2023-01-10
Lo Stato diventa Dio e impone la sua «verità»
Alla libertà salvifica incarnata da Gesù, il potere politico tende a sostituirsi come detentore unico del bene supremo al quale ognuno si deve adeguare. E questo insieme di dogmi può perfino decidere se è nel «miglior interesse» di una persona vivere oppure morire.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Questa è l’affermazione, attribuita a Gesù, contenuta nel Vangelo di Giovanni, capitolo 8, versetto 32. E la verità da conoscere è costituita dalla stessa persona del Cristo, il quale dice di sé stesso (capitolo 14, versetto 6 del medesimo Vangelo) che egli è «la via, la verità, la vita». Ma qual è la «libertà» alla quale il Cristo vuole condurci? Per rispondere a tale domanda occorre, anzitutto, mettere in chiaro che essa è tutt’altra cosa rispetto alla libertà intesa in senso giuridico-formale, alla quale comunemente si fa riferimento nel linguaggio corrente. Quest’ultima, infatti, consiste essenzialmente nell’assenza di costrizioni esterne che, provenienti dal potere politico, escludano o limitino oltre il dovuto la sfera di autodeterminazione dei singoli, impedendo loro di porre in essere determinati comportamenti ovvero imponendogliene altri. E quale sia il «dovuto» oltre il quale tali costrizioni siano da ritenere lesive della naturale libertà di coloro che debbono soggiacervi, è sempre dipeso dalla infinita varietà dei principi etico-politici ai quali, nel corso dei secoli, si sono ispirati tutti gli ordinamenti giuridici. In concreto, ovviamente, il limite del «dovuto» è poi stabilito da chi, in ogni singolo ordinamento e in ogni singolo periodo storico, detiene, di fatto, le leve del potere politico. Soltanto la forza di tale potere, quindi, e non la pretesa, ipotetica «verità» dei principi sui quali esso si fonda, è quella che, al tempo stesso in cui pone determinati limiti alla libertà dei singoli, garantisce pure che, entro quei limiti, essa possa essere esercitata. Il tutto in funzione dell’interesse primario dello stesso potere politico che è, istituzionalmente, quello della migliore conservazione dell’intero ordinamento giuridico di cui esso costituisce espressione. La libertà che, come si è visto, deriva, secondo il Vangelo, dalla conoscenza del Cristo-Verità deve, invece, intendersi necessariamente come funzionale a un interesse del tutto diverso: quello, cioè, costituito dalla salvezza eterna di ciascun essere umano che a quella conoscenza sia pervenuto, a prescindere dal fatto che ciò sia stato per virtù propria o per grazia divina o per entrambe le cose insieme; problematica, quest’ultima, che è stata oggetto, fin dai primordi del cristianesimo, di accese ed a volte sanguinose dispute, ma sulla quale non è certo qui il caso di soffermarsi. La libertà consiste, quindi, essenzialmente, nell’essere messi in grado di resistere, grazie alla conoscenza del vero bene, alle suggestioni del male che possono condurre alla perdizione dell’anima; una conoscenza, quella anzidetta, da intendersi, tuttavia, non come puramente intellettiva, quale potrebbe essere quella dei precetti della morale comune o anche della stessa morale evangelica, ma (quasi nel senso carnale che ha la parola nella Bibbia), come una sorta di immedesimazione del fedele nella persona del Cristo e, quindi, nella verità che in essa è incarnata. Se questa è la differenza tra i due tipi di libertà, risulta allora chiaro come, essendo compito del potere politico soltanto quello di assicurare le migliori condizioni possibili per la civile convivenza, esso, per adempierlo, possa sì circoscrivere, in maggiore o minor misura, la sfera entro la quale ciascun cittadino è legittimato a operare incondizionatamente le proprie scelte comportamentali, ma non possa, poi, pretendere di entrare anche in quella sfera, suggerendo o, addirittura, imponendo i giudizi e le valutazioni che, nell’ambito di essa, spettano, invece, solo al privato. Ma è proprio una tale pretesa quella che, invece, viene ora sempre più portata avanti, con arroganza o subdolamente, a seconda dei casi, dal potere politico (a sua volta succubo, peraltro non di rado, dei più o meno occulti poteri di varia natura che operano a livello mondiale). Esso, infatti, soprattutto mediante la scuola e i mezzi di comunicazione sociale direttamente o indirettamente controllati, tende a imporsi come detentore unico di una «verità» alla quale il singolo deve, per il suo bene, prima ancora che per quello della società, ispirarsi in ogni sua azione ed anche in ogni suo pensiero. E la «verità» è quella costituita dall’insieme dei dogmi del «politicamente corretto», rifiutando la quale ci si autocondanna all’emarginazione sociale e, quindi, all’infelicità. Si realizza, in tal modo, una sorta di divinizzazione del potere politico, dal momento che esso assume su di sé, in sostanza, nei confronti di ciascun individuo, in vista della sua felicità su questa terra, quella stessa funzione salvifica che, nella ben diversa prospettiva dell’eterna felicità nella vita ultraterrena, è propria, secondo il Vangelo, del Cristo-Verità. Con la non trascurabile differenza, però, che quest’ultimo non dispone, per adempiere a tale funzione, dei mezzi coercitivi di cui, invece, dispone il potere politico. Ed è per questa via che si può, quindi, arrivare a ritenere che spetti allo Stato, in quanto possessore della «verità», stabilire se, per qualcuno che si trovi in determinate condizioni, il suo «miglior interesse», sia quello di vivere o di morire e decretare, quindi, nella seconda ipotesi, la sua condanna a morte. Il che - si ricorderà - è quanto avvenuto nei noti casi dei bambini inglesi ai quali, per ordine dei giudici e in contrasto con la volontà dei genitori, è stato interrotto il sostegno fornito dagli apparati medici da cui dipendeva la loro sopravvivenza, sia pure in uno stato che, almeno all’apparenza, era di vita puramente ed irreversibilmente vegetativa. Un traguardo, questo, al quale non si sarebbe potuti giungere, sulla base di una motivazione come quella anzidetta, neppure nella Germania nazista.(5. 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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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