2025-08-04
Giulio Base: «Comprendo Giuda, ma non lo salvo»
Giulio Base (Imagoeconomica)
Il regista, tra poco al cinema con un film sul traditore di Gesù: «Ho studiato teologia all’Augustinianum di Roma quando il preside era l’attuale Papa. Mi piacciono le figure degli “sbagliati”, anch’io mi sento tale».Di Giulio Base sono stati tentati incasellamenti ideologici. I suoi film, tuttavia, più che dare risposte, fanno domande atte a disincrostare luoghi comuni. Un esempio è la sua ultima creazione, Il vangelo di Giuda, in anteprima alla 78ª edizione del Locarno Film Festival - dal 6 al 16 agosto 2025 - e nelle sale in autunno. Il regista, nato a Torino nel dicembre 1964, noto anche per aver conquistato Vittorio Gassman, con la figura del traditore per antonomasia fa un’operazione psicologica e sociologica, tentando di comprendere, partendo dall’infanzia, la genesi degli atti finali della sua vita terrena, nel gioco duro tra Bene, Male e Destino. Da due anni sei alla direzione del Torino Film Festival. La 43ª edizione, dal 21 al 29 novembre 2025, sarà dedicata a Paul Newman.«Ho voluto riportare la centralità della sala e abolire le masterclass, i concertini, i sottotesti… Anche grandi ospiti, grandi nomi, ma tutti in sala». Ricordiamo dove potranno essere visti i 24 film con il noto attore nato 100 anni fa?«Le sedi del festival sono due sale, il cinema Massimo, di fronte alla Mole, e il cinema Romano, nella splendida Galleria Sub-alpina, a poche centinaia di metri, in piazza Castello. Sei schermi in tutto». Dopo Albatross, che ora è nelle sale, Il Vangelo di Giuda. Giuda è ricordato per il tradimento a Gesù per denaro e per il suicidio nel giorno della crocifissione. «È un argomento che da sempre m’interessa e mi spinge a guardare nell’altrove. Le figure degli “sbagliati” m’incuriosiscono molto, perché tale mi sento anch’io. Mi sono interrogato su questa figura spesso messa all’apice della cattiveria e dell’infamità. Ma se tutto è nelle Scritture, quale colpa poteva avere, se tutto è scritto e segnato? Alla fine anche lui è stato uno strumento affinché Passione e Resurrezione avvenissero. Da questo punto di vista il povero Giuda mi ha sempre un po’ intenerito. Me l’ho chiedo anch’io tutti i giorni, anche se non tradisco. Ti rivolgi al Padreterno, “non potevi farmi un po’ meglio?...». Giuda, probabilmente figlio di una prostituta ingravidata da un cliente, uccide il tenutario di un postribolo che vuole violentarlo, diventa trafficante di donne. Poi incontra Gesù. Fonti storiche ma anche fantasia?«C’è molta fantasia, ma le fonti storiche, ossia evangeliche, sono mantenute. Nel corso dei secoli, in letteratura, è stato studiato e sviscerato. Uno degli spunti mi è stato dato dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze, un testo medievale. Riceveva l’idea che Giuda fosse figlio di una donna pubblica e Satana, fin da allora, si fosse impossessato di lui. Mi si è accesa una lampadina. Un uomo, figlio di una donna che si vendeva, che ha venduto un altro uomo. Ho cercato questo background per capire anche il torbido che lo possedeva». Come noto, tra i Vangeli gnostici o apocrifi c’è un Vangelo di Giuda. Hai attinto anche da questo documento? «Niente di diretto. È un testo scoperto di recente. Non è un protovangelo come quelli di Giacomo e Tommaso. Certamente vi è della gnosi forte. Vi ho colto una certa amicizia esoterica tra Gesù e Giuda, che nel film ho cercato di raccontare. Giuda si sente non solo il più vicino, ma anche l’eletto. In fondo il vero co-protagonista è lui. Avrebbe mai avuto il coraggio, Pietro, di fare una cosa del genere? Una cosa di fantasia del film, ma forse non troppo, è che fosse istruito, mentre gli altri erano tutti pescatori, analfabeti, che non conoscevano le Scritture. Forse per questo è nata questa comprensione gnostica ad alti livelli di alfabetizzazione tra Gesù e Giuda».