2024-09-03
I detenuti gli tirano bombole incendiarie, Moussa trasferito. Il gip: «Non è pazzo»
L’assassino di Sharon Verzeni ripete: «Volevo fare male a qualcuno». Si era esercitato accoltellando una sagoma di cartone.In attesa che Elly Schlein, segretario del Pd, ci faccia sapere se la morte di Sharon Verzeni è un femminicidio e se esiste un patriarcato di colore, e aspettando la mobilitazione delle femministe anti-maschio bianco, si lavora per far passare come pazzo Moussa Sangare. Tentativo frustato da una prima valutazione del giudice per le indagini preliminari. Ma Moussa ci prova. Ieri però a tarda sera è stato disposto il suo trasferimento in un altro carcere per ragioni di sicurezza. Nonostante a Bergamo stesse in una cella da solo, gli altri detenuti hanno cominciato a bersagliarlo con bombolette incendiare. Eppure lui è italianissimo, ma di origine africane. Ha 31 anni senza fissa dimora visto che viveva in una casa occupata, aspirante sia rapper che cocaina, e nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d’Isola ha ammazzato la ragazza. Perché lo ha fatto? Glielo ha chiesto ieri il gip di Bergamo Raffaella Mascarino che lo ha interrogato per quasi due ore, prima del trasferimento forzato, nel carcere di Bergamo dove il reo confesso era rinchiuso. Ha ripetuto: «Non so perché l’ho fatto, non c’era un movente». L’avvocato Giacomo May, che lo difende, ha riferito che Moussa ha spiegato: «Avevo questa strana sensazione, volevo fare del male a qualcuno». Nel corso dell’interrogatorio Moussa Sangare ha cercato di apparire confuso, si faceva ripetere le domande. Ma la dottoressa Mascarino si è fatta un'altra opinione. Ha convalidato il fermo in carcere per Sangare per omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, ma ha aggiunto: «Se pure le motivazioni addotte dall’indagato in ordine alla spinta che ha portato a commettere il fatto di sangue possono destare qualche perplessità in ordine al suo stato mentale, nel momento di compiere l’omicidio però la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti precedenti al delitto [...] e anche gli accorgimenti dei giorni seguenti evidenziano uno stato mentale pienamente integro». Nel corso dell’interrogatorio il ragazzo di colore ha ammesso di fare uso di droga, ma di non essersi «fatto» la sera dell’omicidio, ha confermato anche di vivere di espedienti e di piccoli lavoretti anche in ambito musicale. Quella sera secondo lui non gli è scattato l’«X factor» – aveva provato a entrare nel famosissimo talent show televisivo come rapper – ma il «V factor»: V come Verzeni, V come voglia di fare del male. Ha spiegato di essersi liberato del coltello il giorno dopo il delitto e di aver gettato gli altri che aveva nei giorni successivi, ma di non aver mai pensato di fuggire. Da quanto si è appreso dagli inquirenti a casa di Moussa Sangare è stata trovata una sagoma di cartone con cui si esercitava al lancio dei coltelli e lui stesso ha ammesso di aver fatto le prove generali della mortale aggressione alla povera Sarah su una statua di donna in un parco. L’avvocato Giacomo May ha spiegato questo racconto del suo assistito con la volontà dell’indagato di farsi vedere collaborativo e per arrivare alla richiesta di un consulto medico-psichiatrico che ne accerti le condizioni mentali. A margine dell’inchiesta va registrato che il Codacons ha presentato alla procura di Bergamo – la stessa che indaga sulla mortale aggressione a Sharon Verzeni – un esposto contro il sindaco, i servizi sociali di Terno di Isola e contro la Asl. Sostiene il Codacons che bisogna indagare per concorso in omicidio premeditato al fine di chiarire le responsabilità attorno alle tre denunce fatte dalla sorella di Moussa e alle lettere inviate la Comune in cui si affermava che il ragazzo faceva uso di droga, aveva comportamenti violenti e maltrattava la sorella e la madre. Sullo sfondo resta poi la polemica politica. Ieri l’eurodeputato del Pd Dario Nardella ha insistito: «Matteo Salvini ha denunciato questo omicidio tenendo a dire che il presunto assassino è uno straniero quando in realtà è italianissimo, allora che c’è da dire sul triplice orribile fatto di sangue di Paderno Dugnano dove un diciassettenne ha sterminato la famiglia?». Il parallelo – che non è nei fatti – tra l’uccisione di Sharon e la strage di Paderno è diventato il tormentone nei «salotti» televisivi da parte della sinistra mentre il deputato Arturo Scotto, sempre Pd, riferendosi al segretario della Lega ha detto: «Salvini si conferma un brutto ceffo». Ogni volta però che c’è – purtroppo – l’assassinio di una ragazza italiana a opera di un immigrato di colore o anche di un italiano di seconda generazione il coro della sinistra tace sulla violenza alle donne, sulle motivazioni razxiali. È successo così con la povera Pamela Mastropietro – la diciottenne fatta a pezzi a Macerata – dal nigeriano Innocent Oshegale. Allora il Pd si rifiutò di parlare di femminicidio. Lo stesso accadde con la povera Desiré Mariottini ammazzata al Testaccio. Eguale silenzio c’è attorno all’orribile morte di Sharon Verzeni. Viene quasi da pensare che quando da parte della sinistra si parla di ius sanguinis non ci sia certezza sulla traduzione.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)