2020-07-22
Giuseppi vuole l’ennesima task force per mettere fuori gioco Di Maio
Incassata la fiducia del Quirinale, il premier propone un altro team di esperti per dribblare la cabina di regia proposta dal ministro e avere l'ultima parola sui fondi. Carlo Cottarelli, per non sbagliare, si candida.Chiusa la partita del Recovery fund, i partiti europeisti della maggioranza tornano alla carica per il Salvastati. E gli azzurri si accodano: «Sbagliato rinunciarvi».Lo speciale contiene due articoli«Conte ha guadagnato un paio di... Mes»: la battutaccia che circola ai piani alti della maggioranza la dice tutta sul clima che si respira tra i giallorossi, con Pd, M5s e Italia viva che fingono soddisfazione ma in realtà masticano amaro osservando il ciuffo del premier tornato svolazzante dopo i sudori freddi dei giorni scorsi. Una telefonata allunga la vita (al governo di Giuseppi), figuriamoci un bell'incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con annessa benedizione al premier, scapicollatosi al Quirinale non appena rientrato da Bruxelles. «Il capo dello Stato», fanno sapere fonti del Quirinale, al termine dell'incontro, «guarda con soddisfazione all'accordo raggiunto a Bruxelles, ed esorta il governo a predisporre un efficace piano di riforme». Dal Colle trapela «apprezzamento e soddisfazione» del presidente della Repubblica «per l'importante esito del Consiglio europeo, che rafforza il ruolo dell'Unione e contribuisce alla creazione di condizioni proficue perché l'Italia possa predisporre rapidamente un concreto ed efficace programma di interventi».«Rapidamente»: per chi mastica il quirinalese, questo avverbio non è certo frutto del caso. La preoccupazione di Mattarella (il capo dello Stato è preoccupato per definizione) è che adesso Conte e il suo cerchio tragico si rilassino sul risultato raggiunto e non diano seguito agli impegni presi con l'Europa, o peggio ancora che il premier si faccia tentare dalla voglia di esautorare ancora una volta Parlamento e governo dalla elaborazione del piano da presentare all'Europa per ricevere i fondi. Va tutto in questa direzione, infatti, l'annuncio di Conte in conferenza stampa: «La costituzione di una task force operativa per il piano di rilancio», sottolinea il presidente del Consiglio, «è una delle priorità che andremo a definire in questi giorni perché dovrà partire al più presto. Abbiamo già lavorato al piano di rilancio, abbiamo elaborato dei progetti condivisi con tutte le componenti della società. Rimane un ultimo confronto con le opposizioni», aggiunge Conte, «dopo di che avremo un quadro definito per quanto riguarda i progetti che dovremo andare a declinare. Dovremo individuare quelli da selezionare in prospettiva europea».Ancora una task force? La centesima? A quel che risulta alla Verità, l'idea di Conte di metter su un altro carrozzone di esperti o presunti tali, non eletti da nessuno, senza responsabilità politiche e istituzionali, non convince nessuno all'interno del governo. Non sono pochi gli esponenti di maggioranza, anche a livello governativo, che sono saltati sulla sedia leggendo quelle parole: la convinzione generale è che la rapidità con la quale va definito il piano richieda il coinvolgimento dei ministri competenti in una cabina di regia (è l'idea che La Stampa attribuisce a Luigi Di Maio) che sia in grado di stilare un programma efficace e incisivo, proprio come chiede il Quirinale, senza andare a impelagarsi nella formazione di organismi pletorici e soprattutto privi di alcuna rilevanza politica e istituzionale. «Bisogna fare in fretta e bene», sottolinea alla Verità una fonte di governo, «coinvolgendo il governo e i partiti di maggioranza, confrontandosi con l'opposizione, senza ripetere gli errori del passato». Non manca chi, tra i giallorossi, esprime pubblicamente la contrarietà all'idea di Conte di costituire una nuova task force: «L'Europa c'è», avverte su Twitter il senatore del Pd Tommaso Nannicini, economista, «ma i soldi del Recovery fund non vengono da Marte, arrivano dal futuro. Vanno spesi con responsabilità e consapevolezza: lavoro, non assistenzialismo; occupazione di giovani e donne, non aziende decotte. Meno task force, più coraggio. Non ci sarà una seconda volta».