2022-08-20
Aborto, lettera choc dei dipendenti Google: «Cliniche pro life fuori dalle ricerche»
Dopo aver ottenuto che l’interruzione di gravidanza entrasse nel welfare interno, lo staff vuole punire le strutture religiose.Nell’agosto del 1976 Tom Wolfe scrisse per il New York Magazine un saggio destinato a entrare nella storia del giornalismo e della letteratura. Si chiamava The Me decade (Castelvecchi l’ha ripubblicato col titolo Il decennio dell’Io). Nella copertina della storica rivista americana c’erano 27 uomini e donne con la stessa maglietta gialla su cui campeggiava una scritta nera, tra virgolette e tutta maiuscola: «ME». Quel lungo articolo, divenuto oggetto di innumerevoli citazioni, catturava l’individualismo edonista che si stava preparando per gli anni Ottanta. Così diceva il grande scrittore «Questi squallidi bastardelli» [...] hanno scoperto l’Io e se ne sono infatuati! Hanno creato la più grande era dell’individualismo nella storia americana! Tutte le regole sono infrante! I profeti sono disoccupati!».Essendo un genio, Wolfe ha colto in anticipo i segni di una società, quella americana, inevitabile precursore di quelle occidentali, che vedeva dilatarsi nella sfera privata e dei consumi le possibilità offerte sul piano personale dal caposaldo filosofico delle democrazie liberali: un’antropologia individualista e capace di affrancarsi dal concetto di natura attraverso il momento supremo della scelta. L’atto puro della selezione indipendente tra le infinite declinazioni del mercato è in effetti il meno rinunciabile degli assiomi delle nostre società, soprattutto in tempi di benessere economico.Può questa concezione della libertà, che storicamente prende la forma di una libertà «da», cioè tratta vincoli, tradizioni, morale come ostacoli al suo esercizio, ribaltarsi in qualcosa che assomiglia al suo contrario? Probabilmente sì. Pochi momenti della storia contemporanea hanno avuto il contraccolpo di Dobbs, la sentenza con cui la Corte Suprema americana ha ribaltato Roe vs Wade, il pronunciamento del 1973 (tre anni prima del saggio di Wolfe) con cui i giudici iscrivevano l’aborto tra i diritti costituzionalmente garantiti.Da allora, la stragrande maggioranza dei politici democratici, della stampa e delle grandi corporation americane, si è distinta in una corsa a esecrare la scelta delle toghe, e ad adoperarsi per rendere comunque agevole ed economicamente sostenibile la pratica dell’aborto (che i giudici hanno affidato, con piglio molto liberale, al decisore politico, evitando giudizi morali su di essa). In particolare, uno stuolo di multinazionali tra cui i colossi che regolano il digitale in tutto il mondo hanno fatto sapere di essere pronti a trattare l’interruzione di gravidanza come parte essenziale del welfare aziendale. Per esempio, le case di produzione di film hanno visto la richiesta delle attrici - che spesso si spostano tra gli Stati a seconda delle esigenze dei set - di avere la garanzia di un trasporto immediato dove l’aborto non sia vietato, in caso di bisogno.Alphabet, la controllante di Google, ha esteso alle sue dipendenti la copertura sanitaria di eventuali aborti: sia sulle spese del viaggio sia offrendo la possibilità di un trasferimento definitivo se fondato sullo stesso motivo. Un articolo pubblicato giovedì sul sito Cnbc.com raccontava dell’attuale frontiera sindacale nel colosso di Mountain View: estendere tali benefici non solo ai dipendenti (i cosiddetti Fte, ovvero full time equivalent), ma anche a terzisti e collaboratori part-time (i cosiddetti Tvc, ovvero temps, vendors e contractors). «Alcune delle mie colleghe Tvc sono spaventate», spiega alla testata Bambi Okugawa, impiegata in un data center di Google: «Alcune di loro mi hanno detto che si stanno informando sulle pratiche di sterilizzazione perché non sanno se potranno accedere all’aborto nello Stato (il Tennesse, ndr)».Oltre alla richiesta di estendere il «welfare» aziendale anche a questo tipo di collaboratori, la Okugawa ha sottoscritto con molti suoi colleghi una richiesta indirizzata al top management: in essa si chiede che tutti coloro che hanno rapporti contrattualizzati con Google (quasi 300.000 persone) siano trattati in egual modo dopo la decisione della Corte Suprema. Ma c’è una richiesta in più, che a quel punto non riguarderebbe più solo i lavoratori ma di fatto tutti: Google dovrebbe calibrare gli esiti delle ricerche sul proprio motore di ricerca in modo da escludere dalla mappa le strutture che non praticano aborti. Spiega l’articolo: «Gli impiegati hanno anche chiesto che l’azienda aggiusti i risultati delle ricerche per i servizi abortivi. Ritengono che Google Maps indirizzi regolarmente chi cerca “cliniche per abortire” verso centri religiosi pro life». Al momento non si ha notizia della risposta di Google, che nel frattempo ha garantito che cancellerà la cronologia della posizione dei cellulari di chi sceglie di abortire (si intende che per gli altri resta tutto tracciato).Purtroppo Tom Wolfe è scomparso quattro anni fa. La dinamica che ha fotografato in pagine folgoranti ha prodotto, nel tempo, esiti forse solo apparentemente paradossali. Il massimo dell’autodeterminazione porta a superare e ricostruire l’identità, anche sessuale, e a considerare la vita propria e altrui come bene disponibile per eccellenza. Questa indipendenza è teorizzata come apice della libertà individuale, eppure rischia di consegnare il massimo del potere - in questo caso, letteralmente di vita o di morte - nelle mani di chi scrive l’algoritmo di un motore di ricerca, o gestisce le nostre identità digitali. In quasi cinquant’anni il decennio dell’Io è arrivato a un io funzione di Google?
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)