2025-01-12
Giovanni Bazoli, il finanziere «bianco» che sussurra a Dio
Giovanni Bazoli (Imagoeconomica)
Quando gli fu affidato il Nuovo Banco Ambrosiano, qualcuno si chiese: «Chi è costui?». La Provvidenza stava già lavorando, offrendogli la «pietra» su cui ha edificato la sua chiesa, Intesa Sanpaolo. E da cui continua a bisbigliare ai santi in Paradiso.Cognome e nome: Bazoli Giovanni Battista.Come Giovanni Battista Montini, nato a Concesio, alle porte di Brescia, futuro Paolo VI.Il cui fratello Ludovico era socio - con Gianni Martinazzoli, fratello di Mino - nello studio legale del padre di Bazoli, Stefano, deputato Dc alla Costituente e poi in Parlamento.A sua volta figlio dell’avvocato Luigi, tra i fondatori del Partito Popolare di Luigi Sturzo.Bazoli, 92 anni, è presidente emerito di Banca Intesa Sanpaolo, che ha salutato il 2024 al primo posto nell’Eurozona, quanto al valore di Borsa: 69 miliardi, contro i 67 della spagnola Santander e i 66 della francese Bnp Paribas.Brescia. La fede cattolica. Lo scudocrociato. La finanza «bianca» opposta a quella «laica».Entrato 51 anni fa nel consiglio di amministrazione della Banca San Paolo di Brescia, su quella «pietra» Bazoli ha poi edificato la sua «chiesa», la superbanca figlia della fusione, nel 2007, tra Intesa e Sanpaolo Imi, istituto di credito torinese con il miglior portafoglio crediti del Paese. Imponendosi come il deus ex machina di operazioni di successo, anche attraverso «incroci» con personalità dal carattere e stile diversi dai suoi. Gianni Agnelli, l’Avvocato. Enrico Cuccia, il siciliano padre padrone di Mediobanca.Romain Zaleski, finanziere francese cattolico di origine polacca.Cesare Geronzi, collega banchiere, cattolico anch’egli.Ma di rito romano-andreOttiano.Bazoli è invece di rito montiniano-andreAttiano, dato il legame con Beniamino Andreatta, leader della sinistra Dc, morto nel 2007, il demiurgo dell’Ulivo, la coalizione di centrosinistra che nel 1996 batté il centrodestra di Silvio Berlusconi.Andreatta indicò come guida Romano Prodi, ma avendo nel cuore, come federatore, l’amico Bazoli. Che gli rispose sempre di no, preferendo essere il «banchiere di Dio».Definizione che respinge: «Non mi sono mai sentito neppure banchiere. Uno è ciò che ha studiato, e io sono un giurista». Piuttosto, ha chiarito ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, «visto che si parlava di Michele Sindona e di Roberto Calvi come di “banchieri cattolici”, volevo dimostrare che un cattolico si può occupare di finanza in modo corretto».Grazie anche alle «relazioni», che contano «negli affari come nella vita».Poi, certo, «possono essere buone o cattive. E vanno giudicate per questo».Nel 1982 il governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, e Andreatta all’epoca ministro del Tesoro, gli affidano il Nuovo Banco Ambrosiano dopo il «suicidio» di Calvi.«Bazoli, chi era costui?» si domandò più d’uno.Il Carneade bresciano rimarrà tale per poco. Si deve liberare - causa direttive della Banca d’Italia: fuori le banche dai giornali - del gruppo Rcs-Corriere della Sera, infiltrato dalla P2 come il Banco, finito in amministrazione controllata.Come fu, come non fu, irrompe sulla scena la Fiat, a capo - attraverso la controllata Gemina - di una cordata, insieme all’imprenditore Giovanni Arvedi, la Montedison di Mario Schimberni («imposto a Bazoli da Bettino Craxi», Cesare Romiti dixit) e alla Mittel, società di cui era presidente lo stesso Bazoli. Racconta nel 2007 Pier Domenico Gallo - suo uomo di fiducia, direttore generale del Nba dall’82 all’87, nel libro Intesa Sanpaolo: c’era una volta un «fantasma inesistente» - che Bazoli si chiese come Lenin: che fare? S’interrogò cioè «sull’opportunità che la finanziaria da lui presieduta facesse parte del gruppo dei compratori di Rizzoli, essendo il Nba venditore: un classico problema di conflitto d’interessi». Risultato? La presidenza fu affidata pro tempore al costituzionalista Paolo Barile, per poi essere restituita a Bazoli, e oplà: scoglio bypassato. Agnelli & Co. mettono sul piatto 90 miliardi tra il 1984 e il 1986 per aumenti di capitale, ma quando nel 1987 cedono il 10% del gruppo ai francesi di Hachette, ne incassano... 