2021-08-10
«Anche se ho appeso il saio al chiodo, continuo a predicare Dio cantando»
Giuseppe Cionfoli (Facebook)
L'ex frate cappuccino divenne famoso a Sanremo 1982 e partecipò ad altri due festival. Dopo aver lasciato l'ordine monastico si è sposato e ha tre figli. Fa il pittore e a 68 anni tiene ancora concerti in giro per il mondo.Quando Giuseppe Cionfoli, con sobrietà francescana, dal palcoscenico del teatro Ariston, attraverso la canzone Solo grazie propose un tema insolito nel repertorio della musica pop, quello del ringraziamento al Signore per il dono della vita, il suo status ufficiale lo identificava come fra' Giuseppe. A quel festival di Sanremo del 1982, condotto da Claudio Cecchetto, nonostante il pezzo interpretato dal cappuccino si fosse classificato quarto, alle spalle di Soli, di Drupi, Felicità, di Albano e Romina e Storie di tutti i giorni, di Riccardo Fogli, divenne un successo clamoroso che vendette 2 milioni e mezzo di copie. A concedere il lasciapassare per la partecipazione del giovane, all'epoca ventinovenne, alla kermesse canora, fu padre Pasquale Rywalski, 69° ministro generale dell'Ordine dei frati minori cappuccini, con una raccomandazione: «Ragazzo, comportati bene». Monsignor Flavio Roberto Carraro, tuttavia, che nel corso del 1982 succedette a Rywalski diventando il 70° ministro, nel momento in cui al monaco si presentò l'occasione di esibirsi anche all'edizione 1983 del festival, fu di tutt'altro avviso. Accigliato dietro a una scrivania a Roma, il vescovo emerito di Verona rivelò al convocato: «Se vuoi restare in convento, a Sanremo non vai». Tornato al monastero di Santa Fara, il frate cantautore, dopo qualche tempo, comunicò ai superiori la sua decisione di sciogliere i voti, congedandosi dall'esperienza conventuale. E così, il 3 febbraio 1983, all'Ariston, con la canzone di pace Shalom, che si classificò 11ª, non si presentò più fra' Giuseppe, ma un ex-frate risoluto ad affrontare il mondo tentacolare delle case discografiche e degli agenti di spettacolo, preferendo veicolare il messaggio evangelico alle folle dei concerti anziché attraverso il riserbo degli austeri ambienti di un convento. Il destino volle che quello sia stato il suo ultimo Sanremo da solista, cui si aggiunse una partecipazione corale con il gruppo Squadra Italia all'edizione 1994, ma Giuseppe Cionfoli, nato a Erchie (Brindisi) nell'ottobre 1952, ha continuato a musicare e cantare i temi a lui cari, quelli della devozione. Il bilancio è di circa 25 dischi. Tra il 2020 e l'inizio del 2021 ha pubblicato 3 cd, raccolte di canzoni ciascuna delle quali ispirata a un messaggio della Vergine ai veggenti di Medjugorje. La barba, in gioventù fulva, ha assunto tonalità brizzolate, ma l'inconfondibile voce è rimasta la stessa, quella che conquistò gli italiani con Solo grazie. Nel 1988 sposò Loredana, che gli ha dato 3 figli (Samuele, 30 anni, Vera, 28, Consuelo, 27) e oggi è nonno di Jasmine, Stella ed Emma, l'ultima nata, 5 mesi. Chiusure permettendo, realizza concerti anche all'estero. In Australia è particolarmente richiesto. Vive a Bari. Come scaturì la sua scelta di farsi frate?