
Il presidente ucraino e sua moglie protagonisti di un servizio per la rivista di moda, fra abiti griffati, posture drammatiche (ma nel backstage si ride) e camicette che «ricordano le atrocità di Bucha».E se il Paese soffre perché non realizzare un bel servizio fotografico per Vogue? A Volodymir Zelensky deve essere sembrata proprio una buona idea: bombe, morti, feriti e fashion week. Così si è messo in posa, con la moglie Olena, dentro il palazzo presidenziale. Foto d’autore. Artistiche. In uno scatto si tengono teneramente la mano, nell’altra si abbracciano come due modelli provetti. Messa in piega perfetta, fard al punto giusto, sguardo fisso in camera: tutto quel che ci vuole per finire sulle pagine patinate più famose del mondo. Lei, fra uno scatto e l’altro, trova il tempo anche per cambiare look. Lui, invece, è sempre con la maglietta verde che fa tanto chic. In effetti quella maglietta dà subito l’idea di un soldato combattente, un comandante in prima linea, un leader militare che ha sempre presente bene qual è l’obiettivo più importante. Ovviamente, quello della macchina fotografica. Il Paese è messo a fuoco? Il palazzo presidenziale pure. È messo a fuoco dal fotografo. Anzi dalla fotografa, Annie Leibovitz, una delle più famose del mondo, che dopo aver ritratto Demi Moore nuda con il pancione, Angelina Jolie nella vasca da bagno, Leonardo di Caprio con un cigno e Lady Gaga in rosso haute couture, fotografa i coniugi Zelensky sul set del Paese in guerra. Che brividi. Missili e manicure, mitragliatori e beauty brand. Chi dice che nella capitale dell’Ucraina non si spara più non ha visto come sono sparate le luci sul presidente ucraino e sulla gentile consorte. Poveretti: i due ovviamente si trovano in una situazione molto difficile, come dimostrano in modo palese queste foto, in cui appaiono assediati da un esercito di stylist e minacciati dalla pericolosa avanzata del make up. Per realizzare il servizio si sono mosse, infatti, ben nove persone: giornalista, fotografo, stylist, style assistent, truccatore, parrucchiere e quattro producer. Per forza che poi Zelensky è costretto a chiedere armi, armi e ancora armi. Altrimenti come potrebbe difendersi da quest’aggressione? Ciao russo, io penso al lusso. La drammatica invasione di Vogue. «Sono mesi orribili», confessa Olena. Così orribili che lei è costretta a indossare le «creazioni dei brand Better, Six, Hvoya, The Coat, Kacharovska e Poustovit», come recitano le didascalie pubblicitarie del servizio fotografico. Al Congresso americano la first lady ha mostrato le foto dei bimbi morti, qui mostra invece le foto delle sue diverse mise. La prima mise, come recita il testo dell’articolo della rivista, è questa: «Camicetta di seta écru con un fiocco di velluto nero alla gola abbinata a una gonna longuette sempre di colore nero» con «i capelli biondo cenere raccolti in uno chignon». La seconda, invece, è questa: «capelli sciolti, camicia botton down (consulenza di Veltroni?, ndr) color ruggine, jeans a gamba larga e sneakers bianche con dettagli gialli e blu». I dettagli sono giallo e blu in omaggio alla bandiera ucraina, ovviamente, ma soprattutto in omaggio «alla raccolta fondi del marchio The Coat». Si capisce: il marchio prima di tutto. «Non ho potuto fare a meno di pensare», scrive la giornalista di Vogue, «che la camicia avesse la stessa tonalità dei carri armati russi bruciati. E quindi ho chiesto delle atrocità di Bucha». Testuale. Le ha chiesto di Bucha perché la camicetta color ruggine le ricordava i carri armati bruciati. E se la camicetta fosse stata di un altro colore? Che cosa le avrebbe chiesto? Che lacca usa? Che cosa ha mangiato a colazione? In un’altra foto, poi, la Zelenska, lasciata la mano del marito e il suo abbraccio da fotoromanzo, posa con una cappotto blu in mezzo a soldatesse armate davanti a una carcassa militare. Titolo del servizio: «Il ritratto del coraggio». In effetti ci vuole un bel coraggio a mescolare fashion e morte, tragedie e camicette di seta écru. C’è anche un backstage, come si usa in tutti i set fashion, in cui quest’alternanza viene esasperata con sottofondo di musichetta strappacore. Si vedono anche Zelensky e moglie tutti felici nel ruolo di modelli. Ridono e scherzano prima di mettersi in posa e recitare la parte delle persone che soffrono (lei: «Non posso nemmeno andare a fare la spesa al supermercato») o degli innamorati (lui: «È la donna che amo ma anche la mia più grande amica»). Tutto molto romantico, come la gonna longuette, la maglietta verde militare e il fiocco di velluto nero. Una scena perfetta, guerra a parte. «Sotto i riflettori è difficile», conclude Olena, «ho sempre preferito restare dietro le quinte». Ci crediamo, per carità. Lei resta dietro le quinte. E non va al supermercato. È troppo impegnata a mettersi in posa per Vogue.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.