È pertanto corretto dire che il tuo film sia un tentativo di immedesimarsi in questa figura per comprendere la genesi dei suoi gesti finali? «Assolutamente sì. È uno dei tentativi di capire Giuda, un po’ come il tentativo di dialogo in questi giorni sull’aberrazione della guerra. Quando ti fermi a parlare con qualcuno, anche il peggior assassino, non ti dico che hai un’empatia con lui, ma minimamente entri nella sua onda, lo capisci, perché soprattutto chi, come me, ha fede, sa che quello che fa un uomo lo fanno tutti gli uomini, come dicono le Scritture. Quindi ho cercato di mettermi nei suoi panni, nella complessità del dramma in cui si è trovato». Il suo suicidio, per impiccamento, è un conato di redenzione? «Purtroppo no. Fino a lì non arrivo, per lo stesso motivo per cui la Chiesa - ma anche Dante che, nell’Inferno, lo mette vicino ai peggiori - gli attribuisce non tanto la colpa del tradimento, da biasimare per carità, quanto la non possibilità di redenzione. Se Giuda fosse andato da Gesù e gli avesse chiesto perdono è evidente che lo avrebbe perdonato. È ciò che la Chiesa considera abbia tolto luce alla speranza».Riaffiora il ricordo di Karol Wojtyla che perdonò il suo attentatore. Nel cast del film la voce narrante, di Giuda, è di Marcello Giannini. E ci sono attori celebri, come Rupert Everett e Abel Ferrara. In Ferrara, regista del Cattivo tenente e di Occhi di serpente, ricorrono i temi di peccato, male, redenzione. Una scelta precisa per il contesto filmico?«Certamente sì, sono amante anch’io di questi film che citi. È forte nel cinema di Abel questo impulso-contraddizione del male, quest’uomo che, nel Cattivo tenente, quasi si disfa per amore di Cristo e per la distruzione che incontra. Tant’è che l’ho chiamato a fare Erode, un altro personaggio ambiguo, che si accoppia con la figliastra». Accanto alla laurea in lettere, colpisce che tu ne abbia conseguita anche una in teologia. «In teologia l’ho conseguita all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma, qui a due passi dal mio studio. Il preside di quegli anni era l’attuale Santo Padre, un agostiniano. La mia tesi è stata su Agostino. Dopo la laurea in lettere alla Sapienza lo studio mi mancava tantissimo e allora pensai “perché non faccio teologia?”. Nel giorno della seconda laurea papà mi disse “e la terza?”. Arrivato ai 60 ci sto pensando». Come definiresti il peccato?«Tradire sé stessi». Massimo Cacciari sostiene che «non c’è la morte, ma il morire». Il che equivarrebbe a dire: c’è la fine corporea e poi non si sa. Quale idea ti sei fatto?«Quando sogno l’aldilà cerco d’immaginare dove siano le persone a me care. Le percepisco come luci, energia, stelle, libere, incorporee ma anche molto presenti. Qualcosa che ha vedere con la Grande Intelligenza».Una visione filosofica osserva che, poiché la vita è soprattutto dolore e forse anche dopo la sofferenza ci attende, sarebbe meglio non essere mai nati. «La sofferenza anche dopo non appartiene ai miei pensieri. La teologia super-moderna dice che l’Inferno è vuoto e che Dio è talmente buono che perdona tutto. Non lo vedo un Dio cattivo che infligge dolore anche dopo la vita terrena. Almeno mi auguro di no!». Fra le numerose fiction Rai che hai diretto, c’è San Pietro (2005). L’apostolo Pietro, crocifisso dai Romani, chiese di essere appeso alla croce a testa in giù. In questo si può ravvisare in lui un senso di colpa, per aver rinnegato Gesù, assimilabile a quello di Giuda?«Come no. Il pensiero di aver anche lui tradito non lo faceva ritenere degno di avere una crocifissione come quella del suo Maestro e migliore amico, subendone una ancor più crudele».Antonioni, Fellini, Pasolini, Visconti. Quale, di questi quattro, preferisci?«Difficilissimo. Ma Fellini è quello che mi ha cambiato di più. Sto a Roma da 30 anni e con la città ho un rapporto di odio-amore. Come ha raccontato Roma Fellini non l’ha raccontata nessuno» Scena esilarante quella del film Caro diario (1993). Siete fermi a un semaforo. Tu in auto, Moretti in Vespa. Il vespista improvvisamente dice: «Io credo nelle persone, ma non credo nella maggioranza delle persone». E tu, mentre parti: «Va beh, auguri». In questo saltare i convenevoli, si può ravvisare una ricorrenza morettiana ma anche una nevrosi in cui ci possiamo riconoscere? «C’è anche questo. Come tutte le scene che diventano in qualche modo iconiche, e quella lo è - ho visto addirittura delle magliette che la riprendono - le interpretazioni si moltiplicano. Anche questa può essere una. Alcune scene dei film di Nanni diventano embrioni di qualcosa che nel futuro avrà uno spazio. Tipo: “Mi si nota di più se vengo o non vengo?”».
Sandro Mazzola (Getty Images)
Una foto di scena del fantasy «Snowpiercer» con Chris Evans e Tilda Swinton firmato dal coreano Bong Joon. Nel riquadro una tavola del fumetto