2023-06-10
«Questa è una guerra di logoramento. E la vincerà Mosca»
John Mearsheimer (Getty Images)
Il politologo John Mearsheimer: «Un accordo è impossibile. Il conflitto si congelerà finché i russi conquisteranno ancora più territori».Un accordo di pace significativo è impossibile e i russi vinceranno la guerra in Ucraina. Questa è l’estrema (e amara) sintesi dell’intervento tenuto lo scorso 22 maggio dal professor John Mearsheimer, una delle più autorevoli voci al mondo tra gli esperti di relazioni internazionali, a un evento organizzato dalla Committee for the republic.Il professore dell’Università di Chicago ha argomentato con chiarezza e a linearità le due tesi di cui sopra: non avremo una pace, bensì un conflitto congelato; la guerra, alla fine, verrà vinta dai russi. Non con una vittoria decisiva, ma con la conquista di una porzione di territorio maggiore di quella che già ora controllano. Mearsheimer ha prima tratteggiate le minacce affrontate da tutte le parti in causa (Russia, Ucraina e blocco occidentale) e gli obiettivi che ognuna di esse si prefigge; poi, è stata esaminata la situazione sul campo di battaglia; infine, si sono delineati gli scenari futuri più verosimili sulla base dell’analisi appena condotta. Il tutto, però, da leggere alla luce di due premesse irrinunciabili: Mearsheimer ha tenuto a precisare che le sue affermazioni non equivalgono alla verità, ma a ciò che egli ritiene «probabile che accada» , chiarendo poi che si tratta di spiegazioni e che queste non intendono pertanto né giustificare il comportamento di Vladimir Putin né esprimere una speranza sull’andamento futuro degli avvenimenti. Secondo il professore, Russia, Ucraina e Occidente ritengono di essere di fronte a una «minaccia esistenziale». Nel caso di Mosca, tale minaccia ha conosciuto due fasi storiche: la prima va collocata nel periodo precedente la guerra, quando gli Stati Uniti volevano fare dell’Ucraina «una roccaforte occidentale ai confini della Russia» attraverso l’espansione della Nato e dell’Ue; la seconda è subentrata dopo lo scoppio del conflitto, quando gli Usa si sono posti l’obiettivo esplicito di sconfiggere l’esercito e l’economia russi e di estromettere la Russia dal novero delle grandi potenze. In alcuni e più recenti casi, ha commentato il professore, si è addirittura parlato di regime change o di «smantellare la Russia come l’Unione Sovietica si è smantellata nel 1991». Inoltre, Mearsheimer ha sottolineato che non è tanto rilevante se questa minaccia esistenziale sia vera oppure no (e lui ritiene che lo sia). Ciò che conta, ai fini dell’analisi, è che i russi la percepiscono come tale. Quanto all’Ucraina, non c’è certo bisogno di spiegare che l’invasione da parte di Putin costituisca un pericolo per la sua stessa sopravvivenza. «Se guardiamo agli europei dell’Est, e mi riferisco principalmente alla Polonia e agli Stati baltici, è evidente che essi considerino la Russia una minaccia esistenziale», ha spiegato il professore. Il quale però sostiene anche che tutti gli Stati europei di fatto dipendano per la loro sicurezza dalla Nato, e che pertanto essi temano che una sconfitta in Ucraina possa provocare l’implosione dell’alleanza atlantica, evento che costituirebbe una minaccia esistenziale. Dal punto di vista statunitense, infine, è indubbio che la Cina rappresenti una minaccia ben maggiore della Russia, ma si teme che una sconfitta contro quest’ultima possa indebolire la posizione americana in Asia a tutto vantaggio del Dragone. Quanto agli obiettivi dei tre attori, Mearsheimer ritiene che quelli di Ucraina e blocco occidentale sostanzialmente coincidano, sulla base del fatto che entrambe avvertano Mosca come una minaccia esistenziale: essi vogliono «escludere la Russia dai ranghi delle grandi potenze», in modo così da renderla inoffensiva. In riferimento al Cremlino, il professore rifiuta l’idea - molto in voga fin dall’inizio del conflitto - secondo cui i russi vorrebbero «conquistare l’intera Ucraina e assorbirla in una grande Russia». Al contrario, l’obiettivo sarebbe piuttosto quello di «acquisire una parte sostanziale dell’Ucraina e fare di ciò che resta uno Stato ridotto e disfunzionale». Questo perché da una parte Mosca intende evitare altre guerre civili tra abitanti di etnia russa o russofoni e abitanti di etnia ucraina - come avvenuto tra il 2014 e il 2022 -, e «l’unico modo per farlo è prendere tutte le aree in cui ci sono grandi numeri di abitanti di etnia russa e parlanti russo», ma dall’altra sa che gli ucraini li odiano talmente tanto che «combatterebbero strenuamente per resistere ai russi anche se le forze militari russe vincessero sul campo di battaglia». Pertanto i generali di Mosca «si terranno lontani, in larga parte, dai territori a ovest del fiume Dnipro». Questo però implica che i russi occupino anche i quattro oblast a Ovest di quelli già conquistate, e da qui l’idea che il conflitto si congelerà con i russi che controlleranno un territorio maggiore di quello attuale. «È importante capire che questa è una guerra di logoramento», spiega Mearsheimer, «L’obiettivo principale di ciascuna