2021-02-21
«Grazie ai miei scatti creo mondi paralleli con giochi di seduzione»
Il fotografo Giovanni Gastel, fino al 7 marzo al museo Maxxi di Roma: «I social servono a documentare l'attimo, ma il lavoro d'autore ha un altro significato».Duecento «ritratti dell'anima». Da Barack Obama a Marco Pannella, da Germano Celant a Ettore Sottsass, da Bebe Vio a Luciana Littizzetto, da Monica Bellucci a Miriam Leone, da Vasco Rossi a Tiziano Ferro e a Charlotte Rampling e molti altri. «Sono le persone che mi piacciono o mi sono piaciute, che mi hanno trasmesso qualcosa, insegnato, toccato l'anima. Molte famose, il cui incontro ha provocato un momento bello, un momento di seduzione reciproca. Scelte con criterio in base anche al sentimento. The people I like racconta il mio mondo». Giovanni Gastel, uno dei più grandi fotografi, così racconta la sua mostra al Maxxi di Roma, aperta fino al 7 marzo, «10.000 persone paganti in un mese». Natali da libro di storia, il padre Giuseppe Gastel, la madre Ida Visconti di Modrone, ultimo di sette figli, nipote di Luchino Visconti («Mi ha insegnato a vivere e creare»), ha il bello nel Dna. «La bellezza e la sua ricerca in ogni cosa sono state l'unico faro del mio cammino».Cosa significa fare un ritratto?«A chi sto per ritrarre dico sempre che non sono uno specchio ma un filtro. Se faccio un ritratto a te, tu passerai dentro di me e sarai filtrato dalle mie gioie, dai miei dolori, dalla mia cultura e poi uscirai sotto forma di interpretazione. Dato che abbiamo questa maledizione strana per cui con i nostri occhi possiamo vedere tutto l'universo tranne il nostro viso direttamente, un ritratto ti apre a una lettura di te stesso interessante. Non pretendo di dire la verità, dico la mia verità su di te». Dalla fotografia traspare non solo il protagonista ma anche il fotografo.«La gente si nasconde sempre un po' quando viene ritratta, e io faccio di tutto per rompere la posa e per cercare quello che voglio trovare rispetto a quello che tu vuoi farmi vedere. E lo faccio con una danza di seduzione».Lei è nato fotografo?«No, volevo fare il poeta e ho continuato e continuo a pubblicare libri, il primo a 14 anni. Ma avevo una fidanzata che si rompeva le scatole con i poeti e mi disse che facevo fotografie bellissime. Ci ho creduto e ho aperto uno studio a 20 anni». La sua famiglia potrebbe averla portata inizialmente sulla strada della poesia?«In casa Visconti l'arte era indispensabile, mia madre era una grandissima conoscitrice della poesia italiana della prima metà del Novecento, è lei che mi ha portato ad amarla. E ho assorbito il culto del bello. Abitavamo in case enormi, “difese", con grandi giardini. Quando mi hanno buttato fuori e mi sono ritrovato nel mondo reale nulla c'entrava con quello che mi avevano spiegato. Mi sono messo in una cantina a raccontare quella realtà che non c'è più. Non potendo vivere in quel mondo me ne sono creato uno mio parallelo soprattutto attraverso la fotografia. Racconto il mondo come vorrei che fosse, elegante, rispettoso delle donne».All'inizio quali erano i soggetti che fotografava?«Mio padre mi buttò fuori casa e andai a vivere sui Navigli perché non volevo fare l'università e quindi fotografavo di tutto, cresime, matrimoni, minuterie metalliche come le fibbie. Avendomi tagliato i fondi dovevo pagare l'affitto». E come arriva alle fotografie di moda?«Ho avuto sei, sette anni per prepararmi bene da autodidatta e poi quando è esploso il made in Italy, alla fine degli Settanta, avevano un tale disperato bisogno di fotografi che in una settimana sono passato dalle fibbie a Vogue. Mi sono ritrovato al top senza le tappe intermedie che di solito sono previste. Dalla retrocessione alla serie A, per dirlo in termini calcistici». Ci sono donne che l'hanno particolarmente colpita?«Una donna straordinaria che mi ha formato è Gisella Borioli. Come modelle ho avuto la gioia di fare la prima copertina di Linda Evangelista, abbiamo esordito insieme e quindi mi ha lasciato un ricordo profondissimo. E tante altre. Cristina Lucchini, grande direttore. Le redattrici che hanno lavorato con me. Sono grato a tutti». Le fotografie di moda sono molto cambiate nel tempo?«Dal mio punto di vista la fotografia è cambiata molto perché la è moda a essere molto cambiata. Nello stesso tempo io continuo ad aggiornarmi però garantendo il mio stile, non lo cambio, evolve insieme alla società». In un'epoca di social e di fotografie fatte con i cellulari, il suo lavoro si è svilito?«No, anzi. Sono molto felice che tutta l'umanità usi la fotografia per parlarsi. Lo smartphone lo usi per comunicare fotografando magari gli spaghetti o il paesaggio, però non è assolutamente l'uso che ne fa un professionista che crea un mondo parallelo. Io non documento niente, do la mia lettura del mondo. Tutto un altro mestiere. La fotografia d'autore è un'altra cosa». Non ha perso il suo valore. «No. Deve essere sempre più autoriale perché non puoi più difenderti dietro la difficoltà tecnica. Per cui devi giocarti la tua differenza, devi giocarti l'anima. L'autore deve trovare la differenza su quella distonia minima che c'è in ogni essere umano e costruire la propria estetica. La parola eleganza è il fondamento della mia estetica e della mia vita».C'è un momento in cui capisce d'aver scattato la fotografia perfetta?«Sì. C'è un attimo in cui capisci che la foto ce l'hai. È una sensazione simile a quella che i santi chiamano beatitudine. Tutti i muscoli si rilassano, si rilassa il pensiero e l'obiettivo è stato centrato. Dura un milionesimo di secondo. E può capitare dopo due minuti. Continui a scattare per accontentare il cliente».Pensa di «rubare» l'anima?«Beh, interrompi il corso del tempo. Capisco che lq fotografia faccia paura ai popoli primitivi perché è un'interruzione del corso della vita che è movimento eterno fino alla morte. Roland Barthes dice che la fotografia è più vicina alla morte che alla vita. Immobilizzi un attimo per sempre, compi un atto contro natura. Interrompo la vita per un secondo e quel secondo lo fermo per l'eternità. È un lavoro quasi da entomologo». Sul suo profilo Instagram ci sono immagini di Madonne straordinarie.«È un progetto che sto per terminare che diventerà un libro per Skira sulle Madonne barocche ma naturalmente moderne. Anche la nostra epoca dovrebbe dedicare a questo personaggio meraviglioso uno spazio particolare. È il massimo dell'amore e del dolore. Lavoro con lo stylist Simone Guidarelli, è un progetto che potevamo fare solo io e lui. Siamo una coppia molto buona».
Jose Mourinho (Getty Images)