2024-05-27
Giuliano Noci: «Il Green deal esalta le debolezze Ue»
Giuliano Noci (Imagoeconomica)
Il prorettore del Politecnico di Milano: «Su alcune tecnologie siamo troppo indietro, una transizione fatta a questa velocità ci mette nelle mani della Cina. L’Antitrust ci ha impedito di avere campioni europei».L’Europa è un vaso di coccio in mezzo ai due di ferro (Usa e Cina), cosa deve fare per ritrovare la compattezza politica necessaria e non rompere il vaso? Per Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, la Ue deve uscire dalla logica astratta ed essere concreta. Servono tre mosse: abbandonare subito il «gretismo» declinando la strategia green con modalità e tempi diversi; avere a cuore i diritti ma anche lo sviluppo industriale ed economico; cambiare la matrice culturale alla base dell’azione dell’Antitrust Ue che in passato ha più volte impedito, o quantomeno ostacolato, operazioni di fusione che avrebbero dato vita a campioni europei.Missione ambiziosa, quasi impossibile, professore… «Ma necessaria. Negli ultimi vent’anni in Europa abbiamo operato in modo sostanzialmente astratto e per certi versi non tenendo conto che l’Europa non è un sistema isolato ma un sistema aperto che interagisce con altri sistemi. È fin qui prevalsa una prospettiva volta a tutelare quelli che sono i diritti dei consumatori. Nessuno può negare che questo sia un principio sacrosanto, ma da solo non basta. Occorre preservare i diritti dei consumatori salvaguardando nel contempo la sostenibilità del sistema complessivo. Prendiamo il Green deal, si sono definiti degli obiettivi molto ambiziosi che erano certamente coerenti con un legittimo obiettivo di gestione del cambiamento climatico, ma che potenzialmente esaltano la grave debolezza dell’Europa su talune tecnologie».Tipo quelle relative allo sviluppo dell’auto elettrica?«Col Green deal abbiamo definito un obiettivo di uscita dal mercato dei motori endotermici nel 2035. Il motore endotermico è una tecnologia in cui l’Europa era leader, ma purtroppo sull’auto elettrica noi siamo molto indietro. Questo è un obiettivo che andrebbe gestito con una velocità diversa e sostenendo il sistema delle imprese con politiche formative. La stessa riflessione vale per il tema delle energie rinnovabili. È un obiettivo indiscutibile nel merito, ma con la velocità dei target definiti finiamo nelle mani di quel soggetto che si chiama Cina che sostanzialmente è l’unico player in grado di fornire impianti fotovoltaici e impianti eolici a prezzi ragionevoli. Col rischio di creare disoccupazione, perché le imprese perdono di competitività essendo sostanzialmente non all’altezza dei concorrenti che, in questo caso, sono cinesi. Non è un tema di obiettivi sbagliati. È la declinazione operativa di questi obiettivi che appare un po’ astratta. Non basta preservare la sostenibilità ambientale, vanno preservate la sostenibilità economica e la sostenibilità sociale».Si dice spesso che l’America innova, la Cina replica, l’Europa regolamenta. È d’accordo?«L’Europa non tiene conto del fatto che opera in sistemi che non necessariamente seguono le sue regole. Ad esempio, in nome del principio dell’antitrust si è bloccata la fusione tra Alstom e Siemens. Se si fosse trattato di operare in un unico sistema di riferimento la strategia sarebbe stata corretta perché tesa ad evitare la creazione di un oligopolio pericoloso. Ma la realtà è diversa. Gli altri player internazionali non seguono quel tipo di regole, quindi quell’operazione lì non andava bloccata in nome di un astratto principio di antitrust. Andava sostenuta, perché ci sono altri player che hanno scale nettamente superiori a quelle europee». Nello stoppare quell’operazione e nel rallentarne altre con continue richieste, penso alle nozze tra Ita e Lufthansa, c’è della colpa oppure del dolo, ovvero il tentativo di favorire gli interessi di uno Stato a scapito di un altro?«Io credo che ci sia una matrice culturale. Innanzitutto, generalizzare è problematico e poi è un tema ricorsivo ed è un tema cross industry che oggettivamente tocca gli interessi di tutti gli attori. Credo che ci sia una matrice ideologica astratta che non tiene conto oggettivamente delle condizioni di contesto. Prendiamo anche il tema dello scarso sviluppo delle tecnologie digitali. In Europa è evidente che una delle ragioni per cui le tecnologie digitali sono state sin qui poco sviluppate è che la Germania, in quanto Paese manifatturiero, ha detto: io esporto impianti legati alla manifattura e il digitale lo lasciamo agli americani. E questo ci riporta al punto da cui siamo partiti, ovvero che l’Europa non è un mercato unico, l’Europa è un’unione monetaria. Punto e basta. C’è una elevata frammentazione di mercato che rende molto difficile fare quegli investimenti su larga scala che sarebbero necessari per affrontare, ad esempio, la grande sfida dell’intelligenza artificiale di cui purtroppo in Italia si parla poco. E se se ne parla, lo si fa in termini drammatici quando in realtà è un fenomeno ineludibile che va gestito e può rappresentare una grande opportunità».Siamo alla vigilia del voto europeo di giugno, che impatto potrà avere?