2024-02-15
Gufi del virus smentiti: morti in calo del 56%
Malgrado le poche vaccinazioni, i decessi causati dal Sars-Cov-2 tra ottobre e fine gennaio sono meno della metà rispetto all’anno precedente. Le previsioni matematiche l’avevano previsto, eppure gli «esperti» profetizzarono la solita ecatombe.Controlli aumentati sulla dengue. Il ministero alza l’allerta in porti e aeroporti per la febbre che viene dal Sud America.Lo speciale contiene due articoli.Le sue previsioni erano praticamente esatte, la mortalità per Covid si è dimezzata nell’ultimo periodo invernale. Con un margine di errore del 9%, l’esperto di informatica Marco Roccetti ha battuto tutte le ipotesi che erano state fatte da virostar e Cassandre di turno, certe che ci sarebbe stata un’ecatombe. Invece, hanno dato numeri sbagliati di oltre il 60%. Secondo il modello matematico elaborato dal professore, ordinario all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, tra l’ultima settimana di ottobre 2023 e fine gennaio 2024 ci sarebbero stati 4.100-4.200 decessi. I dati forniti dal ministero della Salute ne hanno conteggiati anche meno, 3.759 nelle 15 settimane prese in considerazione. Nello stesso periodo, tra il 2022 e il 2023 i morti per o con il virus erano stati 8.526. «La buona notizia è che abbiamo avuto un decremento effettivo del 56%», commenta il professore. Aveva visto giusto. Le aspettative dei soliti noti erano invece inutilmente catastrofiche: «Questa settimana, la mortalità per Covid è ulteriormente aumentata del 24% rispetto alla settimana precedente, con una proiezione su base annua di più di 15.000, destinata purtroppo a un progressivo sensibile aumento», tuonava due mesi fa Francesco Cognetti, presidente della Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce). I morti ufficiali per Covid nel 2023 sono stati complessivamente 10.500, quindi si spaventò la popolazione annunciando più di 6.000 decessi in poche settimane, che in realtà (e per fortuna) non si sono verificati. Cognetti ebbe parole dure contro la «diffusione, purtroppo anche da parte di alcune autorità sanitarie del Paese, di messaggi confusi e spesso contraddittori sulle dimensioni del contagio e sulla sua letalità, quindi con l’effetto di ulteriormente demotivare e scoraggiare una popolazione già parzialmente restia». La Foce avrebbe forse dato messaggi chiari, sparando numeri sui morti? E in base a quale modello matematico?La Federazione parlava di reparti «sotto assedio», di pronto soccorso travolti da pazienti colpiti da Covid e influenza, che pure sarebbe risultata oltremodo letale. Per fortuna, ci pensò l’Istituto superiore della sanità a smorzare i toni, precisando che «la situazione complessivamente rientra nell’alternarsi di intensità annuale delle stagioni di trasmissione dei virus respiratori, e anche il periodo in cui si è verificato il picco non presenta anomalie, ed è anzi in linea con quanto riportato da altri paesi europei». A fine dicembre, Fabrizio Pregliasco direttore sanitario del Galeazzi di Milano, provvedeva ad alimentare le previsioni catastrofiche. «Purtroppo abbiamo toccato le 515 vittime nell’ultima settimana, probabilmente in sette giorni, per Capodanno, supereremo quota 600 morti di Covid», dichiarava a reti unificate. I decessi in realtà furono 371, Pregliasco esagerò del 62% la letalità. A gennaio di quest’anno, la Foce tornava ad agitare lo spettro mortalità, elencando i decessi settimanali e accusando: «Abbiamo assistito a una totale rimozione del Sars-CoV-2, è come se il virus fosse stato dimenticato. Di conseguenza la campagna vaccinale è stata del tutto insoddisfacente».Già, perché l’allarmismo aveva un unico obiettivo, convincere i cittadini al doppio richiamo perché altrimenti gli ospedali avrebbero collassato e anziani e fragili sarebbero morti a ritmo vertiginoso. Nulla di tutto ciò si è verificato. Ma nessuno dei cosiddetti esperti ammette di aver sbagliato clamorosamente, continuando ad agitare lo spettro del Covid e così creando anche dei danni a un sistema sanitario in difficoltà. Perché se programmi più posti letto in area medica e in terapia intensiva in previsione di una criticità, per rispondere a una supposta impennata del fabbisogno assistenziale e poi l’aumento non è giustificato, l’investimento inappropriato pesa sulle aziende sanitarie di tutto il Paese.Il modello matematico di Roccetti, basato sul concetto di analogia per descrivere i decessi nel periodo invernale 2022 e negli ultimi mesi, era accurato e ha previsto il dimezzamento della mortalità così come è avvenuto. Peccato che non fosse in linea con il mainstream catastrofico, cioè che l’emergenza non è mai finita. Così, la pubblicazione del paper del professore dal titolo Forecasting by