2024-12-11
Le toghe ora s’inventano i migranti «radicati»
La sede della Cedu a Strasburgo (Getty Images)
La Cassazione ha annullato l’espulsione di un irregolare, in nome del rispetto della «vita familiare» stabilito dalla Cedu. Una forma di resistenza al governo giustificata dalla presunta superiorità delle norme europee. E che non si preoccupa di essere coerente.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di cassazioneÈ passata pressoché inosservata la recente decisione della prima sezione penale della Corte di cassazione n. 43082 del 26 novembre scorso che ha disposto l’annullamento con rinvio di un provvedimento con il quale, nei confronti di uno straniero extracomunitario soggiornante irregolarmente nel territorio nazionale, era stata ordinata l’espulsione in luogo dell’espiazione della pena detentiva che gli era stata inflitta per reati da lui commessi in Italia. La ragione dell’annullamento è stata costituita dal non avere il giudice preso in considerazione l’ipotesi che l’espulsione comportasse violazione dell’art. 8 della Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo) che annovera, fra tali diritti, quello al «rispetto della vita privata e familiare». Si sostiene, infatti, sulla scorta di talune, richiamate pronunce della Corte di Strasburgo, che rientrerebbe nel concetto di «vita privata» anche «la totalità dei legami sociali tra gli immigrati radicati e la comunità in cui essi vivono», per cui l’espulsione di un immigrato che comunque possa dirsi «radicato» nel territorio dello Stato ospite sarebbe da considerarsi illecita, siccome costituente un’indebita «ingerenza» nell’esercizio del diritto in questione. Si tratta di una decisione che avrebbe, in realtà, meritato maggiore attenzione, essendo la prima (a quanto è dato sapere) ad aver preso in esame la situazione creatasi a seguito dell’abrogazione, nel marzo del 2023, della norma che, nel 2020, aveva inserito, tra i divieti di espulsione previsti, proprio quello posto a tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, salvo il caso di prevalenti ragioni di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. Secondo la Cassazione la suddetta abrogazione non impedisce che debba comunque applicarsi l’art. 8 della Cedu, essendo stata questa recepita nel diritto interno, e che debba quindi continuarsi a ritenere vietata l’espulsione di stranieri «radicati», quando non risulti dimostrata una loro particolare pericolosità. È questo un ragionamento che sarebbe, di per sé, ineccepibile se non fosse inficiato, alla base, dalla mancata considerazione di un particolare di decisiva rilevanza: quello, cioè, costituito dal fatto che, se ci si prende la briga di esaminare in dettaglio le suddette sentenze della Corte di Strasburgo, si scopre che tutte indistintamente riguardavano casi in cui l’espulsione era stata disposta nei confronti di stranieri regolarmente soggiornanti, a vario titolo, nello Stato. Il che segna una radicale differenza rispetto al caso, esaminato dalla Cassazione, dell’espulsione disposta in luogo dell’espiazione di una pena detentiva, ai sensi del citato art. 16, comma 5, del Testo unico sull’immigrazione. È espressamente previsto, infatti, che tale norma si applichi solo nei confronti di stranieri già destinati all’espulsione in via amministrativa, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del medesimo Testo unico, in quanto irregolarmente entrati o trattenutisi nel territorio dello Stato. Si tratta, quindi, di soggetti che, in realtà, avrebbero potuto opporsi all’espulsione, invocando il loro preteso «radicamento» nello Stato, soltanto nel periodo in cui è stato in vigore il divieto di espulsione introdotto nel 2020 dal governo dell’epoca (a maggioranza giallorossa) dal momento che esso, al pari di tutti gli altri già previsti dall’art. 19 del Testo unico, era operante indipendentemente dalla circostanza che lo straniero soggiornasse regolarmente o irregolarmente in Italia. Ma, contrariamente a quanto ritenuto dalla Cassazione, l’intervenuta abrogazione, nel 2023, a iniziativa dell’attuale governo, del suddetto divieto, riportando «lo stato dell’arte» alla sola vigenza dell’art. 8 della Cedu, ha fatto sì che, proprio alla luce dell’applicazione che di tale norma è stata fatta dalla Corte di Strasburgo, essa non possa più essere invocata a favore di stranieri irregolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato nei cui confronti sia stato adottato un qualsiasi provvedimento di espulsione. E ciò tanto più in quanto, con specifico riguardo all’espulsione disposta in luogo dell’espiazione della pena, si consideri che la stessa, pur se finalizzata anche a ridurre il sovraffollamento carcerario, è chiaramente concepita come norma di favore per il condannato. A quest’ultimo, infatti, si consente di scampare all’espiazione della pena proprio imponendogli quella stessa espulsione alla quale (come si è detto), trattandosi di straniero irregolarmente soggiornante, egli sarebbe stato comunque soggetto, sia pure ad altro titolo. A inequivocabile conferma, del resto, che quella in questione sia essenzialmente una norma di favore sta il fatto che essa può trovare applicazione solo a condizione che la pena da espiare non sia superiore ai due anni e che non sia stata, comunque, inflitta per taluno dei reati ritenuti dal legislatore di particolare gravità. Il che si pone in assoluto contrasto con quanto invece affermato nelle pronunce della Corte di Strasburgo (alle quali ha inteso richiamarsi la Cassazione), secondo cui, nel doveroso bilanciamento tra le esigenze di tutela della collettività e il diritto di ciascuno al «rispetto della sua vita privata e familiare», la maggior gravità dei reati di cui uno straniero si sia reso responsabile è proprio quella che può rendere giustificabile la sua espulsione, pur quando egli possa dirsi «radicato» nello Stato ospite. Rimane, quindi, solo da osservare che la Cassazione sembra essersi associata al noto e diffuso indirizzo giurisprudenziale che, specie in materia di immigrazione, tende a neutralizzare l’effetto di norme derivanti da scelte politiche non condivise - nella specie, quella che ha portato all’abrogazione del divieto di espulsione introdotto nel 2020 - mediante il richiamo alla vera o presunta superiore autorità delle norme europee o dei trattati internazionali. Lo ha fatto con indubbia eleganza (come si conviene a una Corte suprema) ma il risultato appare, stavolta, tutt’altro che persuasivo.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
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