«Ebbi sentori di vocazione quando in paese arrivò una missione di padri passionisti. Poi andai dal tabaccaio, che mi parlò di una gita a San Giovanni Rotondo. Di Padre Pio non sapevo nemmeno l'esistenza. Oggi gli devo tutto. Non avevo abbastanza soldi per unirmi alla comitiva. Parto invece per Francavilla Fontana (provincia di Brindisi, ndr), dove c'erano i frati minori francescani. Parlo col parroco, ma non arriva nessun incaricato delle vocazioni. Avevo sbagliato. Finalmente giunse padre Gerardo, dei cappuccini, quello giusto, e iniziò il feeling. Si chiamavano i fermenti. Io, prima, non andavo in chiesa. Nella mia famiglia non c'era una frequentazione cattolica. Pensavo a giocare a pallone ed ero appassionato di pittura. Sorsero problemi per questa mia nuova ricerca. Vivevo a casa di zii».Una situazione familiare complicata?«Mia madre, Immacolata (è morta 3 anni fa, ndr), era una ragazza madre e io figlio unico. Da giovane fece la fuitina con mio padre, vedovo e con problemi di alcol, allegro ma non violento. Lui ebbe figli dal precedente matrimonio, ma tutti morti. Mia cugina Maria mi accompagnava a scuola, e un giorno tentò di rapirmi. Fu mia madre a decidere di non sposarlo. All'anagrafe mi registrarono con il cognome di mamma. Lei andò a lavorare in Germania, in una fabbrica di chiavi inglesi. Tornava una volta l'anno, d'estate, con i treni degli emigrati. Mi mandava i soldi per studiare. Quando, il 4 ottobre 1978, si celebrò la mia vestizione, e io divenni fra' Giuseppe, non venne e ciò mi fece stare male».Rivide suo padre?«Sì, alcune volte. Abitava a Rozzano, in provincia di Milano. Aveva una tabaccheria».La vita conventuale come procedeva?«Feci il noviziato ad Alessano (provincia di Lecce, ndr) e poi, dopo la vestizione, fui destinato a Santa Fara, dove rimasi. Nel frattempo, giunse la chiamata al servizio di leva, in fanteria alle Casermette di Bari, e lì il capitano Arbore mi dette la possibilità di fare il primo anno di filosofia alla scuola di teologia dei frati cappuccini di Bari. Era il '76. Di giorno in convento e di sera in caserma. Dopo 2 anni di filosofia e 3 di teologia, nel 1981 ottenni il Baccellierato. Con il calcio continuavo. Ero il portiere del convento». Lineari i rapporti con i confratelli? «Mica tanto. C'era fra' Benedetto, il cuoco, che proprio benedetto forse non era, e c'era fra' Corrado, che andava e veniva da una casa di cura per problemi mentali. Un giorno si accorsero che mancavano posate e bicchieri. Fui accusato del furto. In realtà, poi si scoprì che era stato fra' Corrado a buttarli in una tomba del vecchio cimitero. Quando, per andare a giocare con una squadra, non chiesi l'autorizzazione per prendere l'auto del convento, successe un altro macello. Fui redarguito e decisi di appendere il saio nella mia cella. Dopo una settimana scrissi al convento, dicendo che intendevo tornare. Durante un allenamento il ginocchio sinistro manifestò un gonfiore. Mi chiamò padre Pancrazio, di cui è in corso il processo di beatificazione. Mi disse: “Se non torni, ti si gonfierà anche quello destro"». E quindi rientrò. Ma, oltre al debole per il pallone, amava cantare. «Andammo a un ritiro per il rinnovamento dello spirito al passo della Mendola. Padre Pancrazio mi chiese di fare un concerto, voce e chitarra. Le persone, ascoltandomi, si mettevano a piangere. Succede anche oggi. Ancora padre Pancrazio mi propose: “Perché non facciamo una cassetta con le canzoni della comunità?". Andai a Bari per registrare alla Cm in via Isonzo e, mentre canto il Kyrie Eleison, entra in sala il discografico e rimane colpito. Mi chiede se avessi canzoni per fare un Lp. Durante il noviziato ne avevo scritte alcune».Il grande pubblico la notò già nel 1981, a Domenica in, quando cantò il brano Nella goccia entra il mare. Da qui fu selezionato per Sanremo 1982.