2024-08-14
Le grandi banche d’affari mollano la svolta ecologista: non garantisce profitti
Goldman Sachs è uscito dalla rete internazionale che punta sulle aziende «pulite»: scarsi i ritorni. L’agenzia S&P: i governi non hanno i soldi per supportare il nuovo corso.Il grande capitale mondiale crede sempre meno nella rivoluzione verde. Si susseguono i report delle principali banche d’affari e dei gestori di fondi che mettono in luce la difficoltà di avere guadagni adeguati dagli investimenti nelle energie alternative. Nei giorni scorsi avevamo riportato il contenuto dei report della casa d’investimento francese Carmignac e degli australiani di Maquarie, oggi sono scesi in campo due big globali come S&P e Goldman Sachs, la più importante e blasonata banca d’affari del mondo. Ogni sua parola è considerate il Vangelo dei mercati finanziari. S&P rileva che I governi hanno finito i soldi per finanziare la rivoluzione verde e nel frattempo devono prendere atto che la sensibilità degli elettori si sta spostando: non è più l’ambiente la priorità ma le guerre e la sicurezza nazionale.Ancora più clamorosa la decisione di Goldman Sachs che annuncia l’uscita dal club Climate Action 100+, rete internazionale di investitori focalizzata sul clima e sulla riduzione di emissioni di gas serra. Gli aderenti a questa comunità si erano impegnati a effettuare gli investimenti prevalentemente in aziende «carbon free» o comunque dotate di credibili piani di decarbonizzazione. Hanno cambiato idea tenuto conto che da questi impieghi hanno ottenuto finora ben poche soddisfazioni. Tanto per capire: lunedì Vestas, multinazionale danese che fabbrica turbine per l’eolico ha perso l’8% alla Borsa di Copenaghen dopo aver annunciato una riduzione delle stime di utile e fatturato a causa del calo della domanda. Il tracollo in Borsa di Vestas ha travolto anche l’italiana Erg di proprietà della famiglia Garrone che abbandonato il business del petrolio si è lanciata sulle energie alternative. Oggi è la principale azienda italiana del settore. Il titolo dall’inizio dell’anno perde circa il 17% a fronte dell’indice generale di Piazza Affari che nonostante I recenti cali conserva ancora un vantaggio del 5% su gennaio.Oltre a Goldman Sachs, altri gestori patrimoniali, tra cui Tcw e Mellon Investments hanno abbandonato il club degli investitori «carbon free» dopo le lettere con cui i clienti lamentavano l’esiguità dei guadagni. Le nuove diserzioni seguono quelle annunciate all’inizio dell’anno da investitori tra cui Invesco, JPMorgan Asset Management, State street global advisors e Pimco, e il trasferimento da parte di BlackRock della sua partecipazione all’iniziativa a BlackRock International.Gli analisti di S&P si concentrano sul comportamento dei governi che stanno riducendo i finanziamenti alla rivoluzione verde. L’assenza di aiuti pubblici è una grave criticità che rallenterà il cambio di parametro. Secondo gli analisi «il raggiungimento degli obiettivi della transizione energetica è sempre meno una priorità politica per sempre più Paesi nel mondo». I governi frenano perché «gli elettori europei sembrano ora più concentrati su rischi geopolitici e pressioni sul costo della vita, piuttosto che al cambiamento climatico», si legge nella nota.Il tema è particolarmente rilevante per l’Europa, sempre più bisognosa di importare energia che costa sempre più cara. Resta il fatto che secondo S&P, questa contingenza è un incentivo a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, che ha «compromesso in modo significativo la crescita e la performance fiscale dei Paesi europei. Allo stesso tempo, lo choc dei prezzi dei combustibili fossili potrebbe aver ulteriormente rafforzato l’impulso per l’espansione delle rinnovabili anche sotto l’aspetto della sicurezza energetica, in particolare per gli importatori netti di energia. Inoltre, le tecnologie verdi, soprattutto l’energia rinnovabile, sono sempre più competitive». Insomma l’agenzia si rammarica del fatto che gli elettori non vogliono più pagare tasse aggiuntive per finanziare l’ideologia verde. S&P conclude lo studio ricordando che anche la riduzione del prezzo del petrolio diventa un ostacolo alla transizione. Se i combustibili fossili costano troppo poco viene meno la spinta a cercare altre fonti. A tenere bassi i prezzi del petrolio sono soprattutto i Paesi produttori che hanno assoluto bisogno di vendere il loro prodotto per sopravvivere. Per esempio l’Iraq ha prodotto 4,33 milioni di barili al giorno a luglio, 400.000 in più rispetto alla sua quota. Ciò ha contribuito alla crescita della produzione Opec di 130.000 barili al giorno, arrivando a 26,89 milioni. I produttori non-Opec hanno aggiunto altri 14,14 milioni di barili, in aumento di 30.000 su base mensile. La tendenza è stata guidata dal Kazakistan, che ha aumentato la produzione di 30.000 barili e oggi sta producendo 120.000 barili in più rispetto alla sua quota. Anche la Russia sconfina, con una produzione di 9,10 milioni di barili al giorno a luglio, rispetto a un tetto di 8,98 milioni. I produttori in eccesso prevedono di riportare gradualmente sul mercato i barili di cui hanno bisogno per sostenere i loro bilanci se le condizioni lo consentiranno. Altri 3,6 milioni di barili al giorno di tagli a livello di gruppo sono in atto fino alla fine del 2025. L’aumento della produzione di luglio è avvenuto nonostante le difficoltà dei Paesi africani: la produzione in Nigeria, Sud Sudan, Gabon e Libia ha avuto un calo complessivo di 80.000 barili al giorno.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.