2022-08-13
I giornalisti di Rai dem si mettono l’elmetto
Carlo Fuortes, ad Rai (Imagoeconomica)
Dopo gli svarioni di Elisa Anzaldo sui «peccati» di Giorgia Meloni, è la volta di Giorgio Iacoboni che attacca il duo Calenda-Renzi: «Chi li vota non sta bene, corra dal medico». Perché l’ad Carlo Fuortes tace? Il sindacato, invece, interviene secondo convenienza.«Chi vota Renzi e Calenda non sta bene». «Nel caso ci steste pensando ditelo al medico, vi curerà da questa grave forma di masochismo». Firmato Giorgio Iacoboni, giornalista Rai. Ormai è un rosario, ogni giorno la corona viene sgranata da nuovi fedeli del servizio pubblico ai piedi del Nazareno. Se si votasse a Saxa Rubra e a viale Mazzini il Pd vincerebbe con il 90% delle preferenze con qualsiasi legge elettorale. Come diceva il leggendario Mirello Crisafulli: «Vincerebbe anche con il sorteggio». Però c’è un problema: chi paga lo stipendio alla Curva Sud dem non è Enrico Letta ma il contribuente italiano, il reprobo senza nome che potrebbe ritenere interessante votare Giorgia Meloni o Bruno Tabacci, Giuseppe Conte o Maurizio Lupi. O perfino uno dei due sintomi della malattia, Matteo Renzi e Carlo Calenda.Non manca giorno in cui la più sbilanciata e imbarazzante Rai della storia - quella di Carlo Fuortes ormai asserragliato nel suo ufficio al settimo piano - dia il peggio di sé. Dopo gli svarioni di Elisa Anzaldo («Di peccati della Meloni ce ne sono sono tanti altri»), Carlo Fontana (praticamente ha dato del Pinocchio a Calenda) e Senio Bonini per la baruffa con Guido Crosetto; a neppure 48 ore dal richiamo formale dell’Agcom per «violazione dei principi in materia di par condicio e pluralismo informativo», ecco l’ultima perla comparire su Twitter, siglata dal giornalista di Rainews. «Uno aveva giurato e spergiurato che se avesse perso il referendum si sarebbe ritirato dalla politica, e l’altro aveva giurato e spergiurato che non avrebbe mai fatto politica con Renzi. Sono troppo simili e infatti continuano a fare politica insieme. Ma che fiducia possono offrire questi due? Chi li vota non sta bene. Nel caso ci steste pensando ditelo al medico di famiglia, vi curerà da questa grave forma di masochismo. È grave ma si può guarire». Neanche Ciccio Boccia dopo una scorpacciata di fagioli con le cotiche.Ad essere grave è la situazione in Rai, dove i dipendenti degli italiani pensano di istruire i pupi come se fossero segretari di partito, anzi di quel partito o della sua area di riferimento. Senza freni, senza paracadute, senza rispetto per gli elettori. Da qui al 25 settembre è meglio preparare i popcorn perché i giornalisti sono 1858, ciascuno avverte il bisogno intestinale di dire la sua, l’eskimo in redazione dondola sugli attaccapanni (con buona pace di chi strillava alla «Rai sovranista») e neppure chi ha compito di coordinamento riesce a trattenersi. Due giorni fa Ida Baldi, vicedirettrice di Rainews 24 ed ex capo dell’Economia, ha sentito l’urgenza di entrare nel dibattito politico, sempre sui social: «Non sono per niente d’accordo ma tant’è. Beccatevi la promessa di Flat Tax, poi ne riparliamo». La campagna elettorale è appena cominciata e la maggior azienda culturale del Paese la sta gestendo con l’autorevolezza di un circo di periferia nel silenzio dell’amministratore delegato, non si sa se incapace di mettere freno alle libere uscite o se spettatore divertito ad ogni spot favorevole a uno dei suoi sponsor, Dario Franceschini. Nel frattempo il calderone ribolle e il malessere viene a galla in commissione di Vigilanza, anche qui con un peccato originale: ciascuno dei politici s’indigna solo per la propria parrocchietta.Ieri è toccato a Michele Anzaldi (Italia viva) strapparsi le vesti. Silente sul florilegio iniziale di gaffes contro il centrodestra e sull’intemerata della Baldi, non ha potuto esimersi dall’impallinare Iacoboni. «È accettabile che un giornalista del servizio pubblico si esprima in questo modo, a maggior ragione in campagna elettorale? Questo è il risultato della mancata applicazione della delibera votata all’unanimità dalla commissione di Vigilanza sull’utilizzo dei social da padre dei giornalisti Rai, ennesimo atto parlamentare ignorato dalla concessionaria pubblica. In altre aziende arriverebbero provvedimenti, in Rai vige l’insulto libero alla politica da chi dovrebbe essere simbolo di correttezza, equilibrio, rispetto del pluralismo».Il clima da luna park sta mettendo in imbarazzo anche l’Usigrai di Vittorio di Trapani, che osteggiò la regolamentazione, e il consiglio d’amministrazione che non è riuscito a farla applicare. Il sindacato ha un altro limite: reagisce a singhiozzo, in modo curiosamente selettivo. Silente sulla «battuta» della Anzaldo (Tg1) sulla Meloni, ha tuonato contro il condirettore del TgR Fontana ma è tornato curiosamente in ferie per l’invasione di campo dell’allineatissima Baldi.Fra una gaffe e l’altra ci si distrae con il caso Gennaro Sangiuliano. Il direttore del Tg2, in quota Fratelli d’Italia, viene inserito dai giornali fra i papabili per una candidatura e questo scatena l’indignazione gauchiste delle redazioni e dell’Anzaldi furioso. «Chiedo al presidente della Commissione di Vigilanza, Alberto Barachini, se non ritenga opportuno richiedere immediati chiarimenti sul caso del direttore potenziale candidato che continua a dirigere un Tg dell’informazione pubblica». Come se bastasse un impalpabile retroscena a far dimettere un dirigente, tra l’altro uno dei pochissimi - quasi un panda - vicino al centrodestra. Entro il 21 agosto (chiusura delle candidature) si conoscerà il destino di Sangiuliano, peraltro indicato a prendere il posto di Monica Maggioni al Tg1 in caso di successo elettorale di Meloni. Cosa impossibile nella sezione Rai dem, dove la campagna elettorale dei dipendenti imperversa a senso unico. Per la felicità del Nazareno, che infatti gongola e tace.