Il nuovo governo ha già due grane: gestione dei porti e numeri in Senato

C’è stato il neoministro dell’Università, Anna Maria Bernini, che mentre giurava ha postato su Instagram una storia con una canzone di Ambra Angiolini di sottofondo, guadagnando la stima assoluta della Rete e diventando trending topic nel giro di pochi minuti. Ma a parte questo, la cerimonia del giuramento del governo guidato da Giorgia Meloni è stata all’insegna della sobrietà, sia nel dress code, austero e omogeneo, sfoggiato dai nuovi componenti dell’esecutivo, sia nelle dichiarazioni (poche) rilasciate all’esercito di cronisti assiepati dentro e fuori il Palazzo del Quirinale. E Sergio Mattarella, usandole modi rassicuranti ed empatici, è sembrato confermare l’impressione di molti addetti ai lavori, circa un rapporto tra i due che è partito decisamente con il piede giusto. Questo dato rappresenterà il miglior viatico già a partire dai primi impegni del nuovo governo, soprattutto quelli internazionali, ma non mancherà di produrre i propri effetti quando sul tavolo del cdm arriveranno provvedimenti fondamentali per la tenuta sociale del Paese di fronte alla crisi, e che non potranno essere oggetto di battaglie parlamentari condotte sulla pelle degli italiani.
Detto questo, i cronisti assetati di polemica, da un paio di giorni a bocca asciutta, hanno ieri ritrovato un po’ di luce nelle parole del titolare dell’inedito dicastero del Sud e delle Politiche del mare, Nello Musumeci, ex governatore della Sicilia, quando quest’ultimo è stato incalzato su quello che si configura come il primo nodo politico interno alla maggioranza. L’istituzione - più volte annunciata dalla stessa Meloni in campagna elettorale - di un ministero dedicato alla tutela e allo sviluppo dell’economia legata al mare, infatti, solleva immediatamente la questione della gestione dei porti. Non è ancora chiaro, infatti, se questa resterà, come è stato finora, al ministero delle Infrastrutture, o sarà trasferita in capo a Musumeci. La cosa non è secondaria, perché il dicastero delle Infrastrutture è stato accettato dal leader leghista, Matteo Salvini, in seconda battuta, dopo il fallito tentativo per il Viminale, proprio in prospettiva di operare un giro di vite sulla gestione degli sbarchi di clandestini, in stretta collaborazione con il nuovo titolare dell’Interno e suo ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi. Per il momento Musumeci ha glissato, affermando che «ci sarà tempo per parlare anche di questo», ma l’impressione è che l’ex presidente siciliano voglia occuparsi di porti esattamente quanto Salvini, che non a caso, subito dopo il giuramento, ha postato sui social un selfie nel suo nuovo ufficio al ministero, dove ha già fatto filtrare di volere fortemente che resti la delega.
Tra chi ha voluto rilasciare dichiarazioni nel primo giorno da ministro, va segnalato Antonio Tajani, il quale ha annunciato che il primo atto da capo della diplomazia sarà quello di telefonare al proprio omologo ucraino «per esprimere solidarietà a un popolo invaso che sta combattendo per la libertà». C’è stato anche chi, come il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, di Forza Italia, è giunto al Colle con l’auto elettrica e ha voluto rimarcare che si muoverà «nel solco di quanto fatto finora dal premier Draghi e dal ministro Cingolani».
La prima vera sfida, in ogni caso, sarà quella dell’impostazione e dell’approvazione della legge di bilancio, che un governo non si è mai trovato ad affrontare, nella storia repubblicana, così a ridosso del proprio insediamento. A questo nodo potrebbe legarsi quello della nutrita presenza di senatori nell’esecutivo (nove) e dei numeri a Palazzo Madama, dove la maggioranza ha un margine rassicurante ma non troppo. Difficilmente il centrodestra potrà contare su tutti i suoi 115 effettivi al Senato, perché, oltre agli eletti ora nel governo (al netto di possibili sottosegretari), c’è da tenere conto della probabile assenza a molte votazioni, ad esempio, di Silvio Berlusconi e della non partecipazione di Ignazio La Russa, eletto presidente. Per i provvedimenti economici come la legge di bilancio o gli scostamenti, inoltre, la maggioranza richiesta è quella assoluta, vale a dire la metà più uno non dei votanti bensì dei componenti del Senato, nel cui computo vanno inseriti anche i senatori a vita (cinque). Per questo tipo di provvedimento, dunque, serviranno almeno 103 voti, ma c’è allarme anche sui lavori quotidiani e sui lavori delle commissioni, dai quali i presidenti di centrodestra potrebbero essere assorbiti oltre il dovuto, a maggior ragione dopo il recente accorpamento.
Guardando al presente, oggi a Palazzo Chigi sarà la giornata del passaggio ufficiale dall’esecutivo Draghi a quello Meloni. Per stamani alle 10 e mezza, infatti, è prevista la cosiddetta cerimonia della «campanella», che è stata leggermente differita per consentire al premier uscente di tornare da Bruxelles, dove ha dato il commiato alla propria esperienza di capo del governo partecipando al Consiglio Ue, e quindi di consegnare nelle mani della leader di Fdi lo strumento con cui, solitamente, il presidente del Consiglio richiama all’ordine i ministri nel corso dei cdm. E a mezzogiorno, dopo la campanella, è previsto il primo Consiglio dei ministri, con l’assegnazione di alcune deleghe. Poi, all’inizio della settimana prossima (verosimilmente martedì alla Camera e mercoledì al Senato), il voto di fiducia del Parlamento, dopo l’illustrazione in Aula, da parte della neopremier, del programma di governo.