90. Per un valore di Rcs pari a 900 miliardi, addirittura 2.700 miliardi nel 1992. Altro che amaro calice.Il «boccone del prete», piuttosto (Giampaolo Pansa, in Questi anni alla Fiat, 1988: «Molti sostengono che la Rizzoli sia stata venduta per un tozzo di pane. Quanti miliardi ci ha messo la Fiat?». Replica di Romiti: «Sarebbe un calcolo distorto e senza molto senso, la Fiat ha una partecipazione indiretta, attraverso Gemina», e ciccia).Perché Bazoli e Cuccia entrano in rotta di collisione? Perché Cuccia ad Agnelli aveva sconsigliato il rientro in Rcs (il Corriere era già stato suo).Perché Bazoli realizza la prima concentrazione bancaria italiana, Ambroveneto, fusione tra Nba e Banca cattolica del Veneto, che Cuccia immaginava nell’orbita di Generali.Ma quando Ambroveneto nel 1997 punta Cariplo, la più grande cassa di risparmio del mondo, i duellanti siglano la pace. Bazoli aveva appena perso, in un incidente d’auto, il suo unico fratello Luigi, che lasciava quattro figli già orfani della madre Giulietta Banzi, una delle vittime della bomba neofascista in piazza della Loggia, a Brescia, nel 1974. Per questo, confidò Bazoli a Cuccia, non se la sentiva di «guerreggiare»: se Mediobanca avesse appoggiato la controfferta di Comit, la Banca Commerciale, per Cariplo, lui si sarebbe tirato indietro. Ma Cuccia lo spiazza: «Tre giorni fa è morta mia moglie, dopo 60 anni di matrimonio. Non è il caso che le dica che capisco tutto. Vada avanti». Così, viene benedetta da Cuccia anche la successiva impresa bazoliana: la presa proprio di Comit. E Zaleski? «Prima salva Bazoli, poi viene egli stesso salvato e ora è lui a mettere nei guai il proprio mentore», scrive nel 2013 Stefano Cingolani sul Foglio.Rewind. Per arrivare alla nascita di Ambroveneto, aggirando le manovre di Cuccia, serviva un alleato. Ecco il dono dal Cielo: il soccorso del Crédit Agricole. Cingolani individua il tramite con i francesi in Zaleski, che conosceva Bazoli avendo rilevato la Carlo Tassara, azienda siderurgica con sede a Breno, in quel di Brescia.Zaleski diventa «azionista importante, oltre che di Intesa, anche di Ubi, Montepaschi, Mediobanca, Generali».Quindi lo stop. Sull’orlo del fallimento, la Carlo Tassara è salvata dall’accordo con i creditori.Spiega nel 2013 a Fabio Tamburini del Corsera Pietro Modiano, dal 2008 presidente della medesima Carlo Tassara: Zaleski era «esposto» per due miliardi di euro, un miliardo e mezzo solo con Unicredit e Intesa Sanpaolo. Però.Bazoli ha avuto un ruolo nel salvataggio? «Zero. Mai stato presente alle trattative. Nei miei cinque anni lì, non ho mai parlato con lui di Tassara o Zaleski».Tutto è bene ciò che finisce bene. Come il processo, con l’accusa di ostacolo alla vigilanza nell’ambito del «risiko» per la nascita di Ubi Banca nel 2007: assolto con formula piena, in primo grado e in appello.«Terribile: mi hanno pedinato come un malfattore, sono stato intercettato». Al telefono con Mauro, per esempio, nel 2014.C’è da nominare il direttore del Corriere.Quello di Repubblica esterna il suo mal di pancia a Bazoli, che - via Intesa - è editore (non unico) del quotidiano: «Se tu lo tieni in mano (il giornale, ndr), io sono tranquillo». Come mai? Per «impedire delle porcherie», ovvero «una scelta sciagurata per il Corriere dal punto di vista della democrazia». Dialogo singolare, quello tra due autorevoli esponenti di gruppi concorrenti, anche alle spalle di altri soci Rcs, tipo Diego Della Valle, che «ha fatto attività di destabilizzazione, è uno talmente spregiudicato» commenta in un’altra telefonata Bazoli con John Elkann.Da ultimo, la liaison tra Belzebù Geronzi e «Abramo» (copyright Dagospia) Bazoli, bollati da Della Valle - in modo irriguardoso - «arzilli vecchietti» da accompagnare ai giardinetti.Nel libro-intervista con Massimo Mucchetti, Confiteor, Geronzi annota: trovai Bazoli «disgustato da tanta protervia». I due hanno concertato spesso e volentieri, come per il ritorno di Ferruccio De Bortoli alla direzione del Corriere nel 2009.Anche in chiave anti Carlo Rossella, nome proposto da Luca Cordero di Montezemolo e Della Valle, sottoposto pure al premier Silvio Berlusconi, «cui spiegai» sottolinea Geronzi «che non si poteva imporre al Corriere un manager di Mediaset» (Rossella era presidente di Medusa, cioè delle produzioni cinematografiche del gruppo). Montezemolo chiese a Geronzi di essere accompagnato da Bazoli. Certo, lo rassicurò con perfidia: «Lasciai che Montezemolo andasse a schiantarsi contro il no del Professore».Infine, quando Geronzi (Capitalia) e Bazoli (Intesa), si misero a ragionare di un possibile «matrimonio», l’a.d. di Capitalia Matteo Arpe decise di acquistare il 2% di Intesa.Un bastone tra le ruote del progetto, secondo il Sole 24 Ore. «Chiesi a Bazoli che cosa fare con Arpe. E lui: “Ti mando Corrado Passera” (a.d. di Intesa). Che venne a casa mia per comunicarmi: “Temo sia arduo trovare uno spazio per Matteo”», e tanti saluti ad Arpe. Che aveva peccato di presunzione.E non aveva abbastanza santi in Paradiso.Si sa: senza una qualche forma di protezione divina non si va da nessuna parte. Ha confessato una volta Bazoli: «Senza la Provvidenza non avrei fatto nulla». Amen.
Susanna Tamaro (Getty Images)
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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