2024-12-29
Il governo: «Discrezione su Cecilia». Ma la pista dell’iraniano si ingrossa
Palazzo Chigi e Antonio Tajani chiedono di abbassare i toni. Però il nesso tra l’arresto della giornalista e quello di un trafficante di droni sembra montare. L’uomo si oppone alla richiesta di estradizione avanzata dagli Usa. Il contesto in cui si muove la diplomazia italiana per riportare a casa la reporter Cecilia Sala, podcaster per Chora Media e collaboratrice del Foglio, arrestata a Teheran il 19 dicembre e detenuta nella prigione di Evin, è particolarmente complesso. L’arresto a Malpensa, su mandato statunitense, per l’accusa di associazione a delinquere con finalità di terrorismo dell’iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, il 16 dicembre, ovvero tre giorni prima dell’arresto di Cecilia, ha messo in tensione le relazioni tra i due Paesi. L’Iran ha protestato formalmente, accusando Italia e Stati Uniti di violazioni del diritto internazionale. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha invitato a evitare le «dietrologie», anche se ogni elemento di questa storia sembra intrecciarsi con il successivo, creando una trama densa di coincidenze. Un climax nel quale anche le parole dei protagonisti sembrano rimandare a diversi significati. Il difensore di Najafabadi, l’avvocato Alfredo De Francesco, per esempio, ieri ha usato parole quasi sibilline: «Dall’analisi dei documenti in mio possesso, pur essendo formalmente gravi le accuse mosse, in realtà la posizione del mio assistito risulta molto meno grave di quanto possa sembrare». E c’è un ennesimo colpo di scena: la Procura di Milano ha aperto un fascicolo a modello 45, senza indagati né titolo di reato, sulle modalità con cui è avvenuto l’arresto di Najafabadi. L’indagine, per ora conoscitiva, sembrerebbe riguardare anche i tempi stretti tra l’emissione del mandato di arresto internazionale ai fini dell’estradizione, datato 13 dicembre, e il fermo dell’iraniano avvenuto nel giro di meno di tre giorni. Najafabadi (nel frattempo è detenuto nel carcere di Opera con tutte le garanzie previste dalla legislazione italiana) ha respinto le accuse e si è opposto all’estradizione, la cui richiesta è stata formalizzata ieri dagli Usa. L’udienza per valutare la documentazione verrà fissata davanti alla Corte d’appello di Milano, ma l’ultima parola spetterà al ministero della Giustizia. Per ora si sa che Najafabadi avrebbe usato la sua startup svizzera per aggirare gli embarghi e per fornire materiale tecnologico militare ai Pasdaran. Ma se per Najafabadi le ipotesi di reato sembrano chiare, per Cecilia non è stato formalizzato nulla. «Ancora non conosciamo i capi d’accusa», conferma Tajani. Che rassicura sullo stato di detenzione: la giornalista è detenuta in una cella singola e in condizioni che il ministro degli Esteri definisce «dignitose», sebbene «non ideali».Mentre da Palazzo Chigi fanno sapere che «il presidente del Consiglio Giorgia Meloni segue con costante attenzione la complessa vicenda fin dal giorno del fermo. E si tiene in stretto collegamento con il ministro degli Esteri e con il sottosegretario Alfredo Mantovano, al fine di riportare a casa al più presto la giornalista italiana». Il tavolo istituzionale non comprende Guido Crosetto che l’altro giorno se ne era uscito con una dichiarazione particolarmente forte: «Le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare ma solo con un’azione politica e diplomatica di alto livello». Ora da Palazzo Chigi fanno sapere che «d’accordo» con i genitori di Cecilia «l’obiettivo viene perseguito attivando tutte le possibili interlocuzioni e con la necessaria cautela, che si auspica continui a essere osservata anche dai media italiani». Un equilibrio delicato tra riserbo e determinazione è presente anche nelle parole di Tajani: «Noi lavoriamo in perfetta sintonia con la famiglia e insieme alla famiglia il governo chiede discrezione e riservatezza per una trattativa che deve essere diplomatica». Il capo della Farnesina respinge in modo fermo l’idea che si sia innescato un meccanismo da «diplomazia degli ostaggi». I due arresti, insomma, stando alle fonti ufficiali non viaggerebbero sullo stesso binario. E, soprattutto, Tajani precisa che l’arresto di Cecilia non è una «ritorsione». Anche se i media ora si divertono a collegarlo ad altre vicende: quella di Kylie Moore Gilbert, l’accademica australiana che nel 2018 venne condannata a 10 anni in Iran per spionaggio e fu rilasciata due anni dopo in uno scambio con tre iraniani detenuti in Thailandia, per esempio. Di certo gli esperti di diplomazia leggono come segnali positivi l’ingresso in carcere dell’ambasciatrice italiana Paola Amedei e la possibilità di telefonare due volte ai familiari e una al compagno. «Ringrazio tutti per l’attenzione che stanno avendo nei confronti di mia figlia», ha commentato Renato, il papà di Cecilia. E di attenzione ce n’è anche a livello internazionale. La Commissione europea ha fatto sapere che «segue da vicino» la situazione. Il portavoce dell’esecutivo Ue per la Politica estera, Anouar El Anouni, non ha aggiunto commenti a tutela della riservatezza dei contatti diplomatici, ma a Bruxelles il caso è considerato particolarmente «sensibile» perché è coinvolta Teheran. Mentre un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha chiesto «ancora una volta il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri detenuti in Iran senza giusta causa», aggiungendo che «sfortunatamente il regime iraniano continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti Paesi, spesso per utilizzarli come leva politica».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.