Analogy: A Parallel between the Trend of Confirmed COVID-19 Deaths in the Winters of 2022/2023 and 2023/2024 in Italy è stata ostacolata. «Il 10 dicembre scorso venne accolto dalla rivista internazionale peer-reviewed Life, poi l’editor italiano mi ha chiesto diverse, piccole modifiche, infine ha rifiutato lo studio», racconta Roccetti. Aggiunge: «Pochi giorni fa mi ha scritto: “Non c’è dubbio che il lavoro di ricerca è stato notevole e le previsioni corrette e che andava accettato”, ma ormai quel paper non era potuto uscire in tempo utile per confutare previsioni sbagliate».Lo studio, boicottato dal mondo accademico italiano, infine è stato accettato dalla prestigiosa rivista americana Mathematical Biosciences and Engineering (Mbe).<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gufi-virus-smentiti-morti-calo-2667285054.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="controlli-aumentati-sulla-dengue-ma-in-italia-il-rischio-rimane-basso" data-post-id="2667285054" data-published-at="1707966762" data-use-pagination="False"> Controlli aumentati sulla dengue. Ma in Italia il rischio rimane basso È arrivata anche in Europa l’allerta dengue, il virus che da qualche mese preoccupa il Sud America. Il ministero delle Salute ha diramato una circolare in cui invita gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf-Sasn) «a innalzare il livello di allerta e vigilanza nei confronti dei vettori provenienti e delle merci importate dai Paesi in cui è frequente e continuo il rischio di contrarre la malattia». Una normale misura di prevenzione che dovrebbe evitare particolari rischi per l’Italia, al momento considerati assenti. Si tratta di un’infezione tipica dei Paesi tropicali, causata da quattro varianti di uno stesso virus, che però non si trasmette direttamente tra esseri umani. I vettori di contagio sono alcuni tipi di zanzare, in particolare l’Aedes aegypti, caratteristica delle regioni tropicali e al momento assente in Europa (eccetto che nell’isola di Madeira e in una zona del Mar Nero), e in misura minore la zanzara tigre. L’uomo è il principale ospite del virus, che circola nel sangue tra i due e i sette giorni, periodo nel quale l’infettato può essere punto da una zanzara-vettore che, a sua volta, potrà portare il virus ad altri individui. L’obiettivo delle misure preventive, pertanto, è quello di impedire l’ingresso dell’Aedes aegypti in Italia, e per questo il ministero della Salute ha ricordato, nella circolare, che «il Regolamento sanitario internazionale prevede che l’area aeroportuale/portuale e i 400 metri circostanti siano tenuti liberi da fonti di infezione e contaminazione, quindi anche roditori e insetti». Inoltre, sempre il dicastero presieduto da Orazio Schillaci ha raccomandato gli Usmaf-Sasn «di vigliare attentamente sulla disinsettazione degli aeromobili e di valutare l’opportunità di emettere ordinanze per l’effettuazione di interventi straordinari di sorveglianza delle popolazioni di vettori e altri infestanti e di disinfestazione». I Paesi particolarmente colpiti dall’infezione sono il Brasile, con oltre mezzo milione di contagi (quasi quattro volte lo stesso periodo dell’anno scorso) e 300 decessi, e l’Argentina, con poco meno di 40.000 casi e 19 decessi. La circolare del ministero invita dunque a fare particolare attenzione alle merci provenienti da luoghi a rischio, cui oltre ai due già citati si aggiungono diversi Stati del Sud America, dell’Africa, dell’Asia e delle isole del Pacifico. Secondo i Centers for disease control and prevention degli Stati Uniti, soltanto un infettato da dengue su quattro presenta sintomi, che nella maggioranza dei casi sono febbre, nausea e vomito, mal di testa acuti, dolori agli occhi e forti dolori muscolari e alle articolazioni. In una percentuale molta ridotta di pazienti, circa 1 su 20 delle persone che sviluppano sintomi, la malattia può evolvere in forma emorragica con complicazioni gravi, cosa che generalmente accade nelle 24-48 ore successive alla scomparsa della febbre. Un aspetto spiacevole è che, trattandosi di un’infezione trasmessa da quattro tipologie di virus, è possibile ammalarsi nuovamente anche dopo esserne guariti. Numeri dunque che giustificano delle normali azioni di prevenzione a tutela della sanità pubblica, ma che non sembrano dare adito a grandi allarmismi. Il rispetto della circolare ministeriale dovrebbe essere sufficiente a bloccarne la diffusione (in Italia, l’anno scorso, i dati provvisori dell’Iss parlano di 362 casi, di cui 82 autoctoni e 280 importati, e un solo decesso), nella speranza che gli eccessi degli anni passati non abbiano generato una repulsione verso i controlli, almeno quando ragionevoli.
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