2019-06-01
Ha arrestato centinaia di mafiosi. Ma non i veleni nel tribunale di Roma
Marcello Viola, favorito per il posto di Giuseppe Pignatone, collaborava con Rocco Chinnici ed era amico di Paolo Borsellino Il figlio del giudice ucciso: «Magistrato eccellente». Ma è finito vittima delle ripicche incrociate dei colleghi.Risata. «Mi vogliono far passare per fesso, mi hanno persino definito “caratterialmente controllabile"». L'accento siciliano scalda i muri della stanza e rende particolarmente ironico il tono della frase. I colleghi sgranano gli occhi. Marcello Viola, procuratore generale di Firenze e procuratore in pectore di Roma, sta affrontando con savoir faire il bombardamento a cui lo stanno sottoponendo i giornali che vorrebbero scortare nella Capitale Franco Lo Voi, procuratore di Palermo. A garantire per Viola è il curriculum che i membri del Consiglio superiore della magistratura hanno considerato il più completo per ricoprire l'incarico nella Capitale. Infatti a rovistare nel passato di questo magistrato riservato e dall'aspetto affilato (alto un metro e 85, è stato un giocatore di basket) si trovano solo tracce di una convivenza forzata con Cosa nostra. Della sua vita privata trapela poco: ha due figli (uno laureato in giurisprudenza, l'altro impegnato nella specialistica in antropologia) e un amore spassionato per l'Inter. Quando non ha in mano fascicoli giudiziari, si distrae con qualche romanzo giallo, non scandinavo, come detta la moda, ma italiano o francese. Nato a Caltanissetta 62 anni fa, è cresciuto in una famiglia della piccola borghesia agrigentina (padre agronomo di Cammarata, madre insegnante di San Giovanni Gemini, due fratelli). A soli 24 anni entra come uditore nell'ufficio istruzione di Rocco Chinnici, il magistrato che aveva ideato il pool antimafia e che aveva preso nella sua squadra magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quelli sono anni complicati per Palermo e anche gli uditori respirano il clima di morte che asfissia la città. Chinnici li obbliga a seguirlo a distanza su un'altra auto, forse presagendo la fine, che arriverà il 29 luglio 1983 a bordo di una 126 verde imbottita di esplosivo. Nell'ufficio di Chinnici, Viola conosce Borsellino, più grande di 17 anni, e da allora resta in rapporti con lui sino alla strage di via D'Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992. Borsellino è il presidente di Magistratura indipendente, la stessa corrente del giovane Marcello, e spesso i due partono insieme per andare alle riunioni di Mi. Lontano dalla Sicilia riescono anche a ridere e a rilassarsi. Viola diventa quasi uno di famiglia a casa Borsellino, entra in confidenza con la signora Agnese e con i figli. «Per mio padre era un amico con la A maiuscola», ricorda il figlio Manfredi Borsellino, dirigente di polizia, «Mia madre e sua moglie erano amiche». Presto Viola inizia a camminare con le sue gambe e nell'estate del 1982, quella del Mundial spagnolo, va a ricoprire come primo incarico quello di giudice a Lanusei, tra Barbagia e Ogliastra, dove il suo battesimo del fuoco sono i processi per sequestro di persona. Da gup a Palermo si occupa anche del rapimento di Silvia Melis. Nel 1984 va a fare il pretore ad Avola, in provincia di Siracusa, per dedicarsi soprattutto ai reati ambientali. Ordina il primo sequestro di una discarica pubblica in Sicilia e fa mettere i sigilli alla più grande distilleria d'Europa, che con i suoi sversamenti aveva fatto diventare rosso il mare del golfo di Castellammare. Nel 1987, quando ha appena 30 anni, gli fanno saltare la macchina, una Uno bianca. Inizia in quel momento la sua vita sotto scorta. Il 6 gennaio 1993 gli piazzano dell'esplosivo nella masseria di famiglia a Cammarata e incendiano il suo appartamento. Da allora non smette più di vivere sotto protezione, che via via si rinforza. Nel 1995 si trasferisce all'ufficio gip del Tribunale di Palermo per occuparsi quasi a tempo pieno di mafia. La sua stanza è a fianco del vecchio ufficio di Chinnici. Ci sono solo nove giudici delle indagini preliminari per tutta la criminalità del distretto di Palermo. Viola è competente anche per la provincia di Trapani e ordina gli arresti di tutta la famiglia Messina Denaro. Altro settore di sua competenza è Palermo ovest, il territorio dei Lo Piccolo. In quel periodo, sino al 2005, firma in media almeno un'ordinanza da 100 arresti l'anno. Si racconta che nel mandamento dei Lo Piccolo abbia spedito in galera non meno di 600-700 picciotti. Nel 2005, nonostante la nomina a presidente di sezione a Caltanissetta, preferisce ripartire dalla Procura di Palermo, dove coordina le indagini di droga e terrorismo e l'allora aggiunto Giuseppe Pignatone gli assegna il primo fascicolo di mafia, proprio in considerazione della sua esperienza in materia. Anche nella nuova veste chiede centinaia di misure cautelari e sequestri contro il clan Lo Piccolo. Guida operazioni come Tsunami e Addio pizzo che praticamente azzerano le estorsioni in quell'area e che portano a condanne per centinaia di anni. In quel periodo approfondisce i rapporti tra famiglie americane e Cosa nostra e collabora con il Federal bureau of investigation grazie alla gestione di pentiti come l'ex numero due di Cosa nostra Nino Giuffrè e di Rosario Naimo, il cosiddetto ministro degli Esteri della Piovra, già uomo di fiducia di Totò Riina. Dal 2011 al 2016 va a fare il procuratore a Trapani dove scandaglia gli intrecci tra massoneria, economia e pubblica amministrazione. Dall'aprile 2012 sino al 2016 l'ufficio viene messo sotto assedio. La Procura diventa oggetto di una serie infinita di minacce e intimidazioni. Ignoti entrano di notte nella sua stanza eludendo il sistema di videosorveglianza e superando, senza compiere effrazioni, tre porte blindate. Fuori dal suo ufficio viene trovata una microspia. Sul sedile della sua auto di servizio qualcuno lascia dei bossoli. Nel settembre 2016 si insedia come procuratore generale di Firenze e completa la sua formazione, affinando i profili amministrativi e di coordinamento della professione. Per tutto questo il parere del consiglio giudiziario toscano inviato al Csm è stato particolarmente lusinghiero. Facendogli guadagnare il ruolo di favorito per la poltrona di procuratore di Roma. Manfredi Borsellino non è stupito: «Io ho avuto la fortuna e il piacere di lavorare con Marcello Viola molti anni, sia quando quando era gip sia pm, e da lui ho imparato tantissimo. A prescindere dagli attestati di stima di mio padre, ho il ricordo di un magistrato eccellente».
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Giancarlo Tancredi (Ansa)