«Le scelte», scrive su Facebook la deputata di Italia viva Maria Chiara Gadda, «toccano alla politica, che deve riprendere il suo ruolo di ascolto e decisione. Il presidente del Consiglio Conte ha parlato di task force operativa per il piano di rilancio. Spero che si riferisse alla squadra di governo e alla maggioranza. Ci sono i ministri, c'è il Parlamento, ci sono i gruppi parlamentari di maggioranza e anche di opposizione, che vanno sempre rispettati. Non avrebbe senso», aggiunge la parlamentare renziana, «pensare di affidare scelte del genere senza una visione organica a tecnici, esperti o agli ennesimi consulenti, il cui lavoro peraltro poi rischia di finire inascoltato e inutilizzato come abbiamo purtroppo visto in passato. Le decisioni spettano alle forze politiche, a partire da quelle di maggioranza».A proposito di task force e professoroni, non manca il monito di Carlo Cottarelli, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani, che all'Huffington Post dice: «È andata bene, ma bisogna saper spendere. I nodi da sciogliere», aggiunge Cottarelli, «riguardano la necessità di presentare un programma che sia valido, cosa che per ora non siamo ancora stati in grado di fare. Siamo l'ultimo Paese, non abbiamo ancora presentato un piano nazionale delle riforme, che è sì un atto formale, ma dimostra che ci muoviamo ancora troppo lentamente. Adesso ci sarà di nuovo una task force per creare un progetto da presentare all'Europa». Vuoi vedere che Cottarelli pensa anche a se stesso per la task force? Non si sa. Quello che si sa è che tra elezioni regionali che incombono, M5s lacerato e pronto alla guerra contro il Pd sul Mes, crisi sociale e divisioni sulla legge elettorale, la «panchina» di Conte traballa ancora, nonostante il pareggio ottenuto a Bruxelles. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giuseppi-vuole-lennesima-task-force-per-mettere-fuori-gioco-di-maio-2646446418.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="parte-il-coro-di-pd-iv-e-fi-per-fregare-conte-e-m5s-e-ora-prendiamo-il-mes" data-post-id="2646446418" data-published-at="1595356259" data-use-pagination="False"> Parte il coro di Pd, Iv e Fi per fregare Conte e M5s. «E ora prendiamo il Mes» «Una nuova Italia e una nuova Europa stanno nascendo. Ora utilizziamo anche il Mes e mettiamoci al lavoro». Twitta eccitato Di Maio. Marco però, il deputato renziano; non il ministro degli Esteri. E l'imbarazzo fa capolino. Ai soldi del Recovery fund dovranno «aggiungersi i 37 miliardi già disponibili del Mes» rincara l'uscente governatore della Toscana Enrico Rossi. E l'imbarazzo per Conte aumenta. «Prendiamo atto che il nostro premier vuole rinunciare al Mes» e a parere di Forza Italia «è un errore grave perché i soldi del Recovery fund non arriveranno subito». Tuona la forzista Anna Maria Bernini. L'imbarazzo per il governo ora splende fulgido. Come il solleone d'agosto. Nel nome della «maggioranza Ursula» il senatore sirena Andrea Marcucci, da mezza vita in su piddino e nella parte bassa renziano, sottolinea come «la valutazione sul Mes sia meno drammatica. Ha ragione Zingaretti a volervi ricorrere». Infine, arriva lui. Il padre nobile di ogni bravo europeista. Il senatore Mario Monti a intonare il suo «l'Europa c'è» modello Guido Meda mentre esulta in telecronaca alle vittorie di un altro Rossi. Non l'Enrico di prima ma Valentino a bordo della sua Yamaha. Serve il Mes, è l'esortazione di Super Mario. Mancando il quale difficilmente la politica italiana investirà in sanità. È la chiosa finale di Monti. Ora non ci sono più scuse. Una volta perché devono leggere bene i regolamenti. Ma se hanno fatto un abbonamento a La Verità dalle parti di Palazzo Chigi, anche l'usciere più distratto dovrebbe conoscere la tossicità fuori scala del Fondo salvastati. Poi la storiella che prima deve esserci l'approvazione del Recovery fund e quindi di Mes non se ne parla. Bene ora che il Mes è stato spiegato