2022-01-07
Green pass e obbligo vaccinale. Il decreto impone il peggio di entrambi
La super card per il lavoro partirà dal 15 febbraio: serve tempo per rimediare agli sbagli sui richiami e alla mancanza di dosi.Mentre scriviamo manca ancora il testo di un decreto di cui abbiamo finora solo la bozza finita sul tavolo del Consiglio dei ministri di ieri sera, dunque incompleta e già stralciata in alcune parti dopo il niet della Lega all’obbligo del super green pass in banca e dal parrucchiere. Tra i mille interrogativi non chiariti - nemmeno dalle dichiarazioni da marciapiede rilasciate con il favore delle tenebre dai tre «magi» Renato Brunetta, Roberto Speranza e Patrizio Bianchi - resta anche il seguente: quando scatteranno le nuove regole?In attesa del testo definitivo, va ricordato che stanno per scattare l’obbligo vaccinale per gli over 50 e l’obbligo sempre per gli over 50 di esibire il super green pass (vaccinati o guariti) per entrare al lavoro. Si tratta di due obblighi parzialmente sovrapposti perché attraverso il secondo strumento si può verificare il primo per chi lavora. Ma attenzione, l’obbligo vaccinale per over 50 scatterà al momento della pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale mentre il green pass rafforzato sul luogo di lavoro diventerà obbligatorio dal 15 febbraio. Quanto all’obbligo di pass base, dal 20 gennaio dovrebbe scattare quello per i servizi alla persona e dal 1° febbraio gli altri. Il condizionale per adesso è d’obbligo visto che non abbiamo un testo cui fare riferimento. Non solo. Nella bozza del dl circolata mercoledì non ci sono sanzioni connesse alla violazione dell’obbligo vaccinale, ma solo quelle per la violazione dell’obbligo di super green pass. Si spera che nel testo definitivo venga colmata la lacuna che riguarda anche la procedura di accertamento. Il risultato ottenuto, per adesso, è stato quello di sommare il peggio dell’obbligo vaccinale con il peggio del super green pass.Intanto nessuno - al ministero della Salute o al Cts - si è preso finora la responsabilità di fissare dei parametri, dei target sia in termini di soglie di vaccinati da raggiungere sia in termini di soglia massima tollerabile di contagi. Abbiamo piuttosto assistito a una sorta di whatever it takes pandemico che ha adottato le misure senza né valutare il rapporto costi benefici, né fissare indicatori di risultato. Per benefici intendiamo l’aumento degli immunizzati, la riduzione di contagi e dei morti e della pressione sanitaria. Per costi, il sacrificio di diritti (come il lavoro), le ricadute economiche, le tensioni sociali e le polarizzazioni politiche. Ma anche il ritardo con cui questa misura, se davvero era necessaria, è stata adottata. L’obbligo è stato valutato in relazione all’idoneità a contenere il virus? O i potenziali effetti si sveleranno quando il picco di contagi dell’ondata Omicron sarà ormai superato? E questo ci porta ad altre domande: perché partire con le nuove regole sul lavoro a metà febbraio e non subito se, come si leggeva nella bozza del dl circolata mercoledì sera, l’obiettivo è «tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza»? E perché fare un mix tra obbligo e super Gp limitandolo solo a una fascia di età? In base a quale presupposti sanitari e scientifici? Perché non optare per un obbligo vaccinale diretto, connesso a mansioni più a rischio di contagio? Nessuno lo ha ancora spiegato, né dal ministero della Salute, né da Palazzo Chigi, né dal Cts. Forse perché l’urgenza - l’allarme Omicron - cavalcata per varare i nuovi obblighi può diventare un boomerang se mancano le strutture, se molti hub sono stati smantellati e quelli aperti non sono sufficienti a gestire i flussi, se si continuano a fare open day senza prenotazioni che non consentono un’adeguata gestione delle dosi, se a scarseggiare sono già i vaccinatori, medici e infermieri e volontari. In un momento per altro assai critico, lo abbiamo visto in queste feste natalizie, con le Regioni che hanno chiesto lo stop ai tamponi per i soggetti asintomatici a causa dei numeri ritenuti ormai insostenibili (ma con il pass base esteso alle nuove attività come banche, parrucchieri, Poste, eccetera, serviranno ancora). E con il sistema di tracciamento Ats andato in tilt. Bisognerà comunque capire quante saranno le esenzioni tra gli over 50, per non parlare dei guariti non ancora certificati. Lo abbiamo scritto più volte. Il vero errore del ministero della Salute, cui non si può rimediare per decreto, è stato partire in ritardo con la terza dose pensando di affrontare una emergenza diventata «ordinaria» con gli strumenti di routine che c’erano prima che scoppiasse. Detto in altri termini, se devo vaccinare ogni tot tutta la popolazione devo trasformare gli strumenti messi in piedi durante l’emergenza in strumenti «ordinari». Come fanno i pompieri che anche se non c’è un incendio in corso non è che smettono di fare i pompieri, son sempre pronti a intervenire. Così non è stato fatto. E l’errore rischia di ripetersi con le terapie. Per ridurre l’impatto sui ricoveri serve infatti un piano su come sfruttare al massimo i nuovi trattamenti come i monoclonali o le pillole Merck e Pfizer somministrate ai soggetti sintomatici anche in ambiente non ospedaliero che però non si trovano in farmacia, hanno costi elevati e vanno comunque prescritte e seguite dai medici di famiglia. Tra un decreto e l’altro qualcuno al ministero della Salute ci starà pensando?
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