinese. Sarebbe questa la fucina delle migliori menti?Il presidente dell’università di Harvard, Alan Garber, ha affermato che c’è una mancanza del punto di vista conservatore nel campus e di diversità di punti di vista - si chiama pluralismo -, ed un antisemitismo neanche troppo strisciante. Ha affermato anche che occorre reindirizzare l’università in un senso più plurale. Questo avviene dopo qualche giorno dall’annuncio di Trump di ridurre i finanziamenti all’università di Harvard e - decisione incomprensibile - chiudere l’accesso agli studenti stranieri. Ma il punto non è questo, il punto è che per anni ad Harvard si è sentita una sola voce. La cultura cosiddetta woke ha dominato incontrastata e soprattutto incontrastabile. Questa cultura, come sapete, riguarda temi come la discriminazione razziale ed etnica, il sessismo, la negazione dei diritti della comunità Lgbtq e il cosiddetto abilismo (un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei disabili) e, a partire da un certo momento, anche l’antisemitismo. Perché incontrastabile? Ce lo dice un report condotto nel 2025 dal college Free Speech Rankings, firmato da Fire e College Pulse, che sta facendo molto discutere nel mondo accademico americano. Come ha detto ieri su Affari e Finanza Luigi Curini, politologo all’Università di Milano e alla Waseda University di Tokyo: «Su oltre 250 università americane, solo 40 hanno ottenuto un punteggio indicativo di un soddisfacente impegno per la libertà di espressione. E tra queste non vi sono le più importanti dove si forma la classe dirigente degli Usa» cioè la New Jork University, la Columbia University e anche quella che dovrebbe essere la più prestigiosa al mondo, la Harvard University. È sempre Curini a dire che i temi sui quali il dissenso è meno tollerato sono «quelli culturali, vicini alle istanze progressiste, come l’aborto, le questioni legate al genere e ai diritti dei transessuali, il controllo delle armi e le disuguaglianze razziali. Dall’anno scorso, però, ne è emerso uno nuovo al vertice, il conflitto israelo-palestinese»; insomma, in quelle università o la pensi così o non hai diritto di parola. Il dissenso non è ammesso. Questi cervelloni pensano che il mondo sia nato nel 1492 ad opera di Cristoforo Colombo, un italiano che scoprì l’America, e non sanno che la parola università viene dal latino universitas che vuol dire totalità, universalità e che nel Medioevo significava corporazione, un insieme di persone associate, e che a Bologna nel XXII Secolo venne attribuita ai professori e agli scolari prima di trasferirla alle università della Sorbona e di Oxford. Le università medioevali e il concetto stesso di universitas è l’esatto contrario di quanto è successo nelle università statunitensi negli ultimi anni. Nell’università di Parigi, famosa per lo studio della filosofia e della teologia, si tenevano quelle che si chiamavano le disputationes, dispute in pubblico dove a una tesi si contrapponeva un’altra tesi e qui raggiungeva il culmine il significato della universitas, cioè la totalità delle diverse opinioni, l’universalità del sapere e, quindi, il complesso di sistemi di pensiero diversi ed egualmente legittimi. Come sosteneva un grande politico italiano del Novecento, Alcide De Gasperi (I cattolici trentini sotto l’Austria): «Le università, o signori, sono state sempre non solo i laboratori del pensiero scientifico, ma anche le fucine dove si idearono e produssero i grandi rivolgimenti intellettuali dei popoli». Certamente questo è vero se collegato al dibattito, al dissenso, alla discussione, alle dispute interne alle università e non grazie a un appiattimento generico di una misera cultura fondata su opinioni spesso non versificate e non verificabili, e di una densità e spessore pari a quello della carta igienica, visto che si parla di università, diciamo della carta velina. Donald Trump, oramai lo sappiamo tutti, non ha modo nel dire le cose, non conosce la diplomazia nei discorsi, la spara più alta possibile per costringere l’altro a venire a patti e, come abbiamo già detto, ha idee assurde come quella di escludere gli studenti stranierei dalle università americane. Ma il fatto che il presidente dell’università di Harvard abbia richiamato la sua università a raddrizzarsi e a cambiare strada, nel senso di ripristinare un sano pluralismo che animi il dibattito interno all’università e abbatta il muro che tiene al di là, come esclusi dal dibattito, coloro che non la pensano con quella sedicente cultura dominante, ebbene, avendolo affermato il maggiore rappresentante di quella università significa solo una cosa. Trump, in questo caso, ha colto nel segno. In un certo senso potremmo citare l’adagio latino «excusatio non petita accusatio manifesta» che vuol dire «scusa non richiesta, accusa manifesta», in termini proverbiali «chi si scusa si accusa».
2025-10-21
Dimmi La Verità | Fabio Amendolara: «L'Italia è piena zeppa di casi come quello di Garlasco»
Ecco #DimmiLaVerità del 21 ottobre 2025. Ospite Fabio Amendolara. L'argomento del giorno è: "Gli ultimi sviluppi del caso di Garlasco".
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(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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