2024-03-26
Voler imporre la resa alla Russia è un’idea illogica e pure pericolosa
In Occidente non si fa che ripetere che «Mosca non può vincere». Non è però chiaro come si intenda sconfiggerla. Se non si auspica un conflitto mondiale, bisognerà cercare di indurre Kiev a negoziare.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione«La Russia non deve vincere la guerra contro l’Ucraina». Questa o qualche altra del tutto analoga è la parola d’ordine (simile al famoso «delenda Carthago» di Catone il censore) che sentiamo ripetere da tempo in tutta l’Europa e che, ultimamente, è stata ribadita in occasione del vertice del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles, con l’intervento anche della premier Giorgia Meloni. Peccato, però, che alla chiarezza e alla perentorietà di detta affermazione non si accompagni la benché minima indicazione sul come si pensi di ottenere che la Russia, visto che non deve vincere, venga sconfitta, posto che, se le parole hanno un senso, questo è il risultato al quale, di conseguenza, si dovrebbe puntare. E per «sconfitta» della Russia non potrebbe che intendersi, quanto meno, il forzato abbandono dei territori ucraini da essa occupati a far tempo dall’attacco iniziato il 22 febbraio 2022, se non anche della Crimea, occupata e annessa fin dal 2014. Ma, a seguito della fallita «controffensiva» ucraina dello scorso anno deve darsi, ormai, per pacificamente esclusa la possibilità che un tale obiettivo possa essere conseguito dall’Ucraina con le sue sole forze, pur avvalendosi essa di tutti gli aiuti in armi e munizioni che potrebbe ricevere dai Paesi della Nato. Ne consegue, allora, che puntare alla sconfitta della Russia altro non può significare se non che alle forze dell’Ucraina dovrebbero affiancarsi, sul terreno, quelle di almeno alcuni di quei Paesi, dandosi quindi luogo ad un loro diretto coinvolgimento nel conflitto; coinvolgimento che dovrebbe, inoltre, essere massiccio, considerando che, secondo la tradizionale dottrina militare, il rapporto numerico tra chi attacca (o contrattacca) e chi viene attaccato dovrebbe essere, a parità sostanziale di addestramento e armamento delle forze contrapposte, quello di tre ad uno. E ciò, inevitabilmente, sfocerebbe in una guerra mondiale. Nessuno, però, fra i governanti occidentali, per ovvie ragioni, osa evocare espressamente una tale prospettiva e dobbiamo, anzi, presumere che tutti rifuggano, in cuor loro, anche dalla sola ipotesi di una sua possibile realizzazione. Se così è, ci si dovrebbe allora decidere, una buona volta, ad abbandonare l’idea che la guerra possa finire solo con una vittoria da conseguirsi sul campo contro la Russia ed accettare, invece, quella di un negoziato da non subordinarsi - contrariamente a quanto si è fatto finora - all’assurda condizione preliminare che la Russia si ritragga spontaneamente dai territori occupati dell’Ucraina. Una tale condizione, infatti, è all’evidenza contraria alla logica più elementare, dal momento che a porla alla parte attualmente in vantaggio è proprio quella che, trovandosi invece in irrimediabile svantaggio, avrebbe il maggior interesse ad ottenere quanto meno una tregua che, al momento, cristallizzasse la situazione sul terreno e facesse cessare le perdite umane e materiali prodotte dalla prosecuzione delle ostilità. Certo la rinuncia alla suddetta condizione comporterebbe, soprattutto per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il rischio di «perdere la faccia» (e, forse, anche qualcos’altro) di fronte ad un popolo al quale, finora, egli ha ostinatamente e irresponsabilmente prospettato, come unica via d’uscita dalle sofferenze della guerra, quella della sfolgorante vittoria sul nemico invasore. Ma il rischio potrebbe essere forse attenuato, se non del tutto eliminato, con il semplice accorgimento propagandistico di addurre come scusa dell’apparente cedimento quella costituita dalla mancata consegna, da parte dei Paesi Nato, di tutte le armi e munizioni di cui era stata fatta richiesta. Quei Paesi opporrebbero, ovviamente, un qualche tentativo di giustificazione ma, alla fin delle fini, non avrebbero altra alternativa se non quella di fare (o far finta di fare) buon viso a cattivo gioco, con il risultato di uscire, finalmente, anche loro da una situazione dalla quale gli Usa hanno ormai presumibilmente tratto tutti i vantaggi possibili e l’Europa continuerebbe a ricevere, invece, come per il passato, soltanto danni. E, d’altra parte, un rischio ancora maggiore di quello sopraindicato lo stesso Zelensky potrebbe correrlo lasciando incancrenire una situazione come quella attuale, che appare senza altra possibile via d’uscita che non sia quella di cessazione, comunque concordata, delle operazioni militari. Se c’è, poi, un Paese che alla necessaria scelta in favore del negoziato dovrebbe offrire il massimo sostegno, alla stregua dei principi sui quali si fonda il suo ordinamento, quello è proprio l’Italia, nella cui Costituzione, all’articolo 11, è solennemente affermato che essa «ripudia la guerra» anche «come mezzo di risoluzione della controversie internazionali». E quella in atto fra Russia e Ucraina è indubbiamente una «controversia internazionale» che la Russia ha per prima scelto di risolvere con la forza ma che anche l’Ucraina, a sua volta, mostra di voler risolvere con la forza, rifiutando «a priori» la possibilità di apertura di un negoziato nonostante che da essa non potrebbe derivarle, nella situazione ormai sostanzialmente stabilizzatasi da molto tempo, alcun immediato pericolo per la sua sopravvivenza come Stato indipendente e sovrano. Il sostegno, da parte dell’Italia, di una tale posizione si pone, quindi, all’evidenza, in flagrante, radicale contraddizione con il principio costituzionale di cui si è detto. Il «ripudio» della guerra, infatti, implica non solo il divieto di ricorrere ad essa per risolvere le controversie internazionali che riguardino direttamente l’Italia ma anche quello di sostenere attivamente altri Paesi nel tentativo di risolvere con la guerra controversie internazionali alle quali l’Italia sia estranea. Ma di ciò sembra che nessuno si dia pensiero. Si continua, quindi, allegramente a seguire una linea politica che, tra l’altro, rafforza sempre più la posizione interna di Vladimir Putin, consentendogli di presentarsi al suo popolo come il difensore di una Russia alla quale gli occidentali vorrebbero imporre una sorta di resa incondizionata; il che gli è stato ultimamente facilitato anche dalla recente strage alla Crocus City Hall di Mosca, alla cui origine, astutamente, il leader del Cremlino lascia intendere che vi sarebbe l’Ucraina e, dietro ad essa, ovviamente (senza dirlo), gli Usa o qualcun altro fra i Paesi della Nato. Ed è, in sostanza, quello anzidetto, lo stesso favore che, nel corso della seconda guerra mondiale, fu stupidamente reso ad Adolf Hitler con l’annuncio ufficiale, da parte degli Alleati, che il conflitto sarebbe potuto finire solo con la resa incondizionata della Germania. Un errore che l’esperienza storica avrebbe dovuto suggerire di evitare. Ma la scuola in cui dovrebbe trovarsi la cattedra occupata dalla storia come maestra di vita, se mai è stata aperta, risulta ormai chiusa da tempo immemorabile per mancanza di alunni.
(Guardia di Finanza)
In particolare, i Baschi verdi del Gruppo Pronto Impiego, hanno analizzato i flussi delle importazioni attraverso gli spedizionieri presenti in città, al fine di individuare i principali importatori di prodotti da fumo e la successiva distribuzione ai canali di vendita, che, dal 2020, è prerogativa esclusiva dei tabaccai per i quali è previsto il versamento all’erario di un’imposta di consumo.
Dall’esame delle importazioni della merce nel capoluogo siciliano, i finanzieri hanno scoperto come, oltre ai canali ufficiali che vedevano quali clienti le rivendite di tabacchi regolarmente autorizzate da licenza rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ci fosse un vero e proprio mercato parallelo gestito da società riconducibili a soggetti extracomunitari.
Infatti, è emerso come un unico grande importatore di tali prodotti, con sede a Partinico, rifornisse numerosi negozi di oggettistica e articoli per la casa privi di licenza di vendita. I finanzieri, quindi, seguendo le consegne effettuate dall’importatore, hanno scoperto ben 11 esercizi commerciali che vendevano abitualmente sigarette elettroniche, cartine e filtri senza alcuna licenza e in totale evasione di imposta sui consumi.
Durante l’accesso presso la sede e i magazzini sia dell’importatore che di tutti i negozi individuati in pieno centro a Palermo, i militari hanno individuato la presenza di poche scatole esposte per la vendita, in alcuni casi anche occultate sotto i banconi, mentre il grosso dei prodotti veniva conservato, opportunamente nascosto, in magazzini secondari nelle vicinanze dei negozi.
Pertanto, oltre al sequestro della merce, i titolari dei 12 esercizi commerciali sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria e le attività sono state segnalate all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, per le sanzioni accessorie previste, tra le quali la chiusura dell’esercizio commerciale.
La vendita attraverso canali non controllati e non autorizzati da regolare licenza espone peraltro a possibili pericoli per la salute gli utilizzatori finali, quasi esclusivamente minorenni, che comprano i prodotti a prezzi più bassi ma senza avere alcuna garanzia sulla qualità degli stessi.
L’operazione segna un importante colpo a questa nuova forma di contrabbando che, al passo con i tempi, pare abbia sostituito le vecchie “bionde” con i nuovi prodotti da fumo.
Le ipotesi investigative delineate sono state formulate nel rispetto del principio della presunzione d’innocenza delle persone sottoposte a indagini e la responsabilità degli indagati dovrà essere definitivamente accertata nel corso del procedimento e solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.
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«Ci sono forze che cercano di dividerci, di ridefinire la nostra storia e di distruggere le nostre tradizioni condivise. La chiamano la cultura woke». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un video messaggio al gala 50esimo anniversario della National Italian American Foundation a Washington. "È un tentativo di cancellare la storia fondamentale degli italoamericani e di negare il loro posto speciale in questa nazione. Non glielo permetteremo. Il Columbus Day è qui per restare», ha aggiunto il presidente del Consiglio ringraziando Donald Trump per aver ripristinato quest'anno la celebrazione.
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