parte è dissanguare l’altra fino all’esaurimento. Non è una guerra di manovra, qui non ci sono blitzkrieg». La tesi dello studioso è che, mentre il 2022 è stato favorevole agli ucraini - i quali infatti «hanno ottenuto alcune vittorie conquistando territori a Kharkiv e Kherson» -, nel 2023 i russi, dopo aver mobilitato altri 300.000 soldati e apportato gli adeguamenti necessari nell’organizzazione delle forze armate, stiano avendo la meglio. I tentennamenti ucraini nel lanciare la controffensiva sarebbero «una prova del fatto che sono in difficoltà», e «l’unica ragione per cui stanno progettando di avviarla e potrebbero farlo presto è a causa della tremenda pressione posta dall’Occidente».Al fine di delineare i possibili scenari futuri, Mearsheimer ha prima spiegato quali sono gli elementi fondamentali che concorrono alla vittoria di una guerra di posizione: «l’equilibrio della determinazione», «la dimensione della popolazione» e la «quantità di artiglieria». Quanto alla determinazione, il professore ritiene non vi siano particolari differenze, perché, se è vero che gli ucraini sono comprensibilmente risoluti a riconquistare il loro territorio, anche i russi vivono le circostanze attuali come una minaccia alla loro sopravvivenza. Circa la popolazione, invece, già all’inizio della guerra gli ucraini avevano meno uomini dei russi: «L’equilibrio era di 3,5 a 1, con 3,5 russi per ogni ucraino». Oggi, però, la situazione è ulteriormente peggiorata: il rapporto, secondo le stime, sarebbe di 5 a 1. In riferimento all’artiglieria, infine, «quasi tutti i rapporti indicano che i numeri sono a favore dei russi».È sulla base di questa analisi che Mearsheimer giudica assurde, visto lo squilibrio tra le forze in campo, le ricostruzioni secondo cui morirebbero sette russi per ogni soldato ucraino. «Ritengo probabile che due ucraini muoiano per ogni russo», ha sostenuto nell’intervento, «ma ho diversi amici che ritengono che il numero sia più alto». La verità, quindi, parrebbe essere che il rapporto tra le perdite è a sfavore dell’esercito di Kiev, nonostante il governo ucraino e i media occidentali provino a raccontare una storia diversa. E nemmeno regge l’argomento secondo cui non si sta tenendo debitamente conto del fatto che chi attacca subisce più perdite di chi difende. Dal punto di vista militare, è vero, «gli aggressori di solito subiscono tre perdite per ogni perdita subita dai difensori», ma il problema è che in guerre di questo tipo i ruoli di attaccante e di difensore si invertono frequentemente. E quindi alla fine si ha una situazione di stallo. Mearsheimer non manca anche di sottolineare che, mentre gli ucraini hanno già mobilitato la loro intera popolazione, i russi hanno ancora un bacino di uomini piuttosto ampio. A Bakhmut, Kiev ha mandato le prime linee, ma per Mosca combatteva principalmente il Gruppo Wagner. I 300.000 uomini chiamati alle armi alla fine dell’anno scorso non sono ancora stati impiegati, ed erano stati mobilitati «in aggiunta a una base di soldati che già c’era». Il professore ha poi anche smentito la vulgata mediatica secondo cui i russi lancerebbero solo attacchi frontali senza senso: «È molto chiaro, dalle notizie che arrivano, che i russi sono diventati molto più sofisticati e stanno utilizzando la loro fanteria in piccoli gruppi per individuare essenzialmente dove si trovano le forze ucraine, per poi riversare enormi quantità di artiglieria su di esse».Insomma, secondo Mearsheimer la situazione è molto diversa da come ci viene raccontata, e pertanto anche le conclusioni differiscono nettamente da quelle indotte dalla propaganda occidentale. La via diplomatica è a suo dire irreversibilmente inibita da quattro fattori: il territorio, che gli ucraini vogliono riconquistare integralmente e che i russi non sono intenzionati a restituire; la collocazione geopolitica futura di Kiev, che Mosca vorrebbe neutrale, mentre il governo ucraino reclama le garanzie di sicurezza che solo l’adesione alla Nato potrebbe offrire; l’ultranazionalismo dilagante, esasperato dallo scoppio del conflitto; la totale mancanza di fiducia, da parte di Putin, verso le cancellerie occidentali, che - come ammesso anche da personaggi come Angela Merkel, François Hollande, Petro Poroshenko e lo stesso Zelensky - hanno sottoscritto gli accordi di Minsk solo per prendere tempo e armare l’Ucraina, senza nessuna intenzione di rispettarli. «Non avremo un accordo di pace significativo, ma assisteremo a un conflitto congelato». Il tutto per non aver dato ascolto a tutte quelle autorevoli voci all’interno delle istituzioni americane - spesso menzionate dal professore - come ad esempio George Kennan o Paul Nitze, che per anni hanno messo in guardia le amministrazioni sul fatto che l’allargamento a Est della Nato avrebbe provocato il disastro. «E il risultato finale è che ci troviamo in questa situazione in cui è già stato causato un enorme danno, soprattutto all’Ucraina, ma anche all’Occidente, alla Russia e agli Stati Uniti. E col passare del tempo le cose andranno solo peggiorando».
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