2025-02-20
Giro di droga tra albanesi e nigeriani. Base dello spaccio: il centro rifugiati
L’ex Sprar di via della Riserva Nuova, alle porte di Roma, era il luogo di stoccaggio e ripartenza della merce, che viaggiava sui mezzi di trasporto pubblici. A smistarla erano richiedenti asilo con permesso di soggiorno.A Roma la droga importata dagli albanesi viaggiava sui mezzi pubblici col visto umanitario. Con un interporto in una zona particolarmente strategica, sulla Prenestina, alle porte della Capitale: il Cas di via della Riserva Nuova. Un centro per richiedenti asilo trasformato in deposito e quartier generale dello spaccio, che immagazzinava il flusso continuo di marijuana che arrivava da Valona prima delle spedizioni per il mercato europeo. I richiedenti asilo nigeriani, alcuni con contatti diretti con esponenti della mafia cultista degli Eiye, potevano contare su un permesso di soggiorno in tasca e mobilità garantita sul territorio nazionale. Gli albanesi, invece, avevano addirittura una rete social. Pubblica. «Dall’analisi di Facebook», scrivono gli inquirenti, anche tramite il «Sistema automatico di riconoscimento immagini», «si evince come tra le amicizie presenti vi siano diversi soggetti appartenenti al sodalizio criminale di matrice albanese». Le organizzazioni smantellate con l’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Roma ieri mattina, infatti, sono due: una nigeriana e una albanese. Con 27 arresti (20 in carcere e sette ai domiciliari) tra Italia, Albania e Spagna. E 900 chili di marijuana, oltre a 90.000 euro in contanti, sequestrati durante la fase delle indagini. Gli investigatori hanno documentato i viaggi dei corrieri: partivano dall’autostazione Tibus, accanto alla stazione Tiburtina, confusi tra i passeggeri dei pullman diretti in tutta Europa. Le società di trasporto, ignare, diventavano inconsapevoli vettori della droga. I nigeriani, poi, avrebbero gestito la piazza con metodi spietati: estorsioni, minacce, violenze. E per difendere il business gli sgherri avrebbero potuto contare anche sulla disponibilità di armi. Le accuse contro i 27 arrestati sono pesantissime: associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio, estorsione, porto abusivo di armi da fuoco e intestazione fittizia di beni. Frasi in codice e pronunciate non in un perfetto italiano. Così il gruppo di spacciatori albanesi, denominato «Nettuno», prendeva accordi con i nigeriani per l’acquisto della marijuana: «Ciao fra’ a che ora vuoi che ti porto lavoro oggi?». E la parola «lavoro», per indicare la droga, ricorre spesso nelle pagine dell’ordinanza. Alcuni sms, nonostante il contenuto non fosse sempre facile da interpretare, risultano emblematici rispetto alla ricostruzione dei traffici. Le bande si accordavano sugli orari e sui quantitativi: «Qualcuno mi ha appena chiamato in questo momento ha bisogno di 7 lavoro, ha soldi in contanti, sarai in grado di essere qui entro le 22 di stasera?», diceva uno dei nigeriani, che poi ribadiva: «Te l’ho detto prima voglio vedere questo lavoro prima se funziona bene e il mio amico mi ha chiamato ora ha bisogno di 7 lavori stasera». I contatti erano continui. Come le richieste di droga. I due gruppi «avevano instaurato», secondo il gip, «una vera e propria joint venture». Anche se, non sempre, la qualità dello stupefacente era delle migliori. E quindi i nigeriani si lamentavano. Uno dei sodali scrive al referente del gruppo dicendo che l’acquirente si era lamentato: «Aho insomma che fai perché lui mi sta dicendo il lavoro non vale niente, vieni a prenderlo indietro... tu dicesti che era buono». Ma la replica è immediata: «Ehi, però era buona dai, non era cattiva». Proprio le lamentele sulla qualità della droga fanno capire agli inquirenti che la cessione dello stupefacente c’è stata. E seguendo passo dopo passo gli spostamenti di Muhammed, uno degli immigrati che viveva nel Centro di via Riserva Nuova, i carabinieri hanno scoperto che era lui a contattare gli albanesi per recuperare l’erba. Quando arrivavano gli albanesi le loro auto si fermavano proprio nelle vicinanze del Centro d’accoglienza. Sono così arrivati i riscontri: al primo messaggio «scendi», Muhammed rispondeva sempre «sto qua». Spesso lo scambio avveniva con il supporto degli italiani, arruolati, però, solo come bassa manovalanza. In altri casi le intercettazioni sembrano ricalcare il lavoro dei rider da pony express (sempre in un italiano improbabile): «Quanto minuti ce volte per arivare? Chiamato e lui sta sul posto». Risposta: «Dici di aspettare a casa […]. Dici lui apri la porta tra 3 minuti arivo». Proprio come le descrizioni per individuare l’acquirente con certezza: «Frate’ lui ha messo cappello militare, sta con bicchiere di plastica in mano». «L’assenza di inserimento sociale dei soggetti ospitati in strutture di accoglienza», valuta il gip, «rende dunque facilmente arruolabili gli stessi a opere di associazioni per delinquere spregiudicate, in grado di reperire e spostare nel territorio nazionale ingenti quantità di sostanza stupefacente». E spesso l’avrebbero fatto per pochi euro. «Particolarmente inquietante», secondo il gip, sarebbe «la circostanza che» Johnson, uno dei presunti narcotrafficanti, «si avvalga, per poche decine di euro, delle condotte di connazionali del Centro di accoglienza per rifugiati, da utilizzare come corrieri per smistare lo stupefacente al fine di approvvigionare le piazze di spaccio allestite dall’organizzazione criminale nigeriana». Quando qualcosa andava storto c’era chi passava alle minacce: «Amico mio, tu devi pagare i soldi. Te lo giuro che vengo a fottere chiunque. Te lo prometto! Ho dieci cugini a casa mia, vedrai... nessun problema. Non chiamare, ti troverò».