2020-04-26
Giuseppi e i suoi hanno terrorizzato il Paese
L'esempio inglese ha dimostrato che una pandemia - come una guerra - si affronta con il coraggio delle scelte (anche se sbagliate). Da noi, l'intero governo in crisi di nervi ha preteso dagli scienziati impossibili certezze. Infettando la popolazione con le sue paure.Attorno, e al seguito dell'epidemia di virus Covid-2019 se ne sta sviluppando un'altra, non meno grave. È il male che si manifesta nell'anima, nella psiche delle persone, quando scivolano nella paura e quindi in un'ansia aggressiva e incontrollata, che avvelena velocemente tutta la vita sociale. Perfino dal ridotto campione della clientela dell'analista, è sorprendente notare quanti siano oggi i corridori insolentiti e minacciati malgrado le mascherine d'ordinanza (racimolate a caro prezzo), le mamme sgridate perché accompagnano i gemelli insieme e non uno per volta, le nonne invitate a stare a casa, le denunce anonime verso solitari camminatori campestri o preti che si sono prestati a fare il loro mestiere: dire messa, o confessare.Nel tempo dei Giuseppi l'antica (anche nobile) ars vivendi italica, con il suo sguardo affettivo e ironico, puntato sulla lunga durata dei tempi e delle relazioni interpersonali, viene sostituita da un gridìo livoroso e isterico, rivelatore, oltre che di cattivi sentimenti, soprattutto di una paura blu. Chi scrive ha fatto in tempo a conservare qualche rapido ricordo di infanzia in guerra, e di ciò che è arrivato dopo. Ci furono conflitti fortissimi, contrapposizioni profonde, anche sanguinose; non ricordo però smagliature così diffuse e disorientate nel tessuto sociale e nelle generazioni. Adesso sono evidenti e molto preoccupanti.Certo, sappiamo che nelle situazioni collettive ad alto rischio, come appunto le epidemie, le guerre, le catastrofi naturali, un ruolo decisivo nel condizionare i comportamenti ed anche il modo di sentire e di essere della società finisce sempre per averlo la personalità, il carisma, la competenza dei responsabili del potere e di chi influenza la comunicazione. Questo giornale tutti i giorni documenta lo straordinario e agghiacciante esempio di confusione, incertezza, approssimazione, vanità, protagonismo ingiustificato e ridicolo che i Giuseppi con il loro codazzo di portavoce e portaborse hanno penosamente dato, ognuno nel proprio ruolo. Roba da fare impallidire i teatranti illetterati del Sogno di una notte di mezz'estate di Shakespeare, mai vista neppure nei più smagati e crudeli sonetti del Belli o di Trilussa. È difficile perfino immaginare comportamenti di tale surreale incoerenza e sperdutezza. Anche perché non era solo in ballo il vecchio ed elementare buonsenso, ma anche la vita delle persone. La gestione governativa del Covid-19 è stata un sinistro horror show, che rimarrà purtroppo indimenticabile nella storia d'Italia. Tutto ciò non poteva non infettare la psiche collettiva di un popolo impaurito, tenuto a bada per due mesi a colpi di «aspettiamo indicazioni più chiare».Con poi scivolate particolarmente spietate, per chiarire il livello della classe politica al governo della nazione. Come quando (per diverse settimane) ministri e viceministri, mentre chiedevano tempo per «vedere con chiarezza e precisione», ci facevano sapere che «agli scienziati chiediamo certezze». Un'affermazione che getta nello sconforto qualsiasi cittadino con una minima formazione scolastica, che fin da piccolo gli ha spiegato la differenza tra scienza e fede. Dove la scienza (come Karl Popper spiegò già negli anni Trenta del secolo scorso) fornisce indicazioni di massima su quale sia lo stato della ricerca, grazie al suo metodo che procede «per tentativi ed errori», con convinzioni sempre smentibili e sostituibili da ulteriori scoperte. Mentre la fede, quando c'è, ha le sue tranquille certezze, quotidianamente sperimentate dal fedele. Altrimenti non siamo nelle certezze, ma in vaneggiamenti spacciati per scienza, utilizzati da mestieranti che fingono politici (o magari scienziati). Però non è possibile chiedere le certezze agli scienziati, scambiandoli per il Mago Otelma, e lasciare che uno faccia il mestiere dell'altro (come in tv è accaduto tutte le sere), senza gettare il Paese in un incubo surreale, da cui ha tutte le ragioni di non vedere l'ora di uscire. Non si tratta di pedanterie: conoscere il senso della parola «scienza» in una questione vitale per le nazioni e per il mondo come una pandemia mondiale è indispensabile per aiutare la gente a stare meglio e avviarsi a una ripresa positiva.Ancora una volta ne abbiamo avuto un esempio chiarissimo con l'Inghilterra. Non appena il virus è comparso il premier Boris Johnson ha allestito molto rapidamente una ristretta squadra di scienziati (tre) di cui si fidava, elaborato una strategia e l'ha presentata, con una chiarissima conferenza stampa, in dialogo con i due consiglieri, evitando per il momento la chiusura totale del Paese. Non l'ha esposta (il venerdì sera), come una certezza, ma come un tentativo possibile, consigliato anche dall'inadeguatezza delle strutture del sistema sanitario. Il lunedì successivo le dimensioni delle nuove infezioni presentavano un quadro molto più grave, peraltro non escluso fin dall'inizio. E prima di sera, Bojo aveva già ribaltato tutto, presentato la chiusura, in conferenza stampa, puntuale e pragmatico, e continuando poi gli appuntamenti quotidianamente con i cittadini. Fino a quando è stato ricoverato in ospedale per una settimana, per un Covid in forma grave. E allora Elisabetta II in persona ha fatto un discorso in tv , per ringraziare medici e sanitari per l'enorme sforzo, e dire agli inglesi che la situazione era gravissima, ma loro come al solito con la loro calma e coraggio ce l'avrebbero fatta, e si sarebbero rivisti presto, lei e loro. Certo, non montiamoci la testa: Giuseppi è altra cosa, e va be'.Però una cosa non può mancare a chi comanda, soprattutto in circostanze difficili: il coraggio. Il capo rischia: in prima persona, e anche per gli altri. Anzi (come dimostra Johnson, e non solo in questa ultima vicenda, ma da sempre): quella del rischiare, dell'avere coraggio, è in fondo la prima dote del capo. Se non l'hai, puoi al massimo essere un capo ufficio, un capo di funzionari che si muovono all'interno di norme rigorosamente stabilite: ottima cosa, che però non ha nulla a che vedere con la guida di nazioni millenarie, in una fase storica e sanitaria in cui il mondo sta cambiando profondamente. Per motivare davvero gli altri devi avere una visione del futuro e di come arrivarci, e ciò richiede sempre il vincere la paura di sbagliare, di perdere, di farsi male. In fondo anche vincere la paura delle paure: quella di morire. Che è il grande tabù tardo moderno, assolutamente da superare, per uscire non solo dal Covid-19, ma semplicemente per vivere. Per vivere oggi dobbiamo (contrariamente a ciò che pensava Freud) fare coraggiosamente la pace anche con la morte. Come dice Elisabetta: noi la conosciamo già la morte, molti di noi l'hanno già provata, ma non abbiamo «perso la calma» e quindi siamo ancora qui. In epidemia, come in guerra o in una catastrofe, non ci si può spaventare: la paura terrorizza quelli che tu dovresti guidare, li fa ammalare. C'è ancora molta strada da fare. Ma bisogna uscirne. E alla svelta.
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