2022-03-13
Giocano a fare gli eroi col fucile degli altri
Gli intellò progressisti, che hanno sempre deprecato valori come patria e coraggio, ora esaltano la resistenza delle nonne ucraine. Metamorfosi dei «valorosi» nostrani: prima tifavano per lockdown e vaccini, adesso corrono ad abbassare di 1 grado i termosifoni.L’ultima frontiera è la delocalizzazione dell’eroismo. L’Occidente che per decenni si è affannato a nascondere la violenza sotto al tappeto (con scarsi risultati, va detto), vive ora un bellicoso ritorno di fiamma. L’universo culturale e politico progressista che ci ha martoriato a oltranza con le tirate sulla mascolinità tossica, sul patriarcato e la deplorevole logica della forza, oggi si eccita esibendo una forma caricaturale di virilità. Fior di editorialisti fino a ieri avvolti nelle bandiere del liberalismo corrono a celebrare la resistenza ucraina, si esaltano alla vista di uomini e donne comuni pronti a imbracciare i fucili e lanciarsi con coraggio contro i blindati russi. Chi invoca la pace viene deriso, chi parla di trattative è accusato di sabotaggio.È difficile, tuttavia, non notare la grottesca ipocrisia di tali pose scioviniste. Da queste parti abbondano gli intellettuali e i politici rapiti dall’afrore dei soldati al fronte; nei cesti della biancheria si accumulano i fazzoletti che certi puntuti rubrichisti hanno inumidito di lacrime commosse guardando in televisione le anziane signore ucraine con il mitragliatore in spalla.Intanto, però, a combattere e morire sono altri. Padri di famiglia, per lo più, ma anche madri, e bambini. Pure gli alti papaveri europei - che ancora hanno gli angoli della bocca unti di retorica sui 70 anni di pace garantiti dall’Ue - non si fanno scrupoli a pasteggiare con la pelle altrui. Li abbiamo visti inveire contro i sovranisti muscolari, li abbiamo sentiti biasimare gli spietati egoisti che chiedevano di proteggere i confini. E adesso guardali: all’improvviso son tutti arditi in cerca della bella morte. Come Donald Tusk, polacco ex presidente del Consiglio europeo. L’altro giorno ha condiviso sui social la foto di una bambina ucraina di 9-anni-9 appoggiata sul cornicione di un edificio sgretolato, con un lecca lecca in bocca e un fucile tra le mani. «Per favore non ditele che sanzioni più pesanti sarebbero troppo costose per l’Europa», ha scritto Tusk in un impeto di pedopornografia bellicista, tutto orgoglioso d’esibire la Lolita armata.Stando a quanto scrivono i giornali, l’immagine è stata costruita da Oleksii Kyrychenko, il padre della piccola. «Ho fatto questa foto per richiamare l’attenzione sull’aggressione della Russia in Ucraina», ha detto l’uomo. «Si tratta del mio fucile, gliel’ho dato soltanto per l’immagine ed è scarico». Sarà pure, ma intanto ci sono politicanti che usano lo scatto per sostenere la distribuzione di armi a normali cittadini, minorenni compresi. Coerenza richiederebbe, a questo punto, la legittimazione dei bambini soldato che si aggirano per le foreste centrafricane: non sono anche loro in lotta per la propria terra? Nessuno s’indigna per la trovata di Tusk, nemmeno quelli che si sono battuti per l’accoglienza immediata dei cosiddetti minori non accompagnati, imposta in Italia da una legge che ha prodotto troppe truffe, ma che sarebbe dovuta servire a tutelare le vittime più indifese dei conflitti.Ebbene, il culto delle vittime divenuto dominante negli ultimi cinquant’anni è stato ribaltato in un lampo: ora va di moda il sacrificio, basta che a compierlo sia qualcun altro. Ai bambini ucraini, infatti, si donano i mitra; ai bamboccioni di casa nostra si richiedono invece atti decisamente meno impegnativi.Guardate che cosa viene spacciato per eroismo dalle nostre parti. Non più tardi di un anno e mezzo fa si presentavano come eroi i giovani disposti a chiudersi in casa, coloro che si adattavano al lockdown senza protestare, annichiliti sul divano con i rimasugli della cena a domicilio a puzzare sul tavolino. Poi sono stati premiati e lodati coloro che, coraggiosamente, offrivano il braccio alla patria, pronti a sottoporsi al vaccino inteso quale «gesto d’amore». Ora un nuovo passo in avanti: gli eroi d’Occidente sono coloro che hanno il fegato di dirigersi a passo del leopardo verso l’angolo del salotto, e che - con gesti rapidi per sfuggire ai cecchini - abbassano il termosifone di un grado. Celebri attori gauchiste guidano la carica, impavidi guerriglieri d’ogni parte d’Italia sfoggiano su Twitter le foto dei loro termostati in assetto da guerra.Tanto basta, ai più, per sentirsi partecipi dello scontro. Si sentono moralmente superiori, deprecano il cinismo di chi chiede più diplomazia per ottenere il cessate il fuoco. Non si rendono conto di vivere nella realtà virtuale, hanno perso il senso delle proporzioni sostituendo il terzomondismo pacifista con il terzomondismo guerrafondaio. Gli unici lamenti che odono sono quelli degli antifurto delle loro auto ibride, ma li scambiano per sirene antiaeree e vanno in brodo di giuggiole.Ed ecco i grandiosi risultati ottenuti finora dai granatieri in servizio permanente nel tinello: la guerra non accenna a fermarsi; gli italiani più poveri (già provati dalla pandemia) pagheranno il costo collaterale del conflitto; i nostri bellicosi fenomeni giocano alla guerra sui giornali e in tv; i bambini ucraini ripongono i giocattoli per prendere i fucili.Intanto, un pietoso velo cala sui marines in pigiama della vecchia Europa. Gente che per sentirsi viva deve mandare a morire i vicini di casa.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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