facile soprattutto da questo giornale ed il Recovery fund è stato approvato, pure per Giuseppi le chiacchiere stanno a zero. Deve essere chiamato il Parlamento ad esprimersi pure sul Mes creandosi però un grosso imbarazzo dalle parti dei 5 stelle e un enorme problema di sopravvivenza politica pure per l'esecutivo. Quest'ultimo avrebbe la certezza di continuare se il Mes fosse approvato. Magari col voto favorevole di Pd, Forza Italia e M5s. Quest'ultimo ne uscirebbe però con le ossa frantumate dovendo rinnegare platealmente il suo programma elettorale e peraltro con al fianco l'odiato Berlusconi. Il tutto subendo l'onta di una scissione interna perché molti sarebbero i parlamentari grillini a votare no. Ma anche se il movimento votasse no al Mes, non potrebbe scongiurare la rottura del suo gruppo parlamentare (essendoci qualcuno disposto a votare sì) e Conte si ritroverebbe peraltro in minoranza col governo battuto e costretto a dimettersi. Conte potrebbe certo evitare di porre la fiducia dopo averla però messa sulla quasi totalità dei provvedimenti portati alle camere. Una situazione alquanto bizzarra e comunque la dichiarazione di morte del suo esecutivo rimarrebbe scolpita. L'unica alternativa è evitare di parlare di Mes facendo finta che questo non esista e chiamando il Parlamento ad esprimersi solo sul Recovery fund. Ma il coro levatosi ieri e di cui abbiamo dato conto prima, ripropone il tema al centro del dibattito. Risulta peraltro alquanto ingiustificabile dire no al Mes e sì al Recovery fund dal momento che si somigliano molto e riuscendo quest'ultimo forse a fare ancora più schifo del malfamato Fondo. I soldi del Recovery misurano dallo 0,6% all'1% del Pil. Un importo alquanto insufficiente per risollevare le sorti di un Paese piegato e piagato da un crollo del reddito di oltre l'11%. Nel 2020 non arriverà nulla e fra un anno se ci va di lusso appena il 10% di quanto promesso. I soldi del Mes almeno, una volta richiesto, arrivano in sette mesi. Le condizionalità poi sono presenti in entrambi i casi dovendo l'Italia attenersi alle raccomandazioni formulate dalla Commissione Ue nell'ambito del semestre europeo. Per intendersi, niente quota 100, riforma del catasto, la patrimoniale sarebbe cosa gradita, e di abbassare l'Iva non se ne parla. Facendo tutte queste cose, forse, i soldi del Recovery fund potrebbero arrivare con un Paese comunque già morto che di soldi ha bisogno non ora ma ieri. E sempre che il ministro delle Finanze olandesi in seno all'Ecofin non alzi il ditino per portare tutti dal preside anzi dal Consiglio europeo con l'accusa che l'Italia magari non fa bene i compiti casa avendo un atteggiamento, ad esempio, troppo restrittivo sull'accoglienza dei clandestini così minando la previsione che gli stati europei debbano attenersi alla cosiddetta «rule of law». Un'espressione che significa stato di diritto pensata da Bruxelles per mettere nei guai i governi sovranisti di Ungheria e Polonia minacciandoli di non mandare loro più soldi se non fanno le riforme gradite all'Ue. E da li si apre una disputa di tre mesi, all'interno della quale il Consiglio decidere. Conte ha provato schivare la trappola raccontando che con il negoziato conclusosi il 21 luglio l'Italia ha strappato 36 miliardi in più. Quegli stessi soldi che darebbe il Mes di cui quindi non vi sarebbe più bisogno. Narrazione di cui si è subito fatto entusiasta portavoce l'organo quasi ufficiale di Palazzo Chigi, il Fatto Quotidiano, peraltro in compagnia di un insospettabile MF Milano Finanza che titola un sorprendente «scampato pericolo Mes». E noi che quasi quasi ci eravamo convinti che fosse un'opportunità dopo aver visto l'esito del negoziato. Come dice il vecchio adagio, una volta toccato il Fondo (salvastati) si può sempre scavare. E a quanto pure a Bruxelles si sono muniti di una trivella petrolifera.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
Ecco #DimmiLaVerità del 12 settembre 2025. Il capogruppo del M5s in commissione Difesa, Marco Pellegrini, ci parla degli ultimi sviluppi delle guerre in corso a Gaza e in Ucraina.