«Il mio discografico, Pasquale Cavalieri, Lino, stava raccogliendo incisioni da portare a Domenica in. Mi disse che il pacco era già pronto. Ma il mio disco non l'aveva preso. Era l'anno dell'anniversario della morte di San Francesco e così anch'io avevo una scusa per andare in televisione. Lo convinsi e il mio disco, fuori dal pacco, fu notato dalla segretaria di Pippo Baudo. Esclamò: “Che bel ragazzo". Cavalieri mi chiese anche 5 milioni. E come potevo darglieli se mia madre, dalla Germania, mi spediva 20.000 lire al mese? Il successo è stato una combinazione. Io volevo fare un disco con le edizioni Paoline. Non pensavo di esplodere in quel modo, lo giuro sulla mia vita».Quando monsignor Carraro la mise di fronte alla scelta, cantante o frate, oppose argomentazioni?«Dissi a padre Flavio di essere disposto a firmare un contratto dichiarando che nei concerti io predico. Ma fu irremovibile».A Sanremo giunse il successo. Come lo affrontò?«La notorietà fu così forte che le persone in auto, nel vedermi, tamponavano. Seppi che qualcuno, a casa, aveva fatto gli altarini con sopra la mia immagine. Troppo. Non avrei potuto fare la vita di Michael Jackson. A me piace fare la spesa». E quale fu la reazione della confraternita?«Quando finii su tutti i giornali, molti frati sostenevano che ero soltanto uno studente che sta con loro. Avendo detto di no al ministro generale, alcuni mi voltarono le spalle, ma non gli amici veri. D'altra parte, qualcosa si era rotto». E la fede?«Quella no. Anzi, si rafforzò. Solo grazie, no? Ringrazio Dio perché mi ha dato la vita. Sono partito da un piccolo paese per cantare a tutti e diventare una persona migliore». Come nacque Solo grazie? «Accadde al mare, a Torre Colimena (provincia di Taranto, ndr). La musica mi venne d'improvviso, così com'è, mentre mia zia Carmela stava mettendo il formaggio negli spaghetti. A livello mistico questi fenomeni si chiamano locuzioni intellettuali. La registrai in cassetta su un vecchio Grundig. Poi la dimenticai. Quando, a Domenica in, fui scelto per Sanremo, serviva una canzone. Ricordai quella cassetta e ne nacquero le parole». Quando conobbe la sua futura consorte?«Nel 1981. Mio suocero era il mio accompagnatore. Lei era testimone di Geova e le spiegai le differenze. Nell'82 è nato questo amore. Non c'era niente di nascosto. Mi confidavo con padre Matteo. Ci sposò il vescovo Valentini, nell'88, nella cappella privata della curia di Chieti».Con gli introiti dei suoi dischi ha aiutato il prossimo?«Con i dischi prendevo solo il 2% dei diritti, con i concerti di più. Alcuni incassi di esibizioni sono stati devoluti in beneficenza. Con don Vittorione ho fatto cose per l'Uganda. I primi soldi guadagnati servirono a far tornare mia madre dalla Germania».Secondo lei l'inferno esiste? Come se lo immagina?«Quando esaliamo l'ultimo respiro ed entriamo in un tunnel, in fondo vediamo la luce. Quella luce è Dio. Cos'è l'inferno? È sapere che quella luce non potrai rivederla mai più».Spesso ci chiediamo dove siano finite le anime dei defunti, dei nostri cari. «Quando mio suocero morì, mia moglie sentì il bisogno di avere notizie sulla sua anima. Ci recammo a Paravati, in Calabria, dalla grande mistica stimmatizzata Natuzza Evolo (1924-2009, la sua causa di beatificazione è in corso, ndr). Ci disse che si era salvato. Ma aveva bisogno di preghiere».La musica avvicina al divino?«Dipende da che musica è. Un rave party certamente no».
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