2025-05-08
L’India punisce il Pakistan per l’aiuto dato ai terroristi e gli affari con la Cina
Il presidente indiano, Narendra Modi (Getty)
I missili sul Punjab in risposta all’attentato del 22 aprile, coperto da Islamabad legata al Dragone. In ballo l’egemonia nel Pacifico.L’India ha attaccato il Pakistan. La scorsa notte è partito un massiccio bombardamento nell’area tra Kashmir e Punjab per eliminare quelle che Nuova Dheli considera nove basi terroristiche appoggiate sostenute da Islamabad. La precisione non è stata proprio millimetrica tanto che anche lo stato maggiore indiano ha dovuto ammettere di aver colpito civili. L’esercito del Paese a maggioranza musulmana ha subito risposto con colpi di artiglierie ed è riuscito ad abbattere almeno due velivoli. Questa la nuda cronaca dell’evento bellico più crudo degli ultimi venti anni, ma che non stupisce assolutamente visto le storiche tensioni tra i due governi. L’attacco ha, però, una causa che ci riporta ai fatti dei 22 aprile e una che ha una matrice molto più complessa e che tocca il ruolo dell’India nel più grande scacchiere del Pacifico. Quindici giorni fa una comitiva di turisti è stata assalita da un gruppo terroristico vicino alla città indiana di Pahalgam. Ben 26 morti. La più grande débâcle dopo i tragici fatti del 2008 quando dieci commando presero di mira contemporaneamente altrettanti edifici a Mombai. La matrice è la stessa. Questa volta le autorità indiane avrebbero chiesto a quelle pakistane massima collaborazione per arrivare alla radice ed evitare nuovi attacchi. La risposta è stata il silenzio. Tanto che l’esercito di Nuova Dheli, dopo aver rafforzato la presenza nella zona di confine, è passato all’attacco. Per l’India si tratta di un messaggio e di una necessità. A partire dal 2022 i rapporti tra i due Paesi sembravano essere un po’ più distesi tanto che Narendra Modi aveva deciso di investire in territorio pakistano qualcosa come 62 miliardi di dollari. Obiettivo, migliorare le infrastrutture e creare un corridoio che facilitasse gli scambi e la ripresa dell’export. Il desiderio non era certo quello di rendere più facile la strada ai gruppi terroristici. Da qui la reazione immediata. I motivi rientrano, però, in un ventaglio più ampio. L’India non può permettersi di avere una regione come quella del Kashmir instabile. Comprometterebbe l’intero percorso di crescita e di affermazione nell’area. Nuova Dheli punta a diventare potenza macro-regionale e a contendere alla Cina la leadership della stabilità. Non a caso gli accordi del Quad (che comprendono oltre a India, Usa, Giappone e Australia) hanno previsto lo stanziamento di almeno due miliardi per facilitare la proiezione marittima di Modi in chiave anticinese. È una strategia complessa e piena di insidie. Tanto che, mentre l’India investiva sul territorio pakistano, Islamabad avviava nuovi accordi con Pechino. Soprattutto in ambito energetico. A oggi, però, il Pakistan è in arretrato con le aziende cinesi per oltre un miliardo di dollari di bollette elettriche non pagate, oltre a circa 15 miliardi di dollari di debiti per la costruzione delle centrali elettriche della Belt&Road, con altri 9 miliardi di dollari per due centrali nucleari costruite in Cina. Secondo un conteggio dei ricercatori del William & Mary, il Pakistan ha ricevuto 70 miliardi di dollari di finanziamenti, diventando il terzo maggiore beneficiario. Non avendo la capacità di gestire il flusso di pagamenti, è finito per appoggiare la strategia cinese antindiana. D’altro canto, Nuova Dheli ha fatto della stabilità dei suoi confini e del controterrorismo una bandiera di marketing per attirare nuovi investimenti e poter sedere ai tavoli Usa in materia. Ecco perché l’attentato del 22 aprile, oltre a essere un problema, è uno smacco politico che l’India vuole risolvere. E c’è da scommettere che lo farà con la collaborazione degli Stati Uniti. I quali hanno tutto l’interesse a evitare una destabilizzazione a favore della Cina. Le autorità indiane, tornando all’attacco del 22 aprile, hanno verificato che gli assalitori hanno utilizzato comunicazioni criptate con server che rimbalzano tra Pakistan, Afghanistan e Dubai. Le stesse linee di comunicazione di cui si servono decine di altri gruppi terroristici sparsi nel Sud-Est asiatico. In questo scenario a incastro, però, c’è una enorme incognita che rischia di essere esplosiva. I due Paesi che si stanno sparando addosso usano, per fortuna, armi convenzionali. Entrambe hanno, però, un arsenale nucleare: 160 testate il Pakistan e 170 l’India. E sono pronte all’uso. Difficile immaginare quale sarebbero gli effetti se decidessero di usarle. Senza contare le reazioni dei Paesi confinanti. A partire dalla Cina. Al momento la diplomazia internazionale sta cercando di favorire quella che in gergo tecnico si chiama de-escalation. Ma la cultura aggressiva dei due Paesi ha fatto alzare a tutti le antenne. Di certo l’India non mollerà la presa perché, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali dei ministri competenti, l’idea è quella di azzerare le basi supporto logistico dei terroristi. Per l’Italia si tratta di stare alla finestra, ma l’India è chiaramente (nell’agenda di questo governo) l’alternativa più semplice alla Cina. Non a caso le recenti visite (compresa quella di Giorgia Meloni) hanno imbastito la Via del cotone. In fondo, la deglobalizzazione e l’avvio delle catene logistiche collegate ai Paesi alleati rende tutto più complesso e intrecciato. Un attentato in Kashmir a migliaia di chilometri da Roma e ancor più da Wasghinton, oggi può generare un’onda complessa che ricade su business e sicurezza.
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