Uno studio commissionato da Parigi rivela: la transizione climatica frenerà l’economia e farà impennare le tasse.
Uno studio commissionato da Parigi rivela: la transizione climatica frenerà l’economia e farà impennare le tasse.La premier francese uscente, Élisabeth Borne, accusata di aver fatto poco o nulla e perciò sostituita pochi gironi fa dal presidente Emmanuel Macron con il delfino Gabriel Attal, ha avuto almeno un pregio. È il suo governo, infatti, ad aver commissionato a due economisti di vaglia, il citatissimo Jean Pisani-Ferry (Istituto Bruegel, Sciences Po) e Selma Mahfouz, un rapporto per valutare gli impatti macroeconomici della cosiddetta transizione climatica. Il rapporto (Le implicazioni economiche dell’azione per il clima, pubblicato nel novembre del 2023) è stato preparato con il contributo di circa 100 esperti provenienti da enti governativi, istituti economici e comunità accademica francese. Il lavoro si è svolto nel nuovo contesto istituzionale risultante dalla creazione del Segretariato generale per la pianificazione ecologica (Sgpe). Allegati al rapporto di sintesi (un documento di 160 pagine) vi sono ben undici rapporti tematici.Si tratta di uno studio che non entra nella discussione sul cambiamento climatico, ma analizza gli impatti economici delle politiche per arrivare a emissioni zero al 2050. Il quadro che ne emerge mostra tutti i limiti delle politiche impostate per arrivare all’obiettivo, portando così una ventata di realismo sui verdi sogni (o incubi) di Bruxelles e del suo Green deal. Non solo. Nel rapporto vi sono anche alcune scomode verità. Forse è per questo che non se n’è parlato affatto. Eppure è un documento importante. la rivoluzione nascostaNel rapporto c’è una prima considerazione: il Net Zero richiederà una trasformazione su una scala paragonabile a una rivoluzione industriale. Ma questa, a differenza del passato, sarà globale, più rapida (25 anni) e guidata principalmente dalle politiche pubbliche piuttosto che dalle innovazioni tecnologiche e dai mercati. Inoltre, la trasformazione si baserà su sobrietà (leggi austerità) e sostituzione inefficiente del capitale (dal fossile al green). Vale la pena chiarire questo punto: dicono gli economisti francesi che l’abbandono dei combustibili fossili si tradurrà in un temporaneo rallentamento della produttività, stimato in un quarto di punto percentuale all’anno. Ciò è dovuto al riorientamento degli investimenti verso la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili piuttosto che verso l’espansione della capacità produttiva o l’aumento della sua efficienza. Di fatto, si tratta di una ristrutturazione inefficiente dal punto di vista del capitale. Per questo serve il denaro pubblico.Lo studio entra nel dettaglio e quantifica in circa 70 miliardi all’anno le necessità di spese in conto capitale per arrivare al Net Zero. Di queste, almeno la metà dovranno essere soldi pubblici. Ma questo peserebbe sulle finanze di Parigi, che sarebbero appesantite anche da un altro fattore: il rallentamento delle attività economiche, che porterebbe a minori entrate per l’erario.Come dimostra il grafico, nel 2030, a causa delle politiche per la transizione, il debito pubblico sarà più alto di 9 punti percentuali, di cui 6 attribuibili a ulteriori spese in conto capitale e poco più di 1 punto percentuale alle perdite di entrate causate da un rallentamento dell’economia, cioè da una crescita inferiore. Negli anni entrambe queste percentuali salgono, e al 2040 si avrebbe un rapporto debito/Pil cresciuto del 25%, di cui 13% per spese in conto capitale e 7% per minori entrate. Questo nell’ipotesi che le minori entrate da accise sui combustibili fossili siano comunque compensate da nuove tasse!Ciò che è scritto in questi numeri, dice Pisani-Ferry, è che finanziare tali investimenti comporterà un costo economico e sociale, poiché questi non aumenteranno il potenziale di crescita. macelleria socialeLa transizione climatica è intrinsecamente fonte di disuguaglianza, dicono chiaro e tondo gli economisti francesi nel loro rapporto. «Per una famiglia della classe media ristrutturare una casa e cambiare l’impianto di riscaldamento o sostituire un veicolo convenzionale con uno elettrico costa l’equivalente del reddito di un anno». Serve il sostegno del governo, che però è vincolato dai parametri di bilancio. Gli economisti francesi dicono però che ritardare le azioni verso il Net Zero per tenere sotto controllo il debito pubblico sarebbe sbagliato, dunque sì al debito per la transizione. Una posizione interessante, di cui però nelle discussioni sul nuovo Patto di stabilità europeo non c’è traccia.Ed eccoci alle scomode verità. La prima è che «oltre alla necessaria riallocazione delle spese (comprese le spese fiscali e di bilancio legate ai combustibili fossili) e in aggiunta al debito pubblico, sarà probabilmente necessario un aumento temporaneo delle tasse aggregate e dei contributi previdenziali per finanziare la transizione climatica». Gli economisti ipotizzano un prelievo straordinario sulle finanze dei più ricchi, una sorta di patrimoniale. Peccato che già si conoscano gli esiti di una simile ipotesi, visto che in regime di libertà di movimento di capitali, spostare ricchezze fuori dai confini nazionali è un gioco da ragazzi. Per chi può permetterselo, cioè appunto i più ricchi. La patrimoniale cascherebbe, alla fine, sulle spalle dei soliti noti: la classe media, sempre meno media e sempre più subalterna. Da notare che nel percorso verso Net Zero, l’8% del calo delle emissioni da mobilità sarà dato da minori spostamenti delle persone, il che fa pensare a limitazioni nei movimenti.scricchiola pure l’ueLa seconda è che la transizione climatica comporta il rischio di pressioni inflazionistiche nel prossimo decennio. Le banche centrali, dice Pisani-Ferry, dovranno chiarire il loro approccio politico e precisare come intendono rispondere alle pressioni sui prezzi indotte dalla transizione. Come minimo, dovranno adottare un approccio cauto alla politica monetaria e probabilmente dovranno aumentare temporaneamente i propri obiettivi di inflazione.La terza scomoda verità, per Bruxelles, è che l’Unione europea non può rimanere competitiva essendo allo stesso tempo paladina del clima, paladina del multilateralismo e paladina della virtù fiscale. Un trilemma da cui non si esce. L’Ue si trova ad affrontare problemi di competitività su diversi fronti, con prezzi elevati dell’energia, un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) che limita la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio ma non affronta fondamentalmente i problemi di competitività, e la sfida americana dell’Inflation reduction act.Infine, una considerazione che ha a che fare con l’architettura istituzionale europea. «L’Ue fissa gli obiettivi ma lascia gran parte dei corrispondenti costi politici e finanziari agli Stati membri, facendo affidamento su un coordinamento morbido la cui efficacia è incerta», si legge nello studio. Secondo Pisani-Ferry e Mahfouz serve «un nuovo quadro di governance climatica che corrisponda alle ambizioni» europee. In altre parole, ci vuole più Europa!Lo studio non mette in discussione le politiche per la transizione, che considera date, ma ne analizza gli impatti e le carenze. Dal rapporto del governo francese emerge quindi che a politiche attuali dobbiamo aspettarci più tasse, maggiore indebitamento pubblico e privato, inflazione, impoverimento, rallentamento economico e una maggiore stretta di Bruxelles sugli Stati. Un bel panorama, non c’è che dire.
Ansa
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