2023-06-19
Giuliano Panza: «La Terra non è in pericolo: in passato è stata più calda»
Il geofisico, accademico dei Lincei: «I modelli climatici non sono affidabili e nessuno si è posto il problema della loro falsificabilità. Nella scienza contano i fatti, non il consenso».«Quello del consenso non è un argomento accettabile. L’opinione di molti non equivale necessariamente a una dimostrazione scientifica. Anzi, se mi permette le cito un aforisma attribuito a Galileo Galilei: “Nelle questioni scientifiche, l’autorità di mille non vale l’umile ragionamento di un singolo individuo”». Vero, soprattutto se quell’umile ragionamento viene dal professor Giuliano Panza, già professore di geofisica all’Università di Trieste, titolare di cattedra «ad honorem» a Pechino, membro dell’Accademia dei Lincei dal 1987 e dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta «dei Quaranta» e già direttore del gruppo Struttura e dinamica non-lineare della Terra presso il Centro internazionale di fisica teorica di Trieste.Professore, lei ha aderito al Clintel, il think tank che sostiene che «non c’è un’emergenza climatica» e che contrasta la cosiddetta teoria Agw (Anthropogenic Global Warming), che addebita il riscaldamento globale all’azione dell’uomo, con le sue emissioni antropiche di CO2 connesse all’uso dei combustibili fossili. Alcuni esperti criticano le tesi del Clintel a priori, argomentando che nella fondazione «ci sono pochi climatologi».«La critica è insussistente. A parte il fatto che la climatologia è una scienza multidisciplinare, il problema è di metodo scientifico: chi si pone il problema della falsificabilità di ciò che viene asserito non deve essere necessariamente climatologo. Il fatto è che prima di tutto nel passato, quando l’uomo non poteva avere alcuna influenza sul clima, la Terra ha già vissuto climi come quello attuale e, in secondo luogo, i modelli climatici hanno dimostrato la loro fallacia». Perché i modelli climatici non funzionano?«I modelli climatici formalmente definiti sono certamente meritevoli di interesse ma, a causa della complessità del sistema e della limitatezza di dati affidabili, soprattutto a lungo termine, sono caratterizzati da forti incertezze. Attualmente non risultano sufficientemente sviluppati per consentire interpretazione e previsione dei cambiamenti climatici con soddisfacente affidabilità scientifica. Per farla breve, non hanno ricostruito il clima del passato, hanno fatto errate previsioni nel futuro, e non hanno ricostruito la temperatura della troposfera». La Dichiarazione mondiale sul clima non lascia spazio a dubbi: «Non c’è emergenza climatica». È un’affermazione in controtendenza con la narrazione ufficiale. Per quale motivo?«Perché gli esperti che ne fanno parte si sono posti il problema della falsificabilità dei modelli proposti. Mi spiego: per ogni modello non è importante accumulare evidenze a suo favore ma è importante cercare controesempi che lo possano mettere in crisi. Questo è il metodo scientifico utilizzato dagli scienziati del Clintel». La discussione sul riscaldamento globale sta infiammando la comunità scientifica e perfino l’opinione pubblica, in particolar modo dopo l’alluvione in Romagna.«Mi pare che il dibattito in corso evidenzi fortunatamente l’assenza di un consenso sulle sue origini. La Scienza non è democratica, affidarsi al consenso è un grave errore: bisogna guardare i fatti, che ci dicono che il pianeta è stato in passato caldo come e più di ora».Il professor Giorgio Parisi ha dichiarato che i cambiamenti climatici che hanno causato l’alluvione dipendono dalle attività dell’uomo «per via delle emissioni di CO2». Ma uno studio del World Weather Attribution in partnership con l’Imperial College non ha riscontrato evidenza scientifica in questo senso. «Invidio la sicurezza di Giorgio Parisi e sono desideroso di conoscere la sua critica al documento cui lei fa riferimento». Sono in molti a sostenere, viceversa, che l’alluvione romagnola sia stata causata dalla scarsa manutenzione del territorio. È d’accordo?«Sì, il problema riguarda la gestione complessiva delle acque, un bene prezioso e non illimitato. In Italia si sprecano quantità enormi di acqua dolce e sono urgenti opere per immagazzinare l’acqua piovana, cosa che, inoltre, mitigherebbe le piene. La Terra è un sistema praticamente chiuso e la quantità di acqua al suo interno è sostanzialmente costante, ma sovente mal conservata. Si tratta quindi non solo di manutenzione ma anche di prevenzione. Il mio timore è che l’attenzione al presunto problema climatico porti a distogliere risorse da altri concretissimi problemi che ci affliggono, massimamente sismici e idrogeologici, per restare nel campo della geologia».Parisi ha dichiarato anche che i «negazionisti del clima» sono «meno dell’1% degli scienziati del campo»: è corretta questa proporzione? «Già detto: il metodo scientifico non ammette quell’argomentazione. In ogni caso, essa è anche scientificamente falsa, come prova il fatto che più di 1500 scienziati tra geologi, geofisici, astrofisici, climatologi e chimici hanno sottoscritto la Dichiarazione mondiale sul clima. Questa storia della maggioranza nasce dalla lettura distorta di un’analisi che volle valutare, appunto, la porzione di articoli scientifici che sostengono l’origine antropica.Molti scienziati parlano di «surriscaldamento del globo terrestre». Cosa ne pensa?