2020-10-07
Gualtieri si inginocchia a Bruxelles eppure porta a casa poco o nulla
Ursula Von der Layen (Getty images)
All'Ecofin il ministro accetta il compromesso tedesco sul Recovery fund e canta vittoria. Ma restano i nodi critici: dal possibile stop ai pagamenti alle Raccomandazioni Paese, un Patto di stabilità mascherato.Il Next generation Eu (NgEu), mirabolante fondo da 750 miliardi che dovrebbe ribaltare le sorti dell'economia del nostro Paese nei prossimi anni, avanza a piccoli passi. Ma la lentezza esasperante del suo incedere ricorda quella delle processioni religiose che ancora capita di vedere nei piccoli borghi del Sud. Ieri e avantieri, in occasione della riunione dell'Eurogruppo e del Consiglio in configurazione Ecofin (ministri dell'Economia e delle Finanze), abbiamo assistito all'ennesima tappa «decisiva», in cui si annuncia ogni volta la stessa pioggia di miliardi, tanto che un comune cittadino, sottoposto a tale bombardamento da fine maggio, potrebbe aver maturato l'impressione che si tratti ogni volta di somme aggiuntive. Invece è sempre la stessa solfa.I ministri dovevano trovare un accordo politico sulla bozza di uno dei regolamenti più importanti, quello che disciplina il dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) che, con i suoi 672,5 miliardi, costituisce la gran parte del NgEu. E accordo è stato. La proposta di mediazione tedesca, che ricopre la presidenza di turno, è passata a maggioranza qualificata con l'opposizione di alcuni Paesi, tra cui l'Olanda.Ma questo significa solo avere un testo condiviso per aprire il negoziato (il cosiddetto «trilogo») con Commissione e, soprattutto, Europarlamento che è l'altro co legislatore. Certamente un passo avanti, ma siamo ancora molto lontani da un quadro definito e giuridicamente vincolante. Le attese sono per una conclusione del processo a metà 2021, nel più ottimistico dei casi.Nel merito, la strategia comunicativa del governo non cambia: tratteggiare ogni passaggio come una vittoria e mettere in secondo piano le insidie che si annidano in quel regolamento sin dalla prima bozza pubblicata dalla Commissione il 28 maggio. Anche se il ministro Roberto Gualtieri si è lasciato andare a una excusatio non petita quando, in conferenza stampa, ha sottolineato che lui l'aveva sempre detto che sarebbe stato un processo lungo.Abbiamo così dovuto ascoltare un radioso ministro esaltare due punti, a suo dire, di grande rilievo per l'Italia: per prima cosa aver ottenuto l'anticipo per il 2021 commisurato al 10% dell'intera quota dei sussidi del Rrf e non del 70%. Parliamo cioè di 6,5 miliardi di anticipo, anziché 4,5. Spiccioli. L'altro risultato è relativo al tema delle discussioni «esaustive» davanti al Consiglio europeo. Infatti, qualora uno Stato membro ritenga che «vi siano gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali» può chiedere di rinviare la questione al Consiglio europeo, e quindi la Commissione deve sospendere i pagamenti. L'eroica e fiera resistenza di Gualtieri sul punto ha portato alla scomparsa dell'inciso «di norma» con riferimento ai tre mesi di durata di tale discussione. Sono tre mesi e basta. Anche qui, c'è da inchinarsi di fronte alla devastante portata di questo risultato.Gualtieri sposta abilmente il fuoco della questione sulla durata del processo, evitando il merito. Nessuno ha infatti chiarito cosa potrebbe accadere se il Consiglio europeo non raggiungesse una posizione comune al termine dei tre mesi. La Commissione pagherà comunque? Anche se il Consiglio fosse spaccato sull'argomento?Abbiamo dovuto ascoltare le rivendicazioni del fronte olandese, peraltro non accolte, per avere conferma delle vere insidie del Rrf che restano tutte intatte al loro posto. Si tratta delle condizioni macroeconomiche che, in caso di significativo inadempimento, potrebbero condurre il Consiglio, secondo l'articolo 9 del regolamento sul Rrf, a sospendere i pagamenti. E tali condizioni sono esattamente quelle contenute nelle Raccomandazioni Paese adottate dal Consiglio per il 2019 e 2020 che, per il loro contenuto, somigliano tanto a un Patto di stabilità che rientra dalla finestra dopo essere stato cacciato dalla porta, con la sospensione del marzo scorso. Il vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis, nella conferenza stampa successiva all'Ecofin, è stato chiaro: quelle raccomandazioni vanno rispettate e, per di più, la Commissione valuterà se i piani nazionali per la ripresa affrontano i problemi delineati nelle raccomandazioni Paese, inclusi gli aspetti di bilancio. Quindi, domineranno il campo sin dall'inizio del processo, per poi assumere un ruolo decisivo all'atto dei pagamenti, come delle vere forche caudine.E sappiamo bene di cosa si tratta: riforma delle pensioni, riforma del catasto con inevitabile impatto sul gettito Imu, riduzione della spesa pubblica, e «utilizzare entrate straordinarie» per ridurre il rapporto debito/Pil. La cassetta degli attrezzi che ci perseguita dal 2012.Il quadro, già a tinte fosche, peggiora ulteriormente osservando le cifre della Nadef che riportano gli effetti del NgEu sulla crescita. Prima di tutto abbiamo la conferma di quanto qui avevamo anticipato, e cioè che i prestiti saranno prevalentemente destinati a finanziare spese già esistenti e quindi non faranno mai aumentare il deficit, con conseguente impatto nullo sulla crescita. Inoltre ben 52 dei 65 miliardi di sussidi saranno spalmati su tre anni (10 nel 2021, 16 nel 2022 e 26 nel 2023) e genereranno una crescita aggiuntiva dello 0,3%, 0,4% e 0,7%. Se ci fosse ancora bisogno di rappresentare plasticamente il modesto impatto del Rrf sul Pil, sarebbe sufficiente osservare la sequenza di «zero virgola» appena elencata. In un Paese il cui Pil calerà del 9% nel 2020 e in cui si spera cresca del 6% nel 2021 e del 3,8% nel 2022, il Rrf contribuirà con numeri da prefisso telefonico.Non ho altre domande, vostro onore.
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)
Giorgia Meloni (Getty Images)