2024-06-28
Il globulo bianco che destabilizza il basket
Caitlin Clark (Getty Images)
Caitlin Clark è l’astro nascente della Nba femminile, ma c’è un problema: caucasica, eterosessuale dichiarata e seguita da milioni di fan, ha messo in discussione il potere incontrastato delle nere sulla lega. Risultato: in campo la picchiano e non va alle Olimpiadi. «Mi sento come se mi stessero martellando». Voce bassa, sguardo diretto al pavimento, capello liscio e nero a tendina, Caitlin Clark non sembra la giocatrice di basket più affascinante del mondo. In senso sportivo, ovviamente, perché la ragazza ventiduenne di Des Moines (Iowa), America profonda, è considerata il nuovo messia della pallacanestro e dopo qualche mese di Wnba (la lega professionistica femminile) viaggia a una media di 15,6 punti, notevole per un’esordiente, ancora di più per una playmaker. Un paragone calzante: la più celebrata veterana del campionato, Diana Taurasi, ha una media di 17 punti. Per inquadrare la rookie bisogna aggiungere che nel curriculum vanta anche il record di punti al college (191) e di assist (60) in una sola stagione.Fine dei numeri, che peraltro contano fino a un certo punto. Clark sta facendo impazzire gli sportivi perché in avvicinamento al canestro ha la fantasia, l’esplosività e l’incedere felino di Kobe Bryant. E allora per quale motivo si sente come se - avversarie, arbitri, parte dei media - la stessero martellando? Perché, nel più classico dei cartoon della Disney prima della svolta woke, verrebbe descritta come un brutto anatroccolo, un diverso, qualcuno che fatica a farsi accettare. Il motivo è sorprendente: Caitlin Clark è bianca, senza sensi di colpa, eterosessuale dichiarata, consapevole del proprio valore, desiderosa di arrivare a toccare la volta celeste con un pallone arancione a spicchi. E nel mondo del basket femminile dominato dal black power, con campionesse dalla spiccata sensibilità Lgbtq+, questo dà fastidio. Sulla canottiera delle Indiana Fever, accanto al numero 22 e al nome, ha anche un bersaglio. Metaforico fino a un certo punto, perché le botte in campo sono frequenti e dolorose, qualche volta a tradimento. Lei cade, si rialza e segna una tripla (media 35%, già ottima) per non cedere al bullismo. Non che la ragazzina sia un’educanda; viene definita una «trash talker», ha la lingua tagliente, ha imparato a difendersi dagli agguati e quando ti pianta lo sguardo in faccia sembra dire: «Prova a prendermi». Le avversarie non si fanno pregare: fin qui la più ricca e famosa delle debuttanti è finita nel mirino di Chennedy Carter (fallaccio a tradimento), della coetanea Angel Reese (spinte, insulti, provocazioni), di stelle e gregarie, con gli arbitri che non calcano mai la mano nel punire gli interventi violenti. Sono distratti, indulgenti o ingoiano il fischietto. Altro che Dick Bavetta. La spiegazione è: Clark deve farsi le ossa, Clark deve imparare la legge della giungla. A spiegarle le regole del Rollerball ancor prima che passasse di categoria era stata proprio la divina Taurasi: «Il bagno di realtà sta per arrivare. Sembri una giocatrice sovrumana se giochi contro le diciottenni, ma stai per andare a giocare contro delle donne adulte che sono professioniste già da tempo. Anche lei scoprirà presto la dura realtà». Era il biglietto d’invito al party Wnba, era il benvenuto nella foresta dalle fronde adunche. Al rito d’iniziazione si aggiungono due dettagli non propriamente normali: Clark fa venire l’orticaria perché, da sola, sta riempiendo i palazzetti di mezza America e moltiplicando l’entusiasmo degli aficionados; Clark risulta indigesta perché, da sola, trascina gli sponsor verso il basket femminile (più 40% di fatturato). Eppure il dato è d’aiuto a tutto il movimento: con un gesto atteso da anni gli organizzatori hanno finalmente consentito ai club di far viaggiare le squadre su jet privati invece che su voli di linea. Come accade da sempre ai maschietti.Caitlin Clark rimane uno strano globulo bianco difficile da metabolizzare. Lo conferma la scelta delle 12 convocate per le Olimpiadi di Parigi: nel Team femminile candidato all’oro lei non c’è. Esclusa nonostante sia un fenomeno mediatico trainante con potenzialità da stella globale. La selezionatrice Cheryl Reeve ha preferito far fare passerella a Taurasi (42 anni, sesta volta ai Giochi) e confermare campionesse consolidate piuttosto che aprire la porta a una grana vivente. A quella che avrebbe potuto essere una presenza destabilizzante. Sulla faccenda, USA Today ha preso posizione: «Sarebbe rimasta fuori perché c’era preoccupazione su come i milioni di fans di Clark avrebbero reagito al probabile minutaggio limitato in un roster pieno di campionesse. Se fosse la verità, sarebbe un’ammissione che esiste della tensione nei confronti di questa sensazionale macchina da milioni di dollari, che firma autografi per tantissimi ragazzi prima e dopo ogni partita, da parte della vecchia guardia del basket femminile». Così gelosie individuali rischiano di trasformarsi in fibrillazioni sociali, razziali, perfino di genere. Secondo la mefitica moda della polarizzazione affettiva, Caitlin Clark viene tirata per la canotta anche dal sistema mediatico. Riguardo alle botte sul parquet l’iperprogressista Washington Post difende l’ordine costituito della Wnba: «Il gesto viene amplificato come prova che le brutali donne nere sono gelose della presunta salvatrice della lega e quindi preferirebbero picchiarla. La verità è che Clark è la star commerciabile con il colore della pelle e la sessualità gradevoli, e non può subìre un contatto duro». Il Wall Street Journal invece la difende a spada tratta: «Chiunque giustifichi la violenza come un normale scontro di gioco è in malafede. C’è differenza tra la competitività a muso duro e colpire in modo sleale. Il punto vero è che Clark è un mezzo di attrazione per nuovi fan, che non vanno al palazzetto per vedere la loro eroina accartocciata a terra». Servirebbe un timeout, ma non è aria.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
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