2019-07-31
«Il carabiniere non poteva sparare
perché sarebbe stato incriminato»
Svelato il «grande mistero» che tormenta gli Sherlock Holmes della domenica: quella maledetta notte Mario Cerciello Rega non aveva la pistola e il suo compagno non l'ha usata sapendo che sarebbe finito nei guai anche solo tirando colpi in aria. C'è più di qualcosa da cambiare.Sta' a vedere che adesso l'assassinio di Mario Cerciello, il carabiniere ucciso con 11 coltellate da uno studente americano che i genitori descrivono come un ragazzo modello (ma probabilmente lo era solo nell'attaccar briga e nel farsi di coca), è colpa del collega di pattuglia. Eh, già, perché la domanda che tutti i soloni del pronto intervento digitano alla tastiera è la seguente: perché il carabiniere che era in servizio con il vicebrigadiere non ha estratto la rivoltella e non ha esploso alcuni colpi contro l'omicida? Mentre il giovanotto estraeva il pugnale e colpiva a morte il Cerciello, dov'era Antonio Varriale? L'accusa, neanche troppo velata, è comparsa sin dal primo momento nelle cronache dei giornali: in pratica, il compagno e amico del militare ucciso non avrebbe saputo reagire. Anzi, su di lui è caduto il sospetto di essere stato uno sprovveduto, al pari della vittima. I due, infatti, si sono presentati all'appuntamento con l'assassino convinti di avere a che fare con due ladruncoli, colpevoli di aver rubato uno zainetto in piazza e di pretendere un riscatto per restituirlo. Il povero Cerciello era talmente sicuro di dover affrontare due furfantelli di borgata da essersi recato nella piazza senza neppure avere con sé la pistola d'ordinanza. Mentre quell'altro, che gli doveva dar man forte e proteggerlo procedendo all'arresto dei delinquenti, non era neppure pronto a estrarre il revolver. Per di più, altra colpa da mettere sulle spalle dei due rappresentanti delle forze dell'ordine, invece di andare a caccia di ladri con regolare divisa, si sono presentati in borghese, con la conseguenza di poter essere tranquillamente scambiati per ladri invece che per guardie. Dunque, con questi ragionamenti raffinati, da giallisti della domenica a caccia di sospetti, se ne conclude che se Cerciello è stato assassinato con 11 coltellate, gran parte delle quali alle spalle, la colpa non solo è un po' sua, che è andato ad arrestare i banditi dimenticando la pistola, ma anche di chi era con lui in servizio, perché invece di estrarre la rivoltella si è attardato lasciando che Finnegan Lee Elder completasse l'opera e, dopo aver assassinato il vicebrigadiere, addirittura se la desse a gambe levate.Di questi discorsi da bar sport ne abbiamo sentiti e ne abbiamo letti tanti, perché così come tutti davanti a un bicchiere si sentono allenatori e sono pronti a dare lezione anche a chi ha vinto qualche coppa, dopo aver bevuto un paio di whiskey si credono tutti Maigret e in grado di spiegare a carabinieri e poliziotti come ci si deve attrezzare in caso di pronto intervento contro ladri e rapinatori. In realtà ci sarebbe solo da onorare la memoria di Mario Cerciello, un vicebrigadiere che, una volta allertato, non ha indugiato un solo istante e con il compagno si è subito diretto verso il luogo in cui avrebbe dovuto intercettare i due tizi che avevano chiesto un riscatto per uno zainetto. Nella fretta ha dimenticato la pistola d'ordinanza o semplicemente ha pensato che per arrestare i ladruncoli non ci fosse bisogno del revolver? Non lo sappiamo. Ma di certo ha pesato il fatto che, da esperto qual era, sapeva che una volta presi i due sarebbero stati rimessi in libertà talmente in fretta che non avrebbero rischiato nemmeno un giorno a Rebibbia. Dunque, l'arma in apparenza non era necessaria, ma bastava il distintivo, perché gli «scippatori» ed estortori non rischiavano praticamente nulla, se non di essere portati in caserma e trattenuti per qualche ora in attesa del magistrato.Quanto poi al collega Varriale, quello che non sarebbe stato lesto a estrarre la pistola e a sparare all'assassino, vale la pena di leggere quello che ha detto ieri, in conferenza stampa, il comandante provinciale dell'Arma. Il compagno di Cerciello non ha agito con lentezza, né si è dimostrato incapace di intervenire davanti all'assassinio del vicebrigadiere, come qualcuno vorrebbe far credere. Semplicemente non c'è stato tempo di reagire. Come ha spiegato il generale Francesco Gargaro, comandante della piazza di Roma, i due carabinieri sono stati sopraffatti prima che potessero rendersi conto di ciò che stava accadendo. «Ma perché Varriale, che non era ferito, non ha impugnato la pistola e sparato?», ribattono gli esperti del pronto intervento. Semplice, replica l'alto ufficiale: «Il carabiniere Varriale non poteva sparare a un soggetto in fuga, altrimenti sarebbe stato incriminato. Né poteva sparare in aria a scopo intimidatorio, perché questo non è previsto nel nostro ordinamento». Ecco, una delle cause di quello che è successo sta tutte in queste poche parole. Sparare a un assassino, a un ladro che ha colpito un carabiniere, non è possibile. Sparare in aria mentre quello aggredisce il collega neanche. Tirargli un colpo di rivoltella per impedire che pugnali a morte un militare neppure. Lo avesse fatto, avesse ucciso il ragazzo modello dell'upper class americana, Varriale probabilmente sarebbe stato indagato e avrebbe pure rischiato la condanna. Così, alla fine, lui e i suoi colleghi, prima di esplodere un colpo ci pensano cento, forse mille volte, temendone le conseguenze. E nel frattempo, un uomo dello Stato come Cerciello muore. La vedova riceverà una medaglia. Noi continueremo a pensare che lo Stato abbia fallito.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi