2025-03-29
Dalle cipolle al pane per finire ai...ticket: ecco il cibo giubilare
San Ludovico nutre i pellegrini in un polittico di Simone Martini (Getty Images)
I pellegrini nutrono l’anima ma pure il corpo. Nel Medioevo si portavano le bisacce. Oggi ricorrono alle carte prepagate.A Oddone, il santo abate di Cluny vissuto a cavallo tra nono e decimo secolo, mentre attraversava le Alpi in compagnia di un suo giovane discepolo, Giovanni da Salerno, per tornare in Francia dopo uno dei tanti pellegrinaggi a Roma, capitò di incontrare un povero vecchio, pure lui pellegrino sulla Via Francigena. A raccontare l’episodio è lo stesso Giovanni che, dopo la morte del maestro (942), scrisse la sua biografia, Vita Oddoni.La cronaca di quell’incontro è una preziosa testimonianza della santità di Oddone e di quello che mangiavano i poveri cristi durante i loro pellegrinaggi. Scrive Giovanni da Salerno che il vecchio, un contadino, nella bisaccia che portava a tracolla aveva pane, cipolle, porri e aglio. Praticamente tutta la puzzolentissima famiglia delle alliaceae. Mentre il giovane discepolo, nauseato, si allontanava da quel mefitico sacco, Oddone fece sedere il vecchio pellegrino sul suo cavallo, caricandosi in spalla il nauseabondo sacco e rimproverando il discepolo: «Possibile che tu ti ritrai schifato per l’odore del cibo che quest’uomo mangia?».Un salto di 11 secoli ci porta agli odierni pellegrinaggi giubilari. Nel novembre dello scorso anno, parlando dei lavori in corso a Roma per il Giubileo, Daniela Santanchè aveva stimato in 35 milioni i pellegrini attesi da tutto il mondo per l’Anno Santo. «Vengono per ragioni spirituali», aveva sottolineato il ministro del Turismo, «ma non dimentichiamo che sono anche turisti che hanno bisogno di diverse notti di pernottamento». Di dormire, ma anche di mangiare e bere: 35 milioni di persone corrispondono a 35 milioni di stomaci e a 70 milioni di gambe che hanno bisogno di rifornimento per mettersi in moto. Lo spirito è forte, ma la carne senza pappatoria è debole. Lo dice anche Frate Indovino: «Sacco vuoto non sta in piedi». Chi non mette qualcosa in pancia, pellegrina poco.Monsignor Franco Maria Giuseppe Agnesi, 74 anni, vescovo ausiliare di Milano, in un convegno preparatorio al Giubileo tenuto nell’abbazia cistercense di Chiaravalle (il posto giusto: qui, tra santi monaci, nacque nel 1135 il formaggio grana) è stato chiaro: «Il cibo nutre il corpo e l’anima». Il porporato ha sostenuto la tesi citando Gesù nelle vesti di cuoco: non fu il risorto che arrostì alcuni pesci e abbrustolì del pane per i suoi apostoli sulla riva del lago di Tiberiade? Non vanno letti, pure, così i due miracoli sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci? E il ritorno del figliol prodigo nel seno paterno non parla forse di perdono e accoglienza suggellati da succulenti porzioni di bue grasso? Alla fame dei pellegrini Roma si è preparata da tempo. Ristoranti, trattorie, pizzerie, bar, taverne, osterie, mense e refettori religiosi, paninoteche, bistrò… È qui che si mangia dopo aver nutrito l’anima tra un rito e l’altro, tra un mea culpa e una preghiera, tra un gesto di misericordia e una pratica spirituale. Non è cattiva cosa indurre i devoti a qualche peccatuccio di gola, ma è perverso approfittare del Giubileo aumentando i prezzi di amatriciane, caci e pepe, saltimbocca, trippe e carciofi alla giudìa. Ai profittatori, molti osti hanno risposto proponendo onestissimi «menù del pellegrino», «liste del Giubileo», «piatti dell’Anno Santo» con ottimi rapporti qualità-prezzo. Un patto tra Confcommercio, Vaticano e un’azienda specializzata che - un nome un destino - fa di cognome Pellegrini, hanno aggregato un bel po’ di locali (85.000 in tutt’Italia): «Gli amici del pellegrino». Qui i viaggiatori che arrivano nell’Urbe per attraversare le porte delle chiese giubilari impetrando indulgenze, oltrepassano le porte delle sale da pranzo con buoni pasto acquistati in Internet da 10, 20, 30 euro.Ma, ancora una volta, il vero alimento del Giubileo è il pane. Icona da sempre, il pane è il cibo simbolo del pellegrino fin dai viaggi devozionali più antichi. Il pane è il sostentamento del corpo ed è il simbolico nutrimento dell’anima. È vero che l’uomo «non vive di solo pane», ma è altrettanto significativo che Cristo si sia presentato come «il pane vivo disceso dal Cielo». Il pane è amicizia, è casa, è condivisione. È accoglienza. Un circuito di panifici nato in occasione del Giubileo ha chiamato proprio così, «Pane dell’accoglienza», una pagnotta gigante che si presenta con una vistosa Tau, la croce francescana fatta a T, sulla croccante superficie. Il Pane dell’accoglienza pesa un chilogrammo ed è l’alimento ideale da condividere in tanti.Legata a questa iniziativa è la cosiddetta «pagnotta sospesa», un gratuito segno di solidarietà. Il pellegrino affamato del pane nostro quotidiano trova la pagnotta sospesa in un cesto esposto nelle panetterie che hanno aderito all’iniziativa. È offerta da persone anonime - «Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra» - in segno di solidarietà verso i pellegrini giubilari. Uno acquista due pagnotte, ne tiene una per sé e per chi sta con lui e una la mette nel cesto. Anche questo gesto è una moltiplicazione dei pani. Un segno di fratellanza giubilare.Il mangiare dei viaggiatori della fede è un tema affascinante che da saecula saeculorum intreccia religione, culture, usi, costumi e tradizioni diverse. Lungo la via Francigena e le altre vie romee che portavano a Roma, lungo i cammini devozionali e penitenziali verso Santiago di Campostela o ai luoghi di culto dei martiri, ai santuari dedicati a San Michele Arcangelo, sugli itinerari per terra e per mare verso la Terra Santa, sia in andata che in ritorno, l’umanità itinerante per fede, per speranza o per impetrare aiuti dall’Alto, si incrociava, s’incontrava, fraternizzava. E si scambiava cultura, ma anche consuetudini, gusti e sapori gastronomici. Erano pellegrini provenienti dai luoghi più disparati e appartenenti a ogni classe sociale, persone di abitudini alimentari diverse: miserabili, poveracci, monaci e abati, preti e vescovi, contadini, soldati, nobili e ricchi borghesi. Anche re e regine, eminenze e papi, poeti, scrittori, filosofi. Logico che tutta questa gente portava nei tascapani, nelle bisacce, nei sacchi generi alimentari diversi. I potenti, la bisaccia, la facevano portare ai servi. Massimo Montanari, storico dell’alimentazione, docente all’Università di Bologna, intervenendo al convegno «Mangiare in viaggio», in una magistrale lezione ha detto, parlando del pellegrinaggio nella storia, che il pellegrino di per sé non esiste. «Esiste il pellegrino contadino, esiste il pellegrino monaco, esiste il pellegrino signore e ciascuno di essi mangia quello che il suo ceto sociale suggerisce o impone, in un mondo in cui l’alimentazione era il primo strumento per manifestare le differenze di classe, il prestigio, la ricchezza, il potere».Nella bisaccia del comune homo viator c’era, prima di tutto, il pane: nero, fatto con farine di cereali poveri mescolate tra loro: segale, farro, crusca di frumento. A queste farine si mescolavano anche farine di legumi, come le fave, o di frutti, come le castagne. Era il «pane della penitenza» che per i poveri cristi era il pane abituale visto che la penitenza la facevano tutti i giorni, anche quando non erano in pellegrinaggio. Nei tascapane o nelle borse, sempre secondo lo stato sociale del pellegrino, si metteva anche frutta secca, formaggio, carne essiccata. Nello zuccotto o nella borraccia acqua o vino. I cibi dovevano essere di lunga conservazione, facilmente trasportabili da chi camminava per tutto un giorno. I cibi freschi erano legati alla stagione in cui si svolgeva il pellegrinaggio.Col passare dei secoli, lungo gli itinerari dei pellegrinaggi si moltiplicarono i luoghi di ristoro: bettole, taverne, dimore isolate, romitori. I monasteri e i conventi furono tra i primi ad aprire refettori e mense dove i pellegrini potevano trovare piatti caldi e riposo.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)