«Giornalisticamente parlando, il termine “surriscaldamento” ha un tono molto più drammatico di “riscaldamento” ed è efficace per chi vuole terrorizzare, ma è del tutto inappropriato. Si ha surriscaldamento quando non v’è possibilità di dissipare il calore. Ma un corpo celeste non può surriscaldarsi perché ha a disposizione tutto lo spazio cosmico verso cui emettere la radiazione termica e mantenersi pertanto in un regime stazionario o quasi. Insomma, si deve parlare di riscaldamento, ma non di surriscaldamento, terrestre».È possibile prevedere un’alluvione e, entrando più specificamente nella sua materia, pronosticare l’arrivo di un terremoto?«Alluvioni e terremoti sono entrambi manifestazioni della dinamica di un sistema complesso. Per quanto riguarda la previsione di un’alluvione, il collega Franco Prodi ha assicurato che è possibile, grazie ai sistemi radar ed entro tempi limitati ma spesso sufficienti a lanciare l’allarme: d’altra parte, evacuazioni preventive, ad esempio negli Stati Uniti, hanno ridotto sensibilmente i danni, soprattutto alle persone. Per quanto riguarda i terremoti posso certamente asserire che è errato dire che i terremoti “non si possono prevedere”; la realtà è che “non si possono prevedere con precisione”».Qual è la differenza?«Può sembrare minima ma non lo è. Se i terremoti non si possono prevedere, non resta che costruire in modo sicuro. Ma anche una progettazione adeguata richiede una descrizione realistica della pericolosità sismica, e oggi si considerano stime probabilistiche di pericolosità che si sono mostrate inaffidabili in molti casi (e.g. Emilia Romagna, 2012; Italia Centrale, 2016-2017). Ad ogni modo, se i terremoti “non si possono prevedere” gli amministratori possono giustificare l’assenza di una attività preventiva». E se invece «si possono prevedere, ma non con precisione»?«In questo caso è possibile, quindi necessario e doveroso per chi amministra, predisporre azioni preventive a medio termine, fra l’altro descritte schematicamente dall’Unesco già nel lontano 1977. Riemerge quindi il problema della prevenzione. Esperimenti di previsione a medio termine sono in corso da decenni a scala globale. Quello in corso in Italia lo ho descritto nel libro Difendersi dal terremoto si può. Come per il rischio di infarto, per i terremoti, invece di calcolare la probabilità di una scossa solo in base alla statistica (l’età e lo stile di vita di un paziente nel caso dell’infarto), si parte dai sintomi». Da dove bisogna cominciare?«Il punto di partenza sono le osservazioni sulla sismicità di una certa area e, da come evolve nel tempo, è possibile dire se una determinata regione, estesa centinaia di chilometri, è in uno stato di allerta: è il riconoscimento di tratti caratteristici nella sismicità che indica che su una grande area incombe, per esempio, un forte terremoto entro un anno. Tornando al clima, non si può combatterlo esattamente come non si può combattere contro i terremoti, sempre possibili, ma è necessario adattarsi a queste realtà con opportune attività di prevenzione. La prevenzione deve essere capace di produrre effetti tangibili di adattamento in un ragionevole lasso di tempo». Com’è possibile che la scienza cosiddetta «ufficiale» sia diventata così intollerante riguardo al dibattito scientifico, al punto che quelli che dissentono sono etichettati come «negazionisti del clima»?«Non esiste la “scienza ufficiale”. Direi che le parole che lei cita sono d’origine più mediatica che scientifica».Lei ha detto che «la scienza non è democratica»: non dovrebbe invece esserlo maggiormente, oggi che i decisori chiedono ai cittadini sforzi importanti e modifiche dei loro comportamenti (ad esempio rinnovare la casa per risparmiare energia, ma a spese loro) in nome di questa nuova ideologia o «religione del clima»?«Mi spiego: la scienza non è democratica nel senso che l’attendibilità scientifica di una congettura non può basarsi sul consenso tra gli uomini, non ha importanza quanti e di quale valore, ma su rigorose verifiche capaci di soddisfare il principio di falsificabilità. Insomma, quel che conta è il consenso tra i fatti. Nel metodo scientifico, sono i fatti gli ultimi giudici. I responsabili politici dovrebbero tener conto di questo».