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Giudici, maxi-stipendi, benefit e pensioni. La Corte Costituzionale ci costa sempre di più

Giudici, maxi-stipendi, benefit e pensioni. La Corte Costituzionale ci costa sempre di più

La Corte Costituzionale costa sempre di più

Spese in aumento, di circa un milione e mezzo, e stipendi che restano da capogiro per i 15 giudici della Corte Costituzionale. Con benefit di ogni tipo e specifiche voci, come quelle per le traduzioni. Questo è in breve il quadro che emerge dal bilancio di previsione appena pubblicato dall’organo di garanzia costituzionale.

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Una commissione farsa per i medici free vax
Orazio Schillaci (Ansa)
Il comitato voluto da Schillaci dovrà valutare in secondo grado se radiare definitivamente alcuni dottori che, sotto il Covid, avevano utilizzato protocolli alternativi. Ma la sentenza è scritta: saranno giudicati da coloro che li avevano già sospesi.

Il ministro della Salute ha messo in piedi un altro comitato che dovrà revocare. Dopo aver ceduto alle pressioni di chi non voleva due medici «no vax» all’interno del Nitag, il gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni, adesso Orazio Schillaci non può fingere che sia credibile un organo di giurisdizione speciale, con all’interno magistrati e medici «schierati» contro i dottori critici della gestione dell’emergenza Covid.

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Stellantis pensa di mollare l’Ue
Antonio Filosa (Ansa)
L’ad critica il piano che concede più flessibilità nell’addio al termico: previsti costi e complessità che non possiamo più permetterci, negli Stati Uniti meno vincoli.

Che a Stellantis la recente revisione del piano Ue sul Full electric non fosse piaciuto era risaputo. Ma ieri l’ad del gruppo, Antonio Filosa, ha spinto le critiche un bel pezzetto più in là fino a parlare di marcia indietro sugli investimenti nelVecchio continente.

Il manager sulle pagine del Financial Times ha respinto l’idea che l’Ue stia offrendo una «via d’uscita» credibile rispetto all’addio ai motori termici a partire dal 2035: per il top manager il pacchetto «non è all’altezza» e, soprattutto, «mancano del tutto le misure urgenti necessarie per riportare il settore automotive europeo alla crescita». La spiegazione non è solo ideologica: è industriale e riguarda la capacità del quadro regolatorio di trasformarsi in investimenti sostenibili lungo tutta la filiera.

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Stop al maggior sito di terre rare d’Europa. È più importante difendere i coleotteri
Ulefoss, in Norvegia (iStock)
Giacimento norvegese sospeso per tutelare le specie definite a rischio. Su auto e difesa resteremo schiavi della Cina a vita.

Non molte settimane fa, eravamo a fine ottobre, Ursula von der Leyen, in uno dei suoi rari slanci di visione strategica, aveva annunciato un piano europeo sulle terre rare. Il presidente della Commissione evidenziava che la liberazione dell’industria dell’Unione dalla dipendenza cinese era ormai la priorità delle priorità e che di conseguenza gli sforzi di tutti i Paesi dovevano convergere in quella direzione. Alla buonora. L’allarme sui materiali sensibili per produrre automotive, difesa e tech, è partito da anni. E il fatto che Pechino potesse vantare su circa un terzo delle riserve mondiali e che fosse parecchio avanti nell’estrazione e lavorazione di Neodimio, Samario, Itrio, Scandio e Gadolinio era risaputo. Insomma, è vero che la Von der Leyen si è svegliata, ma lo ha fatto dopo aver rovinato l’industria dell’automotive europea (tedesca, francese e italiana in primis) con il Green deal e quando ormai metterci una pezza è diventata un’impresa disperata.

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