«La situazione di difficoltà potrebbe essere amplificata dalla campagna elettorale e dai suoi esiti. L’Ue è un vaso di coccio schiacciato da due vasi di ferro che sono Cina e Usa. Non è quindi detto che riesca a sopportare nei prossimi mesi e anni le tensioni. Intendo dire che le dinamiche in atto a livello tecnologico e a livello geopolitico sono dinamiche che rischiano di esaltare i punti di debolezza con penalizzanti logiche di frammentazione. Va trovata la capacità di passare da unione monetaria a unione di mercato e soggetto politico che condivide una serie di strategie. Il rischio grosso è che le tensioni siano talmente forti da far crollare l’architettura europea attuale. È proprio un tema quasi ingegneristico di dinamica dei sistemi. Come trovarsi in mare in mezzo a una tempesta con una barchetta».Chi festeggerebbe? Uno dei due vasi di ferro è la Cina. Di cui lei è assai esperto. «Evidentemente la Cina in qualche misura è un attore in commedia fortemente interessato ma in realtà noi qui abbiamo a che fare con la Russia, con l’Iran e con tutta una serie di Paesi e che hanno l’interesse in qualche modo che l’Europa si spacchi».E agli Stati Uniti fa comodo un’Europa debole? «Gli Stati Uniti non amano una Germania forte. Detto questo, io credo che l’Europa stia uscendo dai radar di interesse primario degli Usa. C’è uno studio che ogni anno fissa il baricentro economico del mondo. Il centro economico vent’anni fa stava nell’Atlantico tra Londra e New York, adesso è attorno al Mar Nero. Quindi si sta spostando verso est, ma la sensazione è che si sposti completamente dall’Atlantico al Pacifico. In questa logica, è chiaro che una Russia indebolita che guarda verso la Cina e l’Asia più che verso l’Europa è un acceleratore dello spostamento di interesse verso il Pacifico, che poi era già iniziato con Obama. L’Europa in questo momento è un’alleata della Nato e degli americani ma non è al centro, non è la loro priorità. Quella sta nel Pacifico, sta nella gestione dei rapporti con la Cina, sta nella gestione dei rapporti con i Paesi del sud est asiatico, del Giappone, dell’India. Senza dimenticare la questione israeliana e il Medio Oriente che chiaramente è tutt’altro che uno scenario secondario. Certo, presto ci saranno le elezioni negli Usa ma la vera differenza tra Trump e Biden al momento è che il primo eserciterebbe un’azione più muscolare e transattiva rispetto all’Europa. Quindi Trump sarebbe un fattore di ulteriore frizione e spinta alla frammentazione europea. Invece Biden cerca di essere, almeno a parole, più avvolgente anche se poi porta avanti politiche fortemente protezionistiche».Prima parlavamo della scarsa passione degli americani per la Germania, ma la Francia come si colloca tra i due vasi di ferro? «La Francia gioca su più tavoli e a seconda del tavolo farà la sua partita a poker. Macron è stato per certi versi il più filocinese degli europei. Io credo comunque che anche la Germania risentirà pesantemente del richiamo cinese. Loro hanno una esposizione di mercato talmente rilevante rispetto alla Cina che operazioni brutali di manovre protezionistiche saranno difficili da sopportare, metterebbero in ginocchio molte industrie tedesche, soprattutto quella dell’auto e soprattutto la Baviera. Così come la Francia, nelle relazioni da tenere con la Cina, non può prescindere da forti elementi di business. Ne cito due: il primo è Airbus, cioè questo colosso che sta in piedi per l’Asia dato che è lì che si comprano gli aeroplani. Il secondo è il lusso, la Francia ormai controlla il 40% dell’industria e quasi la metà del fatturato mondiale del lusso proviene da cinesi».Quindi la sintesi è che noi in questo momento abbiamo reso la Cina un interlocutore di mercato?«Un interlocutore molto rilevante da cui non possiamo prescindere perché noi europei, che siamo deboli, abbiamo bisogno di esportare. Necessariamente dovremo essere più assertivi, chiedere il rispetto di condizioni di reciprocità, ma non ci possiamo permettere di chiudere i ponti con la Cina perché è il portafoglio che non lo rende possibile». Questo vale anche per l’Italia?«Assolutamente. Siamo usciti dal memorandum sulla Via della Seta ma non possiamo rompere del tutto. Serve un dialogo strategico e quindi la presidente del Consiglio andrà a Pechino a luglio e in autunno volerà in Cina il presidente della Repubblica. Ci sono partite logistiche interessanti per l’Italia perché il nostro Paese è la porta sud dell’Europa. L’80% delle merci cinesi che va verso l’Europa viaggia via mare: in questo momento una parte non piccola va ad Amburgo e a Rotterdam, in altri porti quindi. Per questo uno sviluppo delle infrastrutture portuali finalizzato a rendere l’Italia la porta sud dell’Europa è secondo me centrale. E da questo punto di vista è centrale non soltanto rispetto all’Asia e alla Cina, ma anche rispetto all’Africa. Sento parlare poco di come l’Italia sia una piattaforma naturale nel Mediterraneo capace fare da snodo tra Europa e Pacifico ma anche da snodo cruciale verso l’Africa. Il piano Mattei servirà anche a valorizzare questo posizionamento naturale. Non sto dicendo che non se ne stia parlando, ma mi piacerebbe sentirne parlare molto di più».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.