2021-08-28
Grazie al verde tanti furbi inquinano le Borse
La sede della Dws a Francoforte (Getty Images)
Le società che si fregiano dei criteri di sostenibilità sono in costante aumento, però le autorità di vigilanza rilevano che spesso oltre la facciata «Esg» non c'è nulla. Dopo un controllo, la tedesca Dws ha perso il 14%: mancano leggi uniformi e rating chiari. Non bastava aver scommesso sulla svolta green delle auto elettriche, la smania green dei tedeschi si allarga anche agli investimenti sostenibili che seguono i cosiddetti criteri Esg - acronimo di Environmental (Ambiente), Social (Sociale), Governance (la Gestione di una società) - dove però il «verde» che tinteggia la E ogni tanto sbiadisce finendo nel mirino delle autorità di controllo del mercato. Tra 2018 e 2020, l'industria europea della gestione patrimoniale ha già dovuto rimuovere l'etichetta Esg da un patrimonio stimato di 2 trilioni di dollari introducendo normative più severe. Il regolamento europeo sulla finanza sostenibile, entrato in vigore a marzo, richiede infatti ai gestori patrimoniali di documentare gli annunci di investimenti sostenibili nei loro portafogli. Ebbene, il faro dei regolatori si è acceso su Dws, il colosso del risparmio gestito controllato da Deutsche Bank, che giovedì ha perso in Borsa quasi il 14% per l'avvio di indagini da parte della Sec (la Consob americana) e della tedesca Bafin sull'ipotesi di aver ampliato indebitamente le credenziali ambientali o sociali di alcuni prodotti di investimento con etichetta Esg. Nel resoconto sul 2020 si legge che 460 miliardi di euro di masse gestite - più della metà dei 793 miliardi di patrimonio complessivo - sono inserite nel cosiddetto programma di Esg Integration. Ad allertare le autorità di vigilanza sono state però le accuse dell'ex responsabile della sostenibilità, Desiree Fixler, secondo la quale il gruppo starebbe incontrando difficoltà nella sua strategia di investimento e avrebbe ritoccato la situazione, rendendola più «sostenibile» di quanto fosse in realtà. Dws in una nota ha replicato a quelle che definisce «accuse infondate» mosse dalla ex dipendente assicurando che «continuerà a rimanere un convinto sostenitore dell'investimento Esg come parte del proprio ruolo fiduciario per conto dei clienti». Ha poi difeso la correttezza della classificazione delle attività Esg fatta nel proprio report 2020 pubblicato a marzo e sottolineato come la revisione condotta da una realtà indipendente non abbia fatto emergere alcuna anomalia. Sullo sfondo c'è una legislazione non definita e unitaria che rappresenta uno degli ostacoli primari alla lotta al greenwashing, ovvero lo spacciare progetti e prodotti come ad alto standard ambientale quando non lo sono. Aggiungere un acronimo come Esg, Sri (Social Responsible Investments) o l'aggettivo «green» può servire per accrescere la visibilità tra gli investitori che cercano asset più sostenibili ma può anche essere un sistema per le società di gestione di rinvigorire la raccolta di fondi in difficoltà. È facile confezionare materiale di marketing accattivante e pubblicare qualche relazione con le turbine eoliche in copertina. Ma non basta per confermare l'etichetta verde di un'azienda o di una società. A fine maggio l'Economist ha snocciolato i numeri sui 20 più grandi fondi Esg del mondo. In media, ognuno di loro detiene investimenti in 17 produttori di combustibili fossili. Sei hanno investito in ExxonMobil, la più grande azienda petrolifera americana. Due possiedono partecipazioni in Saudi Aramco, il più grande produttore di petrolio del mondo. Un fondo detiene una società cinese di estrazione del carbone. Negli Usa all' inizio di quest'anno la Sec ha istituito una task force per sorvegliare eventuali affermazioni fuorvianti in tema di sostenibilità attribuibili a consulenti d'investimento e società pubbliche. Ma restano i problemi. I rating dei fondi di investimento sono generalmente basati su analisi quantitative dei rendimenti storici ponderati per il rischio. Questi dati sono standardizzati. Il calcolo dei rating Esg, invece, è basato su grandi volumi di dati quantitativi, ma anche su informazioni non numeriche pubblicate dalle società. Il problema è che non esiste uno standard globale. Un esempio, in passato, è stato il caso di Boohoo, azienda inglese di abbigliamento. Due delle principali agenzie di rating Esg avevano dato valutazioni diverse: una l'ha considerata ad alto rischio, l'altra a rischio medio, prima che Boohoo balzasse all'onore delle cronache per le sue pratiche di lavoro discutibili. Allo stesso modo può capitare che una società tradizionale del settore oil&gas abbia un punteggio Esg superiore a una mid-cap attiva nelle energie rinnovabili. Da quando gli aspetti di natura ambientale, sociale e di governance sono entrati di diritto nell'arena degli investimenti mainstream, è aumentato notevolmente anche il numero di fornitori di rating e dati che se non sono reperibili, però, si devono stimare. Il problema è anche che i rating Esg rivelano spesso un bias sulle dimensioni delle società: le più grandi ottengono in media migliori punteggi, ma questo non significa necessariamente che siano più attente all'ambiente o alle società in generale. Spesso questo deriva invece dal fatto che le società di maggiori dimensioni hanno più risorse per sviluppare e comunicare le proprie politiche e attività Esg. Non è solo una questione di etichetta, o